LA GRANDE CATENA DELLA SINISTRA E' QUELLA DI ESSERE SEMPRE STATA MINORANZA NEL PAESE E DI ESSERSI AGGRAPPATA A TUTTO, ALLE TOGHE, AI SINDACATI, ALL’ANTI-BERLUSCONISMO, ALL’ANTAGONISMO, PUR DI VINCERE (E INVECE RESTA CONFINATA NELLA “SOGLIA-VELTRONI” DEL 33%)


Pubblichiamo l'estratto di un capitolo del libro del fogliante Claudio Cerasa "Le catene della sinistra. Non solo Renzi. Lobby, interessi, azionisti occulti di un potere immobile" uscito con Rizzoli (303 pagine, 16 euro).


"Sa cosa stavo pensando? Stavo pensando a una cosa molto triste. Cioè che io, anche in una società più decente di questa, mi ritroverò sempre con una minoranza di persone. Ma non nel senso di quei film dove c'è un uomo e una donna che si odiano, si sbranano su un'isola deserta perché il regista non crede nelle persone. Io credo nelle persone. Però non credo nella maggioranza delle persone. Mi sa che mi troverò sempre d'accordo, e a mio agio, con una piccola minoranza".
(Nanni Moretti, Caro diario, 1993).

Tesoro, scusami, ma il latte è finito. Immaginate un bambino cresciuto. Quasi un adulto. Immaginate una mamma con il seno scoperto. Immaginate questo bambino cresciuto che, pur non essendo più un bambino, avvicina le labbra al seno della madre e implorandola, sfiorandole il capezzolo, le chiede ancora latte, latte e ancora latte. Piccolo problema: il seno della mamma da anni ormai non produce più un goccio di latte.

Ma il bambino non riesce ad accorgersi che la sua principale fonte di sostentamento semplicemente non esiste più. Finita. Esaurita. Puf. Immaginate questa scena e avrete di fronte a voi l'esatta fotografia del modo in cui negli ultimi vent'anni la sinistra italiana ha cercato di nutrire il suo corpo. Senza riuscire a farlo crescere. Senza riuscire a farlo maturare. E senza capire che dalle fonti a cui avvicinava le labbra non usciva più nulla. Finito. Esaurito. Puf. E il discorso, è ovvio, vale per tutti.

Vale per ogni leader che la sinistra ha avuto dal 1994 a oggi. E vale tanto per Walter Veltroni quanto per Massimo D'Alema quanto per Pier Luigi Bersani quanto per Matteo Renzi e il suo governo Bim Bum Bam. Renzi, già.

Dal punto di vista politico la scena del bambino cresciuto che avvicina inutilmente le labbra al seno vuoto della madre si trova ovunque nella storia passata e recente della sinistra, ma si trova soprattutto prendendo in considerazione alcuni passaggi particolari che ne hanno ostacolato più degli altri la crescita, e che le hanno impedito di diventare non solo grande ma soprattutto vincente. E' la storia della sinistra eternamente minoritaria.

La storia della sinistra che prova invano ad attingere ad alcune fonti magiche prive di sostanze utili a nutrire il proprio corpo. Della sinistra che si attacca al seno vuoto dell'antiberlusconismo senza essere in grado di trasformare la propria contrapposizione al Cavaliere in un alimento utile per crescere e per conquistare il Paese. Che si attacca al seno sterile dello statalismo, del dirigismo, dell'antiliberismo.

Che alleva i suoi elettori con una buona dose di populismo, e alle elezioni si lamenta e si stupisce se gli elettori venuti su a suon di populismo scelgono di votare per i movimenti più populisti. E' la storia della sinistra che educa i propri elettori all'antagonismo, e che poi si meraviglia, ohibò, se alle elezioni gli elettori trovano qualcuno più realista e antagonista del re. E' la storia della sinistra schiava di alcune minoranze conservatrici che da anni le impediscono di correre e che da anni ostacolano il suo sviluppo.

E' la storia, paradossale, di una sinistra che nel suo grembo vede crescere ogni giorno dei leader che più sono amati a sinistra e meno sono amati nel Paese. E' la storia, insomma, di una sinistra che non riesce a liberarsi dalle catene che la tengono prigioniera. Che non riesce a catturare quell'elettorato, nuovo, nato a cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta. Un elettorato liquido, post ideologico, maggioritario, potenzialmente rivoluzionario e figlio di una grande e silenziosa pacificazione.

E' la storia, infine, di una sinistra che in mancanza di una solida muscolatura si affida sempre, per non cadere, a una serie di stampelle. Ai magistrati, per dimostrare la propria vicinanza alla parola "purezza". Ai sindacalisti, per dimostrare la propria vicinanza alla parola "lavoro". Agli industriali, per dimostrare la propria vicinanza alla parola "impresa". Ai registi, per dimostrare la propria vicinanza alla parola "cultura".

Agli ambientalisti, per dimostrare la propria vicinanza alla parola "verde". Stampelle che spesso vengono utilizzate come fossero gli strumenti migliori per scendere in campo, correre e conquistare il Paese. Stampelle che spesso però hanno fatto dimenticare alla sinistra che per vincere le elezioni occorre conquistare non le stampelle, non gli alleati, ma semplicemente gli elettori. Lo dicono i numeri, lo dice la storia, lo dice la cronaca, lo dice il presente, lo dice il passato e forse lo dice anche il futuro.

Avete mai pensato al motivo per cui la sinistra non è mai riuscita a essere maggioranza del Paese? Per cui un leader più piace alla sinistra e meno piace al resto del Paese? Alla ragione per cui il Paese che ha avuto nella storia il più grande partito progressista d'Europa (e il più grande sindacato dell'Occidente) considera l'erede di quel partito una forza conservatrice e non progressista?

Sono molte le ragioni che hanno generato questa situazione surreale, ma per capire in che senso la sinistra oggi, e da sempre, è numericamente una forza minoritaria del Paese bisogna prendere carta e penna e appuntarsi alcuni numeri. E i numeri cosa dicono? Dicono questo: che la sinistra vince solo quando gli avversari si dividono. E che dal 1976 a oggi il più grande partito della sinistra non è mai riuscito a superare una soglia psicologica che costituisce il vero limite del consenso della sinistra: dodici milioni di voti, un terzo degli elettori. Con questi numeri cosa vogliamo dire?

Una cosa molto semplice: che dalla sua postazione di governo Renzi dovrà giocare una partita doppia. La più scontata, da un lato, prevede il tentativo di strappare voti a Grillo combattendo alcune battaglie che potrebbero ingolosire gli elettori, i senatori e i deputati del Cinque Stelle. Dall'altro lato c'è una partita meno banale che potrebbe trasformare il Pd di Renzi in una forza politica capace di attrarre sotto il suo mantello anche un altro elettore. Molto speciale.

Quello che negli ultimi vent'anni ha scelto di votare Berlusconi non per un particolare amore per lui ma per un particolare non amore per la vecchia sinistra. Da questo punto di vista il governo Bim Bum Bam, questo strano ibrido creato da Renzi con la sua squadra di giovani ministri, uniti dalla condivisione di un percorso generazionale, si presenta come un modello, quello del sindaco d'Italia, potenzialmente utile a mettere in sintonia il governo con una nuova generazione di elettori.

Un modello che, se gestito con intelligenza, potrebbe dare al presidente del Consiglio la possibilità di essere allo stesso tempo leader di lotta e di governo (pur essendo con entrambi i piedi nelle stanze di governo). Un modello che potrebbe dare al premier un mezzo utile per portare a termine il passaggio progressivo dell'Italia da un governo tecnico (quello di Mario Monti), a un governo semitecnico (quello di Enrico Letta) fino a un governo politico (quello di Matteo Renzi).

Un modello che Renzi però non riuscirà a controllare se non comprenderà le lezioni del passato. Se insomma governerà senza capire che le labbra del Pd non possono rimanere alla ricerca del seno della mamma. Il successo di Renzi, in altre parole, si misurerà non solo dalle sue riforme ma dalla sua capacità di rivoltare il Pd come un calzino, di ridisegnarlo a sua immagine e somiglianza e di far sì che, già dalle elezioni europee, la forza potenziale del leader sia trasferita direttamente sul simbolo del partito.

La sfida insomma è capire se Matteo Renzi riuscirà, come ha fatto Tony Blair a metà degli anni Novanta, a non lasciarsi trasformare dal suo partito ma semplicemente a trasformare il suo partito. E a rottamare il grande paradosso con cui periodicamente si ritrovano a fare i conti tutti i leader della sinistra italiana: quello di essere molto popolari a sinistra e drammaticamente poco popolari nel Paese. In una parola: unfit to lead Italy. Inadatti a governare l'Italia. Già, ma da dove partire? Seguite il filo. Perché in fondo tutto comincia da qui. E comincia con quel famoso tintinnio di manette. Tin-tin.

 

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