I DATI NEGATIVI SULL'OCCUPAZIONE SPEZZANO IL SOGNO DI OBAMA - ARRIVA IL RIGORE E VANNO IN SOFFITTA IL “CHANGE” E LE PROMESSE MIRACOLISTICHE DEL 2008 - DISCORSO DIMESSO DI BARACK A CHARLOTTE, E MITT ROMNEY SFOTTE: “SI E’ RISVEGLIATO DALLA SBORNIA” E METTE NEL MIRINO IL PRESIDENTE DELLA FED BERNANKE: BASTA CON L’ACQUISTO DI TITOLI DEL TESORO – RECESSIONE IN USA….

1-I DATI NEGATIVI SULL'OCCUPAZIONE RAFFREDDANO GLI SLANCI DI OBAMA
Massimo Gaggi per il Corriere della Sera

Barack Obama rinuncia al suo change - la promessa della campagna del 2008 di cambiare rapidamente le cose - perché ricostruire un'economia ridotta a un cumulo di macerie «è un lavoro che richiederà diversi anni». Quanto a hope - la speranza, l'altra parola-slogan di quattro anni fa - rimane ma il presidente Usa ne capovolge l'interpretazione: non più la speranza che lui trasmette all'America prendendosi sulle spalle i suoi problemi, ma quella che l'America infonde a se stessa e al suo stesso presidente con mille esempi di coraggio civile, le storie di gente che si impegna e si sacrifica.

Dopo il discorso caldo e umanissimo di Michelle Obama e quello trascinante di Bill Clinton, il presidente ha chiuso l'altra sera la convenzione democratica di Charlotte accettando la nomination alla Casa Bianca con un intervento realistico, ma anche più dimesso di quelli ai quali il suo popolo si è abituato.

Una scelta voluta, quella del basso profilo: toni trionfalistici avrebbero avuto un effetto-boomerang già ieri mattina quando, appena dieci ore dopo il suo discorso, il ministero del Lavoro ha pubblicato i dati sull'occupazione di agosto. I numeri di un preoccupante stallo nella creazione di nuovi posti di lavoro: appena 96 mila in più rispetto ai previsti 130 mila e ai 200 mila che sarebbero necessari per cominciare a ridurre il bacino di chi è alla ricerca di un impiego.

È vero che, contemporaneamente, il Labor Department ha comunicato che anche i disoccupati sono calati (dall'8,3 all'8,1 per cento), ma questo è un altro frutto avvelenato di una crisi che deprime la gente e induce molti a non cercare più attivamente un impiego uscendo, così, dal mercato. Negli Stati Uniti la partecipazione dei maschi adulti alla forza-lavoro è scesa al 69,9 per cento: il livello più basso dalla creazione di questo indice nel 1948.

Numeri allarmanti che Obama già conosceva quando è salito sul palco della Time Warner Arena di Charlotte. E che, come previsto da politologi e sondaggisti interpellati dal Corriere, hanno spostato l'attenzione dallo sforzo della convention di galvanizzare l'elettorato progressista, alla dura, deprimente realtà delle cifre.

Obama è corso ai ripari abbassando i toni del suo discorso e ricorrendo ai «padri nobili»: ha promesso il coraggio e l'audacia di Franklin Delano Roosevelt, il presidente del New Deal dopo la Grande Depressione degli anni Trenta del Novecento.

E ha preso a prestito da un celebre discorso di John Kennedy di mezzo secolo fa l'invito agli americani a rimboccarsi le maniche senza aspettarsi troppo dallo Stato: come il presidente della «Nuova Frontiera», Obama ha chiesto al suo popolo di guardare alle sue responsabilità, oltre che ai diritti: «L'essenza dell'America non è in quello che può essere fatto "per" noi, ma in quello che può essere fatto "da" noi».

Non è solo un capo di governo che ridimensiona le sue promesse e chiama a una condivisione delle responsabilità: c'è anche un modello di cittadinanza e di partecipazione col quale Obama propone ai democratici di sfidare il «darwinismo sociale» dei repubblicani, senza rifugiarsi nell'assistenzialismo.

Passaggi importanti del discorso del presidente poco notati nel clima da stadio di Charlotte e travolti, nelle reazioni del giorno dopo, dai dati sull'occupazione: «L'altra sera la festa, ieri il duro risveglio dopo la sbornia» ha ironizzato l'avversario di Obama, Mitt Romney, per il quale «i numeri deludenti del mercato del lavoro confermano che il presidente non sa dove mettere le mani per risolvere questa crisi: semplicemente, non ha più idee».

Mentre i due candidati affrontano con le spade sguainate gli ultimi due mesi di campagna elettorale, l'attenzione ora si sposta sulla figura di Ben Bernanke: il capo della Federal Reserve che una settimana fa si è impegnato a varare una terza ondata di interventi monetari a sostegno dell'economia in caso di ulteriore deterioramento. I dati di ieri materializzano lo scenario che il banchiere centrale aveva giudicato necessario per giustificare un altro intervento della Fed.

Giovedì prossimo, quindi, il suo board potrebbe decidere un altro massiccio acquisto di titoli pubblici (buoni del Tesoro Usa) e privati per tenere bassi i tassi d'interesse: il cosiddetto «quantitative easing 3». Ma in questo clima politico infuocato e con le divisioni che sono arrivate anche all'interno della Fed, Bernanke faticherà non poco a imporre la sua linea. Romney, che ha già «sfiduciato» il banchiere centrale, ieri ha cercato di dissuaderlo dall'intervenire: «Non credo che in questa fase l'uso di strumenti di politica monetaria da parte della Fed possa avere alcun impatto immediato sull'economia».

2- «È SOLO UN INTOPPO» «NO, SIAMO DI FRONTE A UN GRAVE HANDICAP»
Paolo Valentino per il Corriere della Sera

James Carville minimizza. Larry Sabato li prende molto sul serio. Il primo si dice sicuro che «lunedì si parlerà già d'altro». L'altro avverte che mancano ancora due rapporti sull'occupazione e che il secondo avrà per Obama una tempistica ancora più problematica di quello di ieri: uscirà infatti il venerdì precedente il martedì elettorale del 6 novembre.

Due fra i maggiori analisti politici americani ragionano sulle conseguenze per la campagna elettorale dei deludenti dati del Dipartimento del lavoro, che hanno registrato una crescita occupazionale più anemica del previsto, con appena 96 mila nuovi posti di lavoro ad agosto e una disoccupazione ancora superiore all'8%.

Carville è il principe degli strateghi democratici, celebre per essere stato l'architetto della vittoria di Bill Clinton nel 1992. Suo è il copyright dell'abusato slogan «it's the economy, stupid». Sabato è il politologo più citato dai media Usa, direttore del Crystal Ball, laboratorio di previsioni politiche della University of Virginia.

«I dati dell'occupazione escono ogni mese - spiega Carville - ma non penso che se ne parlerà oltre il fine settimana. Certo, i democratici speravano in notizie più positive. Forse sarebbe stato meglio se fossero usciti tra una settimana, non a ridosso della Convention. Ma questa è la realtà dell'economia, ma non una novità. Bisognerà aspettare i sondaggi che saranno pubblicati martedì, per sapere se l'effetto di Charlotte è stato smorzato e Obama non ha avuto alcun beneficio».

Per Carville, sposato con l'analista repubblicana Mary Matalin in uno dei più celebri e rari matrimoni bipartisan di Washington, tutti i sondaggi e le ricerche dicono che Obama è in testa, anche se Romney può farcela. «La corsa è molto ravvicinata e si può anche formulare l'argomento che nonostante l'economia sia così da tempo, Romney non è riuscito a passare nettamente in testa. Voglio dire che non so se l'economia è per Obama un freno più grande di quanto Romney lo sia per Romney».

Per Larry Sabato il campanello di allarme non va sottovalutato: «È un rapporto molto sgradevole per i democratici e per Obama, che già conosceva i numeri e per questo ha fatto un discorso in tono minore. Se avesse mostrato troppo ottimismo, sarebbe stato contraddetto clamorosamente. Quell'8,1% di disoccupati conferma che il presidente dovrà convivere fino alla fine con questa realtà: correre per la rielezione in una situazione economica che gli è ostile e gli impedisce di distanziare il rivale, nonostante la debolezza di quest'ultimo».

Eppure anche Sabato non crede che i dati sulla disoccupazione possano smorzare l'effetto della convention democratica. Ma per un'altra ragione: «L'hanno vista in pochi. O meglio, l'hanno vista in pochi (appena il 30%) tra gli elettori che non hanno ancora deciso. Le convention, come anche i dibattiti, servono solo a chi è già schierato, per sentirsi confermato nella propria scelta. Quindi l'effetto di Charlotte, come quello di Tampa sui repubblicani, non ne risente. Il punto è che il dato sui disoccupati riporta l'attenzione degli indecisi sulla congiuntura economica, rendendoli ansiosi. E questa non è una buona cosa per il presidente, che comunque rimane in testa sia pure di poco».

A Carville chiediamo la sua opinione sul discorso di Obama: «È stato ok, ma non è stato il migliore della convention: io lo classificherei al quinto o sesto posto, dopo Bill Clinton, Michelle, Julian Castro e perfino Biden. Meglio di Romney, certo. Credo che abbia voluto essere più presidenziale. Ed è più facile fare un discorso quando non sei alla Casa Bianca».

 

 

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