UNA REPUBBLICA SFONDATA SUL LAVORO - PER POTER FESTEGGIARE IL PRIMO MAGGIO, MOLTI LAVORATORI SONO COSTRETTI A SCIOPERARE VISTO CHE IL DECRETO “SALVA ITALIA” HA LIBERALIZZATO GLI ORARI DEGLI ESERCIZI COMMERCIALI

Salvatore Cannavò per il "Fatto quotidiano"

"Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire". Il primo maggio è nato attorno a questa parola d'ordine, il 20 luglio 1889, a Parigi, quando il congresso della Seconda Internazionale lancia l'idea di "una grande manifestazione simultaneamente in tutti i paesi".

Nel 2014, però, succede che per poter festeggiare la ricorrenza il sindacato debba indire lo sciopero. Come hanno deciso di fare unitariamente Filcams-Cgil, Fisascat e UilTucs, proclamando una fermata di otto ore a livello regionale. Lo sciopero, infatti, è l'unico modo per garantire, a chi sarà chiamato al lavoro, di potersi rifiutare specialmente dove esistono contratti che rendono obbligatoria la prestazione. Nelle singole città si svolgeranno manifestazioni, iniziative di dibattito, presìdi, contro le grandi catene della distribuzione commerciale che, in ossequio alla libertà di impresa e ai diritti dei consumatori, terranno i loro negozi aperti.

La tendenza a far lavorare il settore del commercio nei giorni festivi non è recente. Si ricorderà, anzi, che il primo scontro su questo punto ad avere risonanza mediatica è stato quello che ha visto opposti l'attuale premier Matteo Renzi, allora sindaco di Firenze, e la Cgil. A complicare tutto, però, è stato il decreto Salva Italia voluto da Mario Monti nel 2011. In quel decreto si liberalizza l'attività degli esercizi commerciali eliminando qualsiasi limite alla possibilità di lavoro nei giorni festivi.

E così i vari Conad, Carrefour, i centri commerciali delle grandi città o i centri dell'Ikea - tanto per citare i marchi più noti e più frequentati - ma anche i piccoli esercizi dei centri storici, annunciano con molta evidenza la propria apertura in giorni come Pasqua, il 25 aprile e lo stesso 1 maggio. In controtendenza le Coop, che quest'anno
hanno voluto fregiarsi della decisione opposta.

Il settore, spiega al Fatto la segretaria nazionale della Filcasm, Maria Grazia Gabrielli, "conta circa 2,5 milioni di lavoratori dipendenti. Certamente, non tutti sono interessati da questa condizione, ma la platea è comunque piuttosto ampia".

Il tema suscita dibattito. In Francia, ad esempio, il nuovo primo ministro, Manuel Valls, sta conducendo una battaglia per ampliare la possibilità del lavoro domenicale. La tesi a sostegno è che si possono creare più posti di lavoro e che, in ogni caso, si garantiscono le possibilità di scelta dei cittadini-consumatori.

"Tra i nostri rappresentati - aggiunge Gabrielli - noi riscontriamo una forte resistenza perché il giorno festivo costituisce l'unica occasione per conciliare i tempi di vita con quelli del lavoro". Nel caso del primo maggio, inoltre, si sconta anche una resistenza "valoriale": "Stiamo parlando di una giornata ad alto valore simbolico che va rispettato".

Alla protesta dei sindacati si unisce, come è avvenuto ieri a Padova, anche la Chiesa mentre a Firenze, giovedì, si terrà l'iniziativa dedicata ai "Cavalli del lavoro", "quelli che stanno nell'ombra ma sono fondamentali". L'istituzione del premio ai Cavalli del lavoro nasce da un'idea di Sergio Staino e la manifestazione si terrà di fronte all'Obihall di Firenze. Sul fronte delle imprese, Confcommercio, con il suo vicepresidente Lino Stoppani, considera "commercialmente fuori luogo" lo sciopero perché "il commercio genera sviluppo e contribuisce a creare posti di lavoro".

Confesercenti, però, in un rapporto sui primi 18 mesi del decreto Salva Italia, ha definito l'apertura continuativa, giorni festivi compresi, "un regime insostenibile" che in 18 mesi ha fatto registrare "un saldo negativo di quasi 32 mila aziende, con la perdita stimata di oltre 90 mila posti di lavoro".

Il sindacato replica illustrando la situazione in Europa. In Germania, ad esempio, per quanto riguarda le domeniche e i festivi esiste un sistema di deroghe con 10 giornate a disposizione delle imprese. Lo stesso accade in Belgio, Austria e Francia. In Italia, al momento, di limiti non ce ne sono più.

 

 

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