CACCIARE CACCIARI! – A VENEZIA NON C’E’ SOLO L’ACQUA ALTA: “ODIO-GRAFIA” DEL SINDACO CHE HA ROVINATO VENEZIA

Goffredo Pistelli per "Italia Oggi"

Che cosa spinge uno storico contemporaneo rispettabile, autore di tre o quattro libri significativi sugli intellettuali italiani durante la Seconda guerra mondiale, su Indro Montanelli, su giornalismo e politica negli anni '50, cosa spinge, dicevamo, uno storico a scrivere un libello pungente e quindi abbondantemente cattivo anche se ironico, documentato?

Raffele Liucci, classe 1971, milanese trapiantato da tempo a Venezia, massacra Massimo Cacciari, filosofo, fondatore democrat, sindaco, autonomista di sinistra, con un pamphlet al fulmicotone, Il politico della domenica, ascesa e declino di Massimo Cacciari, edito da Stampa Alternativa.

Domanda. Liucci, è vero che ha stentato a trovare un editore, come scrive il Fatto quotidiano, e che la bozza circolava via mail come un moderno samizdat?
Risposta. È vero e in parte lo racconto in una postilla al libro, in cui plaudo a Mimmo Franzinelli, lo storico che l'ha presentato all'editore, e l'editore, per aver trovato il coraggio di pubblicarlo. Peraltro anche la recensione di Tomaso Montanari, di cui lei parla, è uscita sul suo blog sul Fatto online e non sull'edizione cartacea del giornale.

D. Perché questo libello su Cacciari?
R. Perché non esiste un sindaco che abbia avuto un tale potere su una città e che abbia governato per così tanti anni. Sembra superato solo da Giorgio Giudici, sindaco di Lugano dal 1984 al 2013.

D. Longevità politica...
R. Nel caso di Cacciari coniugata al malgoverno della città: dal cemento al Lido di Venezia a opere disastrose come il ponte di Santiago Calatrava, di cui per anni ha cercato di nascondere le magagne, finché lo stesso progettista spagnolo ha preso le distanze dalla realizzazione.

D. Lei scrive che se Gustav Aschenbach, il protagonista di La morte a Venezia di Thomas Mann, tornasse al Lido si tirerebbe una rivoltellata in testa ma non a causa dell'ossessione per il biondino Tadzio...
R. Certo, ma perché annichilito dal paesaggio sanguinante. Ed è stata spacciata per riqualificazione. Ma non è solo questo: c'è il «nuovo» Palazzo del Cinema che, allo stato, solo una grande voragine e l'inaugurazione era prevista nel marzo 2011.

Progetto incompiuto anche per la crisi, s'intende. Ma poi c'è il Parco delle rose sventrato, l'ex-Ospedale a mare, gioiello dell'architettura novecentesca, trasformato in centro residenziale e commerciale...

D. Sì, sì la lista che lei fa è lunga e circostanziata. Però lei nel libro rinfaccia al filosofo l'essere un politico con un'inclinazione a creare movimenti e personaggi piuttosto fatui...
R. Cacciari ha sempre avuto questa singolare attitudine. Per le iniziative e per gli uomini. Come quando lanciò Verso Nord, con l'industriale Mario Carraro, e durò lo spazio di un mattino. O come fece quando, nel 2001, voleva candidare Antonio Fazio, banchiere centrale, a leader del centrosinistra.

D. L'avevo quasi dimenticata...
R. Storia grottesca. Lei capisce, Fazio,è un signore ipercattolico, uno che va, legittimamente, alle messe per i caduti di Porta Pia. Insomma uno che con la sinistra non c'entra niente.

D. Una vocazione allo scouting, si potrebbe dire.
R. Sì, che è continuata ma in genere s'è caratterizzata come una sorta di abbraccio mortale. Un po' alla Eugenio Scalfari, che tutti i suoi prediletti polticamente li vedeva poi naufragare.

D. Per esempio?
R. A Umberto Ambrosoli dedicò un vaticinio a mezzo di L'Espresso, spiegando come fosse «la speranza». E Roberto Maroni ha trionfato. E con Giuliano Pisapia invece...

D. Invece?
R. Aveva sbagliato tutto: troppo radicale, diceva, non ce la farà. E fino all'ultimo aveva sostenuto che il miglior soluzione fosse far tornare Gabriele Albertini, col piccolo dettaglio che era ancora un eurodeputato del Pdl.

D: Cacciari non ha risposto al suo libro?
R. No, no. Non proferisce parola ma è il suo carattere, sunteggiato da quella famosa battute di Il marchese del grillo: «Io so' io, e voi non siete un cazzo».

D. Torniamo alla domanda iniziale: perché Cacciari?
R. Perché esemplifica il fallimento di quell'idea degli intellettuali in politica.

D. Lei ne fa il campione di una gruppetto formato da Toni Negri, Mario Tronti, Alberto Asor Rosa...
R. Certo. Cacciari andava con Negri a spiegare Il Capitale di Marx ai cancelli di Porto Marghera: poveri operai.

D. Immagine terribile...
R. Chissà cosa avranno capito: Cacciari è praticamente incomprensibile anche ai colleghi filosofi. Ma è un vizio della cultura italiana: pare che le cose profonde debbano essere necessariamente oscure. Nel mondo anglossassone, uno statistico riesce a farsi capire da chiunque anche scrivendo un saggio della sua disciplina.

D. Dicevamo degli intellettuali, lei scrive, «formatisi nel criogiolo dell'operaismo» e poi protagonisti, nei decenni successivi, «di numerossime giravolte e tripli salti mortali all'indietro».
R. Sì, gente sempre guidata dalla sicumera d'essere dalla parte giusta della Storia, anche se questa parte mutava a ogni chiar di luna in base a logiche imperscrutabili. Banderuole esposte ai quattro venti, hanno trovato nella politica la valvola di sfogo per il loro ego ipertrofico.

D. Eppure è una generazione che ha avuto molto, quella sessantottina. Ne parlavamo giorni fa, da queste colonne, con l'economista Riccardo Puglisi.
R. Avevano vent'anni negli anni '60, che furono un po' l'età dell'oro della nostra democrazia. Non hanno mai avuto il problema di cercarsi un lavoro, nei giornali come nelle università. Un sacco di onori, insomma. L'ultima generazione felice, diciamo, e nonostante questo è una generazione che ha ha fallito.

D. Ora Tronti è pure senatore, voluto da Pier Luigi Bersani, come per un riconoscimento alla carriera...
R. Sì ma Tronti col laticlavio non ha certo l'incidenza che ha avuto Cacciari nel suo lungo periodo di sindaco. Un primo cittadino conta molto più di un senatore, non scherziamo.

D. E lei, infatti, dà i voti a quella lunghissima sindacatura: Cacciari parte bene nel 1993 e poi peggiora via via. Da discreto a insufficiente, a gravemente insufficiente nell'ultimo mandato...
R. Per forza, non ne aveva neppure voglia ma corse alle comunali del 2005 solo per fare un dispetto a Felice Casson, l'altro candidato della sinistra. E prevalse per appena 500 voti.

D. Si diceva del fallimento degli intellettuali in politica. Soprattutto perché per loro, scrive lei, contano solo le interpretazioni e non i fatti...
R. Certo, «quei cattivi fatti che rovinano le belle idee» diceva Lucien Fabre .

D. Ma la crisi dell'intellettualità è più generale. Secondo le sue ricerche, l'intellighentzja italiana, negli anni '40, cercò più la casa in collina che occuparsi della guerra. Furono Spettatori di un naufragio come titola il suo libro. E quelli odierni?
R. Come storico non mi dovrei occupare di presente ma mi pare che la crisi degli intettellettuali rispecchi la crisi della sinistra, in cui non c'è una posizione comune: come in una società molto atomizzata, ognuno parla per sé. Una cacofonia.

D. Qualcuno come Gianni Vattimo, blandisce un po' i violenti, paragonando in NoTav ai manifestanti delle primavere arabe...
R. Vattimo negli anni '80-'90, era un moderato, fautore di un pensiero debole, post-moderno, che superasse le grandi ideologie della sinistra settecentesca. Soltanto con l'avvento di B. ,Vattimo s'è trasformato in quell'estremista che non era mai stato. Ma insomma, è abbastanza poco significativo...

D. Sta a Strasburgo...
R. Appunto. Ora io non sono affatto antieuropeista, ma non c'è organismo più simbolico del Parlamento europeo.

D. La crisi degli intellettuali italiani ha che fare con quella dell'università essendo il luogo che li dovrebbe formare?
R. Non me ne parli: ne sono venuto via dopo il dottorato. La mia forma mentis non si poteva sposare con la consorteria: l'intellettuale deve essere libero, non deve dipendere troppo dei maestri. Perché il ruolo del maestro, nell'Italia familista, può essere pernicioso. Più in generale dell'accademia penso quello che ha scritto Nicola Gardini, oggi docente a Oxford in I baroni. Come e perché sono fuggito dall'università italiana, un luogo che non conosce il merito.

D. Ma insomma, non sarà stato sempre così; nel 1943, Concetto Marchesi, rettore a Padova, coi fascisti in aula magna fece un discorso coraggiosissimo.
R. Era un'altra università, per pochi. Mia madre, che s'è laureata in Lettere antiche, mi racconta di lezioni per quattro o cinque. Quella di cui parlo è l'università che non ha saputo compiere il passaggio dalle élites alla masse.

D. In giro vede segnali di speranza?
R. Sono un pessimista schopenaueriano, non faccio testo (ride). Ma non ne vedo ragioni, onestamente. Quando fra 50-60 anni gli storici analizzeranno i nostri tempi, parleranno dell'età berlusconiana e racconteranno di un'età di declino, in cui l'Italia non è riuscita trovare la propria dimensione. Penso che i berlusconiani onesti concordino.

D. L'età berlusconiana, così come quella giolittiana e fascista.
R. Certo, perché ha avuto una caratterizzazione personale fortissima, che nemmeno quella democristiana ha saputo avere: la Dc è stata Alcide De Gasperi ma anche tanti altri. B. invece è stato uno solo.

D. La Dc, diceva...
R. Tante correnti e molto pluralismo, che ebbe anche effetti benefici, assicurando un ricambio. I governi duravano magari dodici mesi e i segretari di partito qualche anno di più. Certo non quanto B. o quanto Cacciari.

D. Cosa non la convince, oggi?
R. Negli Italiani c'è un'attesa dell'uomo taumaturgico che io non condivido. Un attimo dopo, si dimentica tutto, come dimostra la vicenda di Mario Monti.

D. Oggi, lo si tratta spesso con sarcasmo...
R. E pensi invece quale attesa s'era generata, una popolarità enorme, un consenso del 70%, bulgaro. Ora, non ne ero un grande sostenitore, ma trovo esagerata questa sua liquidazione.D'altra parte...

D. D'altra parte?
R. Gli italiani amano i personaggi alla mano, non il politico grigio, «fumo di Londra». Ma questo è un problema, perché, con la scomparsa dei partiti e delle loro scuole, oggi s'affaccia in politica chi viene dallo spettacolo e dallo sport. Agghiacciante.

 

 

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