NEMESI LIBICA – OBAMA, DOPO AVER FATTO LA GUERRA CON FRANCIA E GB A GHEDDAFI, CHIEDE A LETTA DI “SMINARE” LA LIBIA

Fabio Martini per "la Stampa"

Una novità di portata ancora incalcolabile, ma per il momento tenuta «bassa» dal presidente del Consiglio nella conferenza stampa finale del G8: «La Libia è per noi una grande preoccupazione» e in quel Paese l'Italia «intende avere un ruolo molto attivo, fornendo assistenza per la formazione delle strutture militari; aiutando a costruire istituzioni che funzionino» e poi «c'è una parte ancora da costruire, che riguarda la raccolta delle armi: in Libia ce ne sono molte, e il governo non è quello che ne ha di più...».

Parole calibrate che però lasciano intendere il compito delicatissimo che il governo ha accettato di prendersi in carico: l'Italia è pronta a tornare in Libia, a tornarci con uomini in divisa e con un obiettivo eloquente: «sminare» quel Paese, provando a togliere le armi dalle mani delle milizie.

Proprio questo è il compito più gravoso e inatteso: facilitare la requisizione delle armi attualmente nelle mani delle tantissime milizie, circa 500, che «occupano» il territorio libico. Un compito del quale dovranno occuparsi necessariamente uomini in divisa, è presto per dire se militari dell'Esercito o carabinieri e che non potrà che svolgersi sotto la regia dei Servizi.

I precedenti parlano chiaro, a cominciare da quello iracheno: per sfilare le armi alle milizie, servono espedienti e deterrenti i più diversi, a cominciare dal pagamento di significativi corrispettivi, che possono tener conto di «tabelle» più o meno ufficiali.

Un «lavoro» delicato e pericolosissimo, per il quale però l'Italia ha dato qualcosa in più che la sua disponibilità generica. Ha spiegato Letta: «Il nostro ruolo è ancora informale, ma c'è la richiesta degli altri Paesi che l'Italia abbia un ruolo di prima fila e noi non ci tiriamo indietro».

La prima tappa di una vicenda che non si profila semplice sarà l'incontro con il premier libico Ali Zeidan a Roma il 4 luglio: «In quella occasione metteremo a punto una strategia concreta su tre punti», due dei quali sono di più facile attuazione: la formazione del personale militare, in parte fuori dalla Libia in parte in Libia «e noi - annuncia Letta - faremo una parte di quel lavoro», con una attenzione particolare alla guardia costiera, «per noi molto importante».

Poi «vogliamo aiutarli a costruire delle istituzioni che funzionino in modo efficace» e questo campo, con l'abbondanza in Italia di giuristi, costituzionalisti e politologi - il Belpaese non farà mancare il suo apporto. Ma la vicenda più delicata è quella della raccolta delle armi: la questione sta a cuore anzitutto agli Stati Uniti, molto interessati alla stabilizzazione della Libia. Ne avevano parlato il presidente Obama e Letta nel loro primo colloquio telefonico, il 20 maggio.

Da quel primo contatto è maturata una richiesta più precisa da parte del presidente degli Stati Uniti, che è stata formalizzata in queste 48 ore e poi è diventata ufficiale nel corso dell'incontro di ieri che il presidente americano Obama, la cancelliera tedesca Merkel, il presidente francese Hollande, il premier inglese Cameron e il capo del governo italiano Letta hanno avuto col primo ministro libico.

Nella conferenza stampa finale, prima di ripartire per l'Italia, rispondendo alla domanda se gli Usa, dopo averci fortemente sostenuto un anno fa nell'ora più difficile, ci considerino ancora un sorvegliato speciale, Letta ha risposto: «No l'Italia non è una sorvegliata, come dimostrano i suoi numeri che sono a posto» e comunque il presidente degli Stato Uniti ci ha indirettamente dato una mano sui temi del lavoro: «Con Obama mi è parso di trovare un sponda che potrà essere utile in altre occasioni. Penso che gli europei lo abbiano ascoltato».

L'autocompiacimento di Letta ha qualche ragione oggettiva: «È molto importante l'insistenza che abbiamo messo per dire che la disoccupazione giovanile è la priorità» e ora «l'argomento è in rampa di lancio» e «bisogna che le cose si concretizzino in modo positivo».

 

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