RE GIORGIO RICORDA LORIS D’AMBROSIO CON DOLORE E LA RABBIA: “VITTIMA DI UN PERVERSO GIUOCO POLITICO-GIUDIZIARIO E MEDIATICO”

Giovanni Bianconi per "Corriere della Sera"

L'amarezza di Giorgio Napolitano torna a farsi sentire nel giorno del ricordo del suo consigliere giuridico Loris D'Ambrosio, testimone dell'inchiesta sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia divenuto, scandisce il presidente della Repubblica riprendendo le parole del professor Fiandaca, «vittima di un perverso giuoco politico-giudiziario e mediatico».

Un destino «paradossale e iniquo», aggiunge il presidente per sottolineare una volta di più il disappunto per ciò che accadde nell'indagine palermitana sui segreti della stagione delle stragi. E che potrebbe ancora accadere, quando entrerà nel vivo il processo scaturito da quell'indagine, dove l'ex ministro Nicola Mancino (intercettato al telefono mentre chiedeva aiuto al consigliere del Quirinale) è imputato di falsa testimonianza.

Nelle ricostruzioni più aderenti alle tesi dell'accusa che si ricaverebbero dagli ultimi documenti depositati dai pubblici ministeri, D'Ambrosio viene indicato come colui che, sollecitato da Mancino, attivò un meccanismo per «scippare» l'inchiesta ai magistrati di Palermo attraverso l'intervento della Procura nazionale antimafia all'epoca guidata da Piero Grasso - il presidente del Senato che ieri sedeva accanto al capo dello Stato nella cerimonia in memoria di D'Ambrosio -, il quale avrebbe resistito alle pressioni e respinto l'ipotesi di avocazione dell'inchiesta (in realtà mai adombrata da D'Ambrosio, come risulta proprio dalle intercettazioni).

Ieri un paio di quotidiani hanno dato conto delle nuove carte scoperte dall'accusa, e Napolitano ha voluto inserire nel suo intervento due righe per ribadire la «natura mistificatoria» di quelle ipotesi che «si è fatta risentire proprio oggi, forse in non casuale coincidenza con questo incontro». Come a immaginare un proseguimento della strategia giudiziaria e mediatica che coinvolse il suo consigliere morto d'infarto nel pieno delle polemiche scaturite dalla divulgazione delle telefonate tra lui e Mancino.

Sembra una ferita mai rimarginata, la contrapposizione che si venne a creare tra il Quirinale e la Procura di Palermo; per via della vicenda D'Ambrosio-Mancino prima ancora che per le intercettazioni casuali dello stesso presidente della Repubblica che sfociarono nel conflitto istituzionale davanti alla Corte costituzionale.

Una ferita che potrebbe riaprirsi fin dalla prossima udienza del processo sulla trattativa, quando i pm torneranno a illustrare le ragioni per cui vogliono ascoltare come testimoni non solo lo stesso Napolitano - su eventuali confidenze ricevute dal consigliere deceduto - ma anche Grasso, il pg della Cassazione Ciani e altri protagonisti della vicenda.

Nella quale - ricorda l'ex presidente della Cassazione Ernesto Lupo, suo successore al Quirinale - D'Ambrosio ha solo «incanalato nei binari della legalità» quello che stava avvenendo.

 

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