OPERAZIONE FIDUCIA TECNICA: BERSANI CI PROVA CON LA LEGA

Claudio Cerasa per "Il Foglio"


La prospettiva di un governo Bersani-Vendola-Saviano-Rodotà-Cecchi Paone costruito sul modello Boldrini-Grasso per essere sostenuto da Grillo e Casaleggio è legata a un passaggio che potrebbe risultare decisivo in vista delle consultazioni convocate da domani dal presidente della Repubblica.

Il passaggio riguarda uno scenario complicato e che sarebbe in contraddizione con l'idea di Bersani di non voler fare inciuci con nessuno e non voler cedere a compromessi con la destra brutta, sporca e cattiva. Eppure da qualche giorno è un fatto che il segretario del Pd abbia affidato ad alcuni esponenti del suo partito il compito di verificare se esiste una disponibilità della Lega a votare una "fiducia tecnica" all'esecutivo Bersani.

All'inizio della scorsa settimana l'"opzione Maroni" era solo una semplice ipotesi di scuola legata ai numeri del pallottoliere di Palazzo Madama; dove il centrosinistra (123 senatori) se riuscisse a ottenere il "sì" dei montiani (19 senatori) e dei leghisti (17 senatori) supererebbe la soglia dei 158 senatori minimi per avere la maggioranza.

Ma la verità è che tra giovedì e domenica, nel Pd si è messa in moto una troika parallela che ha aperto un dialogo con alcuni esponenti del partito di Maroni. I componenti della troika sono Paola De Micheli, deputata lettiana con ottimi contatti con i leghisti emiliani, Daniele Marantelli, deputato bersaniano amico di Maroni, e Pippo Civati, deputato in buoni rapporti con alcuni esponenti della Lega.

E in queste ore i tre (e non solo loro) stanno verificando se quello della Lega sia un giochino per rendere più difficile il governo Bersani; o se invece ci sia qualcosa di vero, da portare in dote al Quirinale, dietro alle parole non belligeranti di Maroni e Calderoli. Il risultato è stato comunicato ieri al segretario. E se quella della Lega non è tattica, in linea teorica, i numeri per far partire il governo Bersani esistono davvero.

Il primo fotogramma del film sull'accordo Lega-Pd viene registrato mercoledì pomeriggio quando Calderoli fa sapere a Bersani che di fronte a una candidatura di Finocchiaro a Palazzo Madama i senatori leghisti voterebbero "sì". Due giorni dopo Calderoli, spinto anche delle parole rilasciate da Maroni qualche giorno prima sulla sua disponibilità a far partire "un governo politico di grande coalizione", certifica con una dichiarazione il suo endorsement per il candidato democrat. E fino a venerdì notte, quando Finocchiaro era ancora la candidata, tutto sembra filare liscio.

Una volta registrato il cambio di rotta di Bersani il centrosinistra ha rischiato di far andare in fumo la già fragile intesa con la Lega - a Maroni, che comunque ha un ottimo rapporto con Grasso, è stato comunicata con grande ritardo la scelta di puntare sulla coppia Boldrini-Grasso e sabato pomeriggio il filo che unisce Lega e Pd è stato mantenuto saldo grazie alla complicata mediazione di Marantelli - ma dopo aver risolto il pasticcio diplomatico gli ingranaggi sono tornati a combaciare.

E così allo stato dell'arte la situazione illustrata dalla troika è questa: i leghisti non vogliono andare al voto e hanno bisogno di tempo per far partire la macchina governativa di Maroni in Lombardia; per questo, anche se la loro prima opzione resta il "sì" a un governo istituzionale, sono disposti a votare la fiducia a Bersani e in cambio chiedono la vicepresidenza del Senato, una serie di presidenze di commissione e una dichiarazione di intenti sul tema dei costi standard e dell'autonomia impositiva regionale. "Diciamo - dice al Foglio Civati - che la situazione è molto mobile, e prima di dire che i giochi sono fatti bisognerebbe conoscere i giochi e i fatti. E i fatti per esempio dicono che la Lega, così mi risulta, non vuole andare a votare".

Questo dunque chiede la Lega, questo hanno riferito a Bersani i tre della troika, e sotto questa luce si spiegano meglio le parole offerte ieri da Roberto Calderoli a Repubblica ("preclusioni su Bersani premier non ne ho") e quelle rilasciate domenica all'Avvenire da Stefano Fassina ("la Lega sa che Bersani ha una cultura autonomista non improvvisata"). Naturalmente, nel Pd sono in molti ad avere sospetti sulla bontà dell'apertura dei maroniani (la Lega, si sa, non fa quasi nulla se non autorizzata dal Pdl) e la preoccupazione è che le parole dei leghisti abbiano il solo scopo di togliere di mezzo Bersani facendo cadere il segretario in una trappola e aprendo la strada a un governo istituzionale.

La preoccupazione esiste. Ma intanto le trattative vanno avanti. E la verità è che nel Pd, con cauto ottimismo, giorno dopo giorno aumenta la fiducia che il segretario possa presentarsi da Napolitano con le carte (e i numeri) in regola per essere nominato premier e andare alle Camere con un governo. Bersani ci crede. La Lega, anche se preferirebbe che il segretario affidasse a qualcun altro l'incarico di formare il governo, sembra disponibile.

E se la linea dei montiani dovesse essere quella suggerita al Foglio da Alessandro Maran, senatore di Scelta civica, chissà che l'ottimismo dei bersaniani non sia fondato. Sentite Maran: "Se il governo Bersani dovesse arrivare al Senato e chiedere la fiducia su un programma esplicito nell'indicare le riforme strutturali necessarie alla piena integrazione dell'Italia nella nuova Europa, immagino che ci sarebbe il nostro sì, a prescindere da chi quella fiducia la voterà". "A prescindere da chi la voterà". Piuttosto chiaro no?

 

ROBERTO MARONI CON LA SCOPA PADANA PIERLUIGI BERSANI CON LA BANDIERA DEL PD ROBERTO CALDEROLI jpeg BOLDRINIGRASSO E BOLDRINI

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