LA POLITICA SECONDO IL BANANA: ARTICOLO QUINTO, CHI HA I SOLDI HA VINTO - SEPOLTURA PER IL “TRADITORE” ALFANO CHE SI GAGA ADDOSSO QUANDO SI PARLA DI SCISSIONE

Ugo Magri per "la Stampa" 

Il Pdl ieri è defunto due volte. In quanto ha cambiato nome diventando Forza Italia. E poi perché, come effetto della metamorfosi, è sul punto di perdere un pezzo importante. Gli alfaniani sono stati messi nella condizione di doversene andare. Non ingannino le parole zuccherose pronunciate dal Cavaliere a sera davanti ai microfoni.

«Angelino gode della mia stima e amicizia... Tutto è chiaro tra noi, resteremo uniti». In realtà, nell'ufficio di presidenza pochi minuti prima, Berlusconi lo aveva esautorato prendendosi i pieni poteri. Al vice-premier, secondo chi gli sta intorno, non resterà che togliere dignitosamente il disturbo. Lo seguiranno a quel punto una trentina di senatori, decisivi per la sopravvivenza del governo, che potrebbero diventare di più casomai un combattutissimo Schifani si unisse alla comitiva.

La separazione è già di fatto consumata sebbene vada in scena il solito balletto degli addii, tra rinfacci e appelli all'unità da ambo le parti. L'addio formale andrà in scena non appena il Cav tornerà alla carica contro Letta. E secondo la Santanché, alla quale va dato atto di avere sempre previsto le mosse del Capo, non ci sarà da attendere a lungo: nelle prossime settimane il calendario politico offrirà molteplici occasioni di scontro, dalla legge di stabilità al voto sulla decadenza di Berlusconi. Nel preciso momento in cui Forza Italia tenterà di staccare la spina, le strade con Alfano si separeranno. I ministeriali resteranno in maggioranza, l'ex premier diventerà capo dell'opposizione.

Gli conviene? Questo è tutto un altro discorso. Perfino tra i suoi circola il dubbio che Berlusconi stia commettendo l'errore da cui non potrà rialzarsi mai più. E proprio per questo, tra le «colombe» meno convinte, qualcuna si spingeva ieri sera a sperare nonostante tutto in una giravolta, di quelle cui il personaggio ci ha ormai abituato: Alfano rimesso in campo come successore all'insegna del «volèmose bene» (speranza tutta basata su una battuta confusa del Cavaliere in conferenza stampa, a proposito di Angelino che «potrà continuare il suo ruolo»).

Certo, tutto può ancora accadere nel pianeta di Arcore. Al momento, però, i sentimenti berlusconiani sono di ben altro tipo. Brucia nell'uomo la voglia di vendicare l'onta di venti giorni fa, la crisi annunciata e poi fallita per colpa dei «traditori», quando i giornali di tutto il mondo gli risero dietro.

Berlusconi l'ha rinfacciato ad Alfano e agli altri 4 ministri Pdl che, verso l'ora di pranzo, sono andati a intimargli di non procedere nel pomeriggio all'azzeramento delle cariche interne. «Voi il 2 ottobre mi avete fatto uno sfregio», è il senso dello sfogo berlusconiano, «schierandovi con Letta mi avete complicato la vita anche sul piano giudiziario perché i pm ora pensano di potermi colpire impunemente... Ora il vostro gesto mi costringe a riprendere in mano il partito per dimostrare a tutti che non sono diventato un bersaglio».

Quelli hanno provato a resistere con la schiena dritta, e lui ha proseguito come un panzer: «Su Forza Italia eravamo tutti d'accordo. Sono io che non vi vado bene?». Pare che durante la conversazione si sia addirittura ipotizzato un divorzio consensuale, di dar vita a due partiti diversi ma alleati tra loro (Berlusconi non ha chiuso la porta, anzi pare ci stia ragionando sopra da settimane).

Sta di fatto che la richiesta di disdire l'ufficio di presidenza, convocato per le cinque del pomeriggio, è stata respinta. Alfano e i ministri per protesta non ci sono andati. L'organismo si è riunito e ha deliberato il trapasso dal Pdl a Forza Italia, l'azzeramento delle cariche interne, i pieni poteri al Fondatore.

Approvato pure un documento dove si conferma la fiducia al governo, ma a patto che rispetti gli impegni programmatici: insomma mani libere, specie se il Pd «pugnalerà» Berlusconi sulla decadenza. Ora la partita si sposta al Consiglio nazionale dell'8 dicembre, in contemporanea con la scontata elezione di Renzi. Su 800 delegati, i «lealisti» sostengono di controllarne oltre i due terzi. Quasi tutte le regioni pendono verso il Cavaliere, a parte Sicilia e Calabria, più quella fetta del Nord che fa capo a Cl. Se si votasse domani, Silvio vincerebbe a mani basse. La battaglia, ma non la guerra.

 

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