1. CHI HA SUSSURRATO A MUKHTAR ABLYAZOV DI LASCIARE LA VILLETTA DI CASAL PALOCCO (E L’ITALIA), PROPRIO IL GIORNO PRIMA DEL “RAPIMENTO” DELLA MOGLIE E DELLA FIGLIA? 2. L’AGENZIA ITALIANA INCARICATA DA ISRAELIANI (SIC!) DI SPIARLO: “L’ULTIMA VOLTA ABLYAZOV VIENE VISTO PRANZARE IL 26 MAGGIO, IN UN RISTORANTE VICINO CASAL PALOCCO” 3. NEL PASTICCIO KAZAKO, C’È ANCHE LO ZAMPONE DEI MAGISTRATI: HANNO FIRMATO L’ESPULSIONE A TEMPO DI RECORD, SENZA DARE IL TEMPO DI DISCUTERE IL RICORSO, E FISSANDO LA DATA AL 25 LUGLIO. PECCATO CHE LEI ERA SULL’AEREO PRIVATO POCHE ORE DOPO 4. SE IL PASSAPORTO DAVVERO ERA FALSO, PERCHÉ NON C’È STATO UN VERO PROCEDIMENTO?

1. IL GIALLO NEL GIALLO - CHI HA PERMESSO AD ABLYAZOV DI SCAPPARE?
Antonio Pitoni per "la Stampa"

Per noi era la "Lady" e "basta...". L'obiettivo, del resto, non era Alma Shalabayeva. La «missione» era un'altra: scovare e monitorare i movimenti del marito, il dissidente kazako Mukhtar Ablyazov. La spystory all'italiana inizia così: con un contratto. Stipulato tra un'agenzia di investigazione israeliana, che commissiona il lavoro, e un'omologa italiana che lo accetta.

«Formalizzammo l'accordo il 18 maggio, ma già da un paio di giorni c'eravamo attivati. E nel giro di poche ore lo rintracciammo nella villetta in via di Casal Palocco», racconta Mario Trotta, ex sottufficiale dei Carabinieri in congedo, oggi socio di maggioranza e amministratore della Sira (Sicurezza investigazioni ricerca analisi).

«Gli israeliani ci indicarono la zona dove ritenevano si trovasse - spiega -. Ci fornirono anche delle foto: un po' per i particolari tratti somatici dell'uomo e dei suoi familiari, vuoi anche per un pizzico di fortuna, la ricerca non fu particolarmente complicata».

L'interesse era mirato. «Ci spiegarono che era un banchiere, che gestiva ingenti flussi di capitali. Erano interessati alle sue frequentazioni proprio in relazione a possibili operazioni finanziarie». Frequentazioni delle quali la Sira, dopo giorni di appostamenti e pedinamenti, non ebbe però alcun riscontro.

«Ablyazov usciva raramente di casa. In tutto sarà capitato cinque volte. In due occasioni per andare al ristorante: ad Ostia, proprio il 18 maggio, due giorni dopo il suo compleanno (è nato il 16 maggio 1963), e l'ultima il 26 in un locale all'Infernetto (periferia sud di Roma). Le altre destinazioni? Il centro commerciale o la palestra vicino casa, che frequentava insieme alla moglie», racconta Trotta.

A portare le bambine a scuola (dove la piccola Alua e la cuginetta erano regolarmente iscritte) ci pensavano i domestici. «Stranieri anche loro, dai tratti somatici non credo kazaki». Per spostarsi usavano due diverse automobili. «Una Volvo e una Lancia Voyager, entrambe con i vetri posteriori oscurati - ricorda l'ex carabiniere -. E ogni volta che una delle due usciva dall'abitazione non sapevamo mai chi ci fosse a bordo. Così qualcuno restava di piantone alla casa, altri seguivano l'auto per verificare se a spostarsi fosse Ablyazov o la moglie».

Curioso che gli israeliani si siano rivolti ad una società come la Sira, costituita il 22 febbraio e iscritta alla Camera di commercio di Roma solo il 6 febbraio. «Ma in realtà io esercito a titolo individuale dal 2008. Verso la fine del 2012 ho ottenuto la licenza civile e ho deciso di costituire la società», precisa Trotta. Certo, il curriculum è notevole. «Undici anni all'antidroga, poi nel Ros dei carabinieri e una medaglia d'oro al valor civile. I servizi segreti? Mai fatto parte», assicura l'ex sottufficiale dell'Arma.

«Il contratto con gli israeliani lo abbiamo discusso qui nel mio ufficio direttamente con un loro emissario. Chi c'era dietro? Non c'erano ragioni per cui ce lo dicessero né per chiederlo noi a loro - spiega -. Non potendo operare nel nostro Paese avevano bisogno di un'agenzia italiana cui affidare l'incarico. Chiesi assicurazioni sul fatto che la persona da monitorare non fosse un esponente di corpi diplomatici, di organismi internazionali né ricercato o latitante: me le diedero e accettai».

Rassicurazioni evidentemente false. «Ma non avrei in alcun modo potuto verificarle senza commettere un reato», si difende Trotta. Cinquemila euro la somma pattuita almeno per la prima fase del lavoro. «Durò circa dieci giorni e dal 28 maggio, giorno del blitz, non avemmo più notizie né contatti», racconta Trotta che ad ogni avvistamento di Ablyazov relazionava «praticamente in tempo reale agli israeliani».

L'ultima volta risale al 26 maggio, dal ristorante dell'Infernetto. Una data che innesca un giallo nel giallo. Il giorno dopo, il 27 maggio, l'ambasciatore kazako, Adrian Yelemessov bussa alle porte del Viminale e il 28 scatta il blitz. La Polizia trova sul posto Trotta e i suoi collaboratori. «In quel momento ero convinto che Ablyazov fosse ancora nella casa», confessa l'ex brigadiere. «Invece...». Del dissidente kazako nessuna traccia. Volatilizzato sotto il naso di un navigato professionista di lungo corso? Trotta si fa scappare un sorriso: «Lasciamo stare...».

2. GIUDICI SPRINT PER CACCIARE LE KAZAKE - NON SOLO LA POLIZIA: 4 PROVVEDIMENTI IN 24 ORE
Stefano Zurlo per "il Giornale"

Un pasticcio in piena regola. In cui anche la magistratura ha messo il timbro della legalità al procedimento spiccio, anzi brutale, concluso con il rimpatrio ad alta velocità della signora Alma Shalabayeva e della figlia.

Anzi, come nota con una punta di malizia il comunicato del governo, le toghe hanno messo un poker di sigilli all'operazione realizzata in silenzio alla fine di maggio. Può sembrare incredibile, ma nell'arco di poche ore, in quelle convulse giornate di fine maggio, il caso Shalabayeva viene esaminato, magari in modo distratto e burocratico, ben quattro volte a Palazzo di giustizia.

Dal giudice di pace, dalla procura presso il tribunale dei minori, non una ma addirittura due volte, poi dalla procura di Roma. Su questo non si discute e la nota di Palazzo Chigi lo mette in rilievo: «La regolarità formale del procedimento e la sua base legale sono state accertate e convalidate da quattro distinti provvedimenti di autorità giudiziarie di Roma». Naturalmente, basta intendersi sulle parole e sui successivi passaggi della catena giuridica amministrativa che ha portato al rimpatrio della moglie del più noto dissidente del Kazakistan.

Si trattava appunto di passaggi tecnici di routine che però hanno finito con il dare il crisma della correttezza ad una vicenda assai anomala. Il punto fondamentale, almeno a sentire i difensori della sfortunata signora, è che è mancato incredibilmente il tempo per discutere il ricorso contro il decreto di espulsione firmato a tempo record dal prefetto di Roma. La data era stata fissata per il 25 luglio. Troppo in là. Con la donna ormai «prigioniera»del regime di Nazarbayev e con la stessa espulsione revocata con la coda fra le gambe dal Governo. Insomma, il match più importante non si è mai disputato perché allestito fuori tempo massimo.

E allora di che cosa si sono occupate le toghe? In realtà proprio fra il 30 e il 31 maggio la vicenda potrebbe prendere un'altra piega, sia pure in extremis, proprio fra il 30 e il 31 maggio: il caso infatti fa la spola fra i diversi uffici giudiziari della capitale. Il 31 maggio dunque, nel giro di poche ore, arriva, passaggio scontato, la convalida del provvedimento del questore di Roma con cui la signora è stata chiusa nel Centro di Ponte Galeria, ma soprattutto viene firmato dalla Procura anche il nulla osta all'espulsione che di per sé è un atto amministrativo.

Però nel caos di quelle ore è stato aperto un procedimento penale perché si ritiene, a torto o a ragione, che la donna abbia presentato un passaporto falso della repubblica Centroafricana. È vero o no? Il punto è che quello potrebbe essere il granello di sabbia che blocca gli ingranaggi. La procura potrebbe fermare il meccanismo ed esaminare con calma tutta la storia, magari forzando un po' la situazione.

Certo, non ci sono coimputati e nemmeno persone offese, insomma vittime di questo comportamento, dunque mancano gli ingredienti per tirarla per le lunghe. Ma, si sa, in Italia siamo abituati a vedere tutto e il contrario di tutto. Invece il nulla osta viene recapitato a tempo record. Senza se e senza ma.

Contemporaneamente anche la procura dei minori si trova a dover gestire la storia, o meglio la posizione della bambina; vengono prese due misure che vanno ad irrobustire il dossier Shalabayeva. Il 30 la minore viene affidata ad un domestico legato alla famiglia, perché la zia, in quel marasma unico punto di riferimento, è già impelagata a tamponare le disavventure del marito e della sorella Alma; l'indomani l'autorità giudiziaria riconsegna la bambina alla mamma che sta per essere imbarcata su un aereo in partenza per il Kazakistan.

Si tratta, a quanto si capisce, di passaggi accessori che però completano l'iter e almeno ad una prima lettura sembrano fornire una cornice di certezze giuridiche all'espulsione di quella che è, in quel momento, una clandestina priva dei requisiti per poter rimanere in Italia.

Non c'è il tempo per entrare nel merito della storia perché il ricorso più importante, quello contro l'espulsione, viene fissato davanti al giudice di pace quando ormai il volo è già atterrato in Kazakistan. Troppo tardi per chi credeva nella nostra giustizia. Certo, anche questo aspetto dovrà essere esaminato nella ricostruzione affidata al capo della polizia. E soprattutto dovrà essere spiegato ad una opinione pubblica ancora frastornata dai troppi punti di domanda.

 

 

 

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