BISOGNA TIRARE SU LA BARACK - OBAMA NON PUÒ PIÙ COPRIRE LA CRISI ECONOMICA AMERICANA CON LA CRISI SIRIANA

Francesco Semprini per "La Stampa"

Cinque anni fa la banca d'investimento Lehman Brothers dichiarava bancarotta, il mercato del credito cadeva in una fase di contrazione straordinaria e l'economia si ritrovava nella recessione più profonda dai tempi della Grande depressione, creando una voragine nel mercato del lavoro. Gli Stati Uniti erano in ginocchio nel momento in cui il Paese si apprestava a scegliere il suo nuovo presidente. Poco dopo, alla Casa Bianca - forse con la complicità dello tsunami finanziario - si insedia Barack Obama.

Cinque anni dopo è lui, forte di un secondo mandato, a fare un bilancio sullo stato di salute del Paese ad un lustro da quella che definisce la «tempesta perfetta». Lo fa pubblicando un rapporto stilato con i guru della Casa Bianca dal titolo «La crisi finanziaria, cinque anni dopo». Quindici capitoli in cui si ripercorrono le fasi salienti e drammatiche dell'ultimo quinquennio, la frana economica dell'autunno del 2008, quando il Pil viaggiava a un tasso negativo dell'8%.

Passando via via per le diverse tappe del calvario e dell'espiazione, dalla «miracolata» Aig, al Tarp (il programma «salva-banche»), dal miracolo dell'industria dell'auto, alla regolamentazione più o meno mancata, dalla ripresa delle banche ai dubbi sui derivati, sino alla questione del debito pubblico e del rischio default.

Positivo il bilancio secondo Obama, ma non mancano coni d'ombra, che del resto emergono evidenti anche nell'intervento (blando a dire il vero) di ieri dalla Casa Bianca. «Abbiamo fatto molta strada rispetto a cinque anni fa», ma resta molto lavoro da fare: «Dobbiamo crescere più velocemente», rimuovere i tagli alla spesa e approvare un budget bilanciato». Del resto la ripresa economica appare ancora stentata, come dimostrano i dati di ieri sul manifatturiero del distretto di New York con il calo dell'indice a settembre a 6,3 da 8,2 del mese precedente.

Inoltre sebbene ci sia stato un calo della disoccupazione al 7,3%, crescono sempre più i precari e i part-time, mentre il numero delle persone che cercano lavoro è ai minimi degli ultimi 35 anni. E' la premessa all'affondo nei confronti dei repubblicani con cui il presidente vuole riportare l'attenzione sulle questioni interne dopo le «distrazioni mediorientali» degli ultimi due mesi. La priorità è il tetto di debito a cui bisogna dare una soluzione entro il prossimo 15 ottobre quando sarà toccato il massimale fissato. «Non pagare i nostri conti sarebbe» irresponsabile: il budget va approvato senza innescare un'altra crisi, dice Obama secondo cui un «default» creerebbe enormi «turbolenze economiche».

Quindi l'invito ai duri del Grand Old Party a smetterla con le minacce: «Non tratterò sul tetto del debito, quindi lavoriamo assieme per fare quello per cui gli americani ci hanno mandato qui, far crescere l'economia e creare lavoro». Le parole di Obama fanno eco a quelle di Gene B. Sperling, numero uno (ormai uscente) del National Economic Council, il quale ha ammonito domenica le forze del Congresso recalcitranti all'aumento del tetto del debito perché responsabili di una «minaccia di default non necessaria».

Obama torna quindi sul fronte interno, ma lo fa in maniera poco incisiva: il presidente, forse affannato per le questioni internazionali, non formula proposte concrete e si limita a rimettere la palla al Congresso. Un intervento orfano di ogni riferimento al passo indietro di Lawrence Summers. Un grattacapo in meno per l'inquilino della Casa Bianca, che incassa in silenzio e si riserva il diritto di decidere sulla Fed in autunno. I mercati brindano perché chiunque arrivi al timone della Fed, eccetto Summers, garantirà continuità al mandato del rassicurante ed «espansivo» Ben Bernanke.

 

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