PAPA GLOCAL! FRANCESCO ROTTAMA L’EPOCA DEI PROFESSORI

M.L.P. per "il Messaggero"

Un pastore coraggioso e comunicativo, capace di esprimersi in modo semplice, scaricando, però, in quel linguaggio la sua grande cultura. «Questo Papa ha uno stile inaudito. Ha battezzato un nuovo sistema di comunicazione che cambierà il linguaggio della Chiesa», si entusiasma Franco Ferrarotti. La semplicità verbale di Giovanni XXIII, capace di usare parole che arrivavano al cuore.

La cultura profonda di Ratzinger, capace di analizzare con spessore teologico le sfide della Chiesa, e di raccoglierle in tre encicliche magistrali. Il carisma di Wojtyla, capace di comunicare anche attraverso grandi gesti profetici. Stando al ritratto che ne traccia un grande sociologo come Franco Ferrarotti, il papato di Bergoglio segnerà una svolta.

Lei conosce abbastanza bene il mondo sudamericano. Cosa porta, da quel mondo, Papa Francesco, nel suo modo di comunicare?
«Lui viene dai Paesi per le cui strade vagano i meninos de rua. E' un Papa di strada. Vuole girare per le periferie, vuole il contatto con la gente, chiede di alleggerire la sua scorta. Non ha paura di mescolarsi alla folla, né di eventuali attentati, nonostante i pericoli oggettivi, nonostante quello che è successo al suo predecessore Wojtyla».

Saluta dicendo buongiorno, buona sera, buon pranzo. Dice "vi voglio bene ai giornalisti". Che ne pensa?
«Lo trovo straordinario. Ha rotto una tradizione di retorica ciceroniana, nello stile comunicativo della Chiesa. Elude la ricerca della bella frase, dello stile aulico, che si pone sempre come un diaframma tra chi parla e chi ascolta, e non consente di raggiungere la folla. E' un papa colto, come tutti i gesuiti, ma non è professorale. Sa usare il linguaggio popolare, ma sa portarci dentro tutta la sua cultura teologica e filosofica».

Crede che sia una strategia comunicativa, o il suo modo spontaneo di entrare in contatto con i fedeli?
«Io credo che lui riesca a raggiungere il sentimento popolare anche lasciando intatte le imperfezioni di quel tipo di comunicazione. Ma la sua semplicità non è affettazione, non è esibita, né ostentata. È così ben preparato da potersi permettere un linguaggio semplice senza semplicismi, popolare senza populismi».

Come reagisce, secondo lei, chi l'ascolta?
«Si sente a proprio agio. Il suo comportamento è agli antipodi, rispetto a quello di Papa professore, che svetta su una cattedra, da un'altezza superiore a quella del popolo della Chiesa. Lui scende a livello dei fedeli, e, anzi, è capace di calarsi persino al di sotto. Di inginocchiarsi e di inchinarsi davanti a loro».

Perché, secondo lei, non si autodefinisce mai Papa, ma Vescovo di Roma?
«Questo, secondo me, è un altro talento. Vuol dire che intende la Chiesa come realtà di base. Ha l'autorevolezza e la preparazione per parlare a tutto il mondo, ma ha legami saldissimi con il territorio. È un "G-local", come si dice oggi. Globale e locale al tempo stesso».

 

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