UN QUARANTOTTO A VIA XX SETTEMBRE – IL VAFFA DELLA REICHLIN: “NON CONDIVIDO IL PIANO DI RENZI E NON VADO IN EUROPA A CHIEDERE DI SFORARE IL 3% SENZA AVER CONCORDATO PRIMA LE RIFORME”

Fabio Martini per "la Stampa"

La pressione, che è continuata, su Enrico Letta perché accetti di fare il ministro dell'Economia, dimostra e conferma che il presidente incaricato Matteo Renzi per ora naviga a vista nella definizione della "casella" più importante di tutte. Il premier dimissionario non ha cambiato idea, neppure davanti all'ipotesi di una Economia arricchita dalle Politiche comunitarie, una sorta di super-ministero Italia-Europa.

La risposta di Letta agli interlocutori è stata cortese, ma lui informalmente e successivamente l'ha sintetizzata così: «No. Punto». Le pressioni su Letta segnalano una difficoltà sul dicastero più strategico, ma anche quanto sia complesso riuscire a realizzare il piano di Matteo Renzi nel rapporto tra i ministeri-chiave.

Il presidente incaricato immagina di costruire una sorta di testuggine lungo l'asse Palazzo Chigi-XX Settembre, un blocco unico pronto a lanciare tutte le sfide e poi a realizzarle. In particolare nella sua sfida verso i conservatorismi europei, «una sfida rispetto alla quale bisogna anche saper essere impopolari a Bruxelles», dice il renziano Matteo Richetti, con l'obiettivo di imprimere uno choc ad dibattito finora ripetitivo e sterile su crescita e rigore.

Ma il piano della testuggine presuppone una sintonia totale tra presidente del Consiglio e ministro dell'Economia e da questo punto di viste le pressioni su Letta mal si conciliano con questa impostazione. Ma non soltanto Enrico Letta ha opposto il suo «niet».

Ieri si sono persi per strada (o quasi) altri due papabili ministri: Fabrizio Barca e Lucrezia Reichlin. Il primo è fuori non solo perché non ha alcuna intenzione di entrare al governo, ma anche perché sarebbe impossibile farlo entrare in gioco dopo tranello che gli ha tirato la trasmissione radiofonica la "Zanzara".

Già ministro per la Coesione nel governo Monti, tra i principali teorici di una politica economica di "sinistra", ieri pomeriggio Barca - immaginando di parlare con Vendola e non invece con un suo imitatore - ha svelato di aver già detto di no a Renzi, di considerare impossibile la realizzazione con questo governo di riforme incisive come una corposa patrimoniale e di considerare immorale lo sfratto a Letta.

Uno scherzo dal quale l'intergrità della figura di Barca è uscita rafforzata, al tempo stesso annullando qualsiasi speranza di coinvolgerlo nel nuovo governo. E ieri si è fatta via anche Lucrezia Reichlin, economista con un nome da difendere, che da una settimana è chiamata in causa dai giornali come papabile all'Economia e che ha consentito di scambiare qualche battuta con una giornalista dell'Unità. Dice la Reichlin: «Io non vado in Europa a chiedere di sforare il 3% senza aver concordato prima con il premier le riforme necessarie all'Italia». Cosa che, finora, non è accaduta: «Non conosco il piano di Renzi e quel poco che ho letto finora non lo condivido».

E considerando che si fatica a trovare un ministro politico che occupi questa poltrona, due sere fa è stato riservatamente avviato un sondaggio su Carlo Padoan, fresco presidente dell'Istat, già vice Segretario Generale dell'Ocse. Il rischio di binario morto è confermato anche dalla ipotesi, che pure non trova conferma, che alla fine a prendersi l'onere dell'Economia possa essere Graziano Delrio, uomo di fiducia di Renzi.

Ieri mattina il quasi-premier ha incontrato il presidente della Ferrari Luca Cordero Montezemolo, provando a sondarne le disponibilità per un ministero di rillievo, ma l'incontro è stato interlocutorio. Complicata resta la partita a scacchi con il Nuovo centro destra, anche se Beatrice Lorenzin e Maurizio Lupi sembrano certi di poter ottenere la conferma. Con una preoccupazione ulteriore per Renzi, che si affianca a quella del toto-ministri: l'affare Etihad rischia di essere messo in discussione per effetto dello sconcerto suscitato tra gli emiri per l'azzeramento del promotore dell'intesa, Enrico Letta.

 

 

 

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