L’AMBASCIATORE STEVENS ERA CONSAPEVOLE DI POTER FINIRE AMMAZZATO DAI GRUPPI JIHADISTI PRESENTI A BENGASI - GIÀ IL 6 GIUGNO IL CONSOLATO FU IL BERSAGLIO DI UN ATTENTATO DIMOSTRATIVO - L’AMBASCIATORE GIRAVA CON UNA SCORTA RIDOTTA: UN MODO PER RIMANERE IN BUONI RAPPORTI CON I LOCALI, MA MOLTI PENSANO CHE NON FU ADEGUATAMENTE PROTETTO - SI INDAGA SULLA BRIGATA QAEDISTA DI DERNA…

Guido Olimpio per "Corriere della Sera"

L'ambasciatore Chris Stevens sarebbe stato nella lista nera dei qaedisti, era preoccupato per una serie di minacce e aveva espresso timori sulla crescita dei gruppi estremisti a Bengasi. Lo ha rivelato una fonte anonima alla Cnn, una persona che ha raccolto le confidenze dell'inviato americano. Affermazioni che tuttavia hanno bisogno di conferme, se mai verranno.

Non c'è dubbio che il diplomatico sapesse quale fosse la situazione in Cirenaica. Durante l'ultimo incontro che ho avuto con lui, la sera del Primo maggio, avevamo parlato dei nuclei jihadisti. E in particolare della possibile presenza di qaedisti venuti da fuori a dare una mano ai mujaheddin locali. Ma Stevens non sembrava preoccupato più di tanto o comunque non la dava a vedere.

TIMORI - È anche possibile che i timori siano cresciuti in seguito ad una serie di attentati dimostrativi avvenuti in estate, compreso uno contro il consolato di Bengasi (6 giugno) rivendicato dalle Brigate Omar Abdel Rahman. Le indiscrezioni - pur in attesa di verifiche - accendono diversi interrogativi. Stevens aveva segnalato a Washington di essere diventato un bersaglio? In caso affermativo quali erano state le contromisure? E perché, se c'erano queste minacce, il diplomatico andava in giro, apparentemente, con una scorta ridotta?

Come ambasciatore doveva essere protetto ad ogni costo - ha sottolineato l'ex agente della Cia Rober Baer - e in caso di emergenza poteva essere evacuato in tutta fretta. Chi lo aveva visto alla fine di agosto era rimasto sorpreso da come avesse una «difesa» ravvicinata modesta. Ma - aggiungono - questo gli permetteva di tenere più facilmente i contatti. Era il suo stile, insistono.

LE INDAGINI - Fino ad oggi sull'assalto di Bengasi sono uscite poche informazioni, quasi tutte di fonte libica. Gli americani hanno mantenuto un grande riserbo. In particolare su come sia stato possibile che l'ambasciatore sia rimasto da solo nell'edificio principale del consolato. Per giorni, poi, si è discusso se l'attacco sia stato premeditato o meno. Washington ritiene che sia stato casuale, anche se è interessante che mercoledì i funzionari dell'intelligence abbiano iniziato a parlare di «attacco terroristico», senza però dire se vi sia stata una pianificazione.

LE IPOTESI - Le speculazioni sulle motivazioni si sommano a quelle sui possibili assalitori. Oltre ad Ansar Al Sharia di Bengasi e alle Brigate Abdel Rahman, si guarda ad altre realtà eversive. La prima è quella di Derna, dove sin dai giorni della rivolta anti-Gheddafi opera un gruppo jihadista guidato da un ex detenuto di Guantanamo, Abu Sufian Bin Qumu. E mercoledì il suo nome è tornato a circolare. L'altra ipotesi è quella di un'azione ispirata da Al Qaeda nel Maghreb islamico, movimento nato in Algeria ma ramificato nella regione e oggi ben saldo nel nord del Mali.

Fonti libiche hanno sostenuto che gli Usa avrebbero intercettato comunicazioni tra questa fazione ed elementi attivi a Bengasi nei giorni precedenti all'assalto. Notizie valutate con interesse da chi segue il terrorismo che però le definisce indizi e non prove. Altri pensano, infine, che a Bengasi sappiano molto di più ma siano imbrigliati dai rapporti di forze con gli estremisti presenti in città.

 

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