UNA LEOPOLDA IN STILE SALA BINGO - RENZI FA APPARECCHIARE “CENTO TAVOLI” DI DISCUSSIONE PER RIEMPIRE DI FUFFA IL SUO GIORNO DI GLORIA

1 - DAL FEMMINICIDIO ALLE RIFORME. I CENTO TAVOLI DI RENZI
Francesca Schianchi per "la Stampa"

«S'era in cinque quando sono diventata renziana io...», ride la vicesindaca di Firenze, Stefania Saccardi, all'ingresso della Leopolda, guardandosi intorno, mentre poco più in là si ingrossa la coda al buffet - penne alle verdure, bocconcini di pollo coi piselli, prosciutto e frutta, 15 euro per la cena di ieri e il pranzo di oggi. Sono le otto di sera e si sta per aprire la versione 2013 della Leopolda, la quarta, la prima in cui «la strada è in discesa», come ammette Giacomo Bei, avvocato e amico di Renzi, la prima in cui si moltiplicano le facce note, parlamentari e amministratori, un anno fa con Bersani e oggi folgorati sulla strada di Matteo.

«L'anno scorso essere qui voleva dire essere contro qualcuno, stavolta è tutto cambiato», considera Roberto Reggi, che un anno fa guidava le truppe renziane all'assalto delle primarie, «gli scagnozzi di Bersani», gli scappò detto, e furono polemiche. Quest'anno, scenografia vintage - con una vecchia Fiat 500 e una Vespa sul palco, oggetti degli anni 50-60, a ricordare gli anni del boom e della crescita - e centinaia di persone, renziani vecchi e nuovi. Si inizia da cento tavoli rotondi, in un'atmosfera a metà strada tra la sala da matrimoni e la tombolata: in ognuno si discute per novanta minuti di un tema, un politico a coordinare e un esperto a fare da «provocatore».

Dal femminicidio, coordinato dal fedelissimo David Ermini, alla legge elettorale (ben due tavoli dedicati), dai social network alla (affollatissima) discussione sulla legge Bolkestein sugli stabilimenti balneari fino al consesso dedicato all'oscuro tema del packaging for news. Seguitissimo il tavolo delle riforme, numero 56, a coordinare i renziani della prima ora Dario Nardella e Francesco Clementi («io sono renziano dentro»).

La discussione sulle infrastrutture immateriali la conduce il governatore della Liguria Claudio Burlando; ai diritti civili l'ex deputata Paola Concia; il deputato di Scelta civica (in allontanamento) Edoardo Nesi, scrittore premio Strega, al Made in Italy; il fedelissimo di Franceschini, Piero Martino, alla comunicazione.

Al tavolo sulla giustizia, coordina il sindaco di Bari Emiliano, ma non si dica che è renziano, «non ho mai aderito a una corrente». Nel Pd di Matteo però ci crede, «spero di essere protagonista, non come con Bersani». Quello sul lavoro è guidato da Marianna Madia: «L'altra volta ho sostenuto Bersani perché sui temi di cui mi occupo, sul lavoro, mi riconoscevo di più. Dopo il pasticcio sull'elezione del presidente della Repubblica, ho capito che il problema è prepolitico, strutturale. Con Matteo credo si possa cambiare».

Alle pareti un collage di frasi, da Domenico Modugno a Einstein, da Kennedy a Camus a Gandhi. Ognuna potrebbe essere uno slogan per Renzi. Sul futuro, sulla speranza, il sogno. E anche la vittoria: «Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci».

2 - I CENTO TAVOLI DI MATTEOLANDIA
Filippo Ceccarelli per "la Repubblica"

A Matteolandia sono tutti felici. Superato il concetto di palco, emarginata la nomenklatura, abolita la vecchia e spesso tumultuosa platea, attorno ai cento e più tavoli apparecchiati vige un allegro caos conviviale.

CHI mangia, chi passeggia, chi telefona, chi tiene le relazioni, chi si connette con il resto del mondo mentre Renzi, raddoppiato nella sua presenza corporea e in pixel, con gesticolante buonumore risponde in diretta alle domande di Lilli Gruber, che però sta a Roma.

A Matteolandia se la prendono comoda. Che fretta c'è? La vecchia stazione granducale è
in realtà il parco tematico del rinnovamento della politica, altrimenti detto renzismo, e chi c'è venuto non può che rallegrarsene.

Va da sé che il Pd non c'entra nulla, e infatti nelle due sale non c'è il minimo segno che possa ricordarne l'esistenza, a parte alcune anime di ex bersaniani in pena e desiderosi di accoglienza. Il fenomeno della Leopolda è qualcosa che va ben oltre le scenografie tecno-vintage - il Vespone, la lavagna tipo scuola, le sedioline da bar dell'era preplastica - disseminate con apparente noncuranza.

Nel pieghevole di benvenuto, con semiotica pedagogia gli indefessi comunicatori di Proforma spiegano che si tratta di un "mix di stili e oggetti/ fuori dal tempo ma legati ai ‘50 e ‘60/ spinta ideale dell'Europa e dell'Italia" eccetera. Così come la trovata delle cento parole e dei cento tavoli, un colpo d'occhio che evoca un matrimonio e un bingo, prevede che ce ne siano (anche) deputati al marketing, o agli stabilimenti balneari, o al femminicidio, o al packaging for news.

No. Quando si dice parco tematico del renzismo s'intende che l'evento è stato messo in piedi tenendo conto del primato delle forme sui contenuti, della scena sui retroscena, dello spettacolo sulla politica, quindi delle emozioni sui ragionamenti, della seduzione sulla persuasione, delle battute sulle analisi, della vittoria, in ultimissima analisi, su tutto il resto.

A una certa ora, chiuso il format Guber, Renzi è riapparso ormai senza cravatta con l'onorevole Boschi e con il regista scrittore Brizzi, tutti e tre allineati in visione su specie di trespoli, davanti a un computer che rilanciava il simbolo della Apple.

Ma lui parlava molto più degli altri, e anzi si può dire che ha assunto il vero ruolo del comando di questo tempo, quello di impresario regista conduttore venditore e intrattenitore unico della serata, ricevendo domande sia dagli astanti che sollecitandole dai fans dei social. Il dispositivo dialogante gli è servito a presentare vari personaggi, altri ne ha evocati, altri ancora trascurati, con nessuno è stato aspro.

In compenso ha ripetuto l'elogio del marketing Coca cola (o Nutella) che invita i consumatori a condividere il prodotto con questo o con quello chiamandolo per nome - "Non c'è più bel suono da ascoltare che quello del proprio nome" diceva del resto anche Berlusconi, che di queste cose se ne intende. E comunque, per dire come i segni del consumo influenzano la vita pubblica, sul bancone del bar della Leopolda c'era impresso l'avviso: "Condividi un caffè", e anche, con la stesso tono prescrittivo: "Fai sapere ai tuoi amici che sei a #Leopolda.

Da quelle parti c'era lo spazio bimbi, con i gonfiabili, ma senza bimbi. Si sono visti anche due o tre cani, al guinzaglio. Interessante la selezione dei video. Il big bang jovanottiano accompagnava un bellissimo, ma straniante filmato in cui tutto - da Hitler alla natura, dai bombardamenti alle manifestazioni - girava. Ce n'era poi un altro dal codice Extreme, salti, tuffi, voli, valanghe, pattinatori selvaggi, sciatori pazzeschi, skateboard micidiali e la musica di Takatà-Takatà. Per i romantici brani pomicioni e sequenze di Terrence Mallick, regista di culto.

E poi lui, Renzi, finalmente, che saluta, ride, corre addirittura, in mezzo alla folla, con percussioni di sottofondo. Un politico? No, veramente, piuttosto un idolo pop.
Sulle pareti e ai microfoni, intanto, la retorica di Matteolandia risuonava con la sua energia più accettabile, ma anche innocua. "Diamo un nome al futuro", quasi un rito battesimale. E poi velocità, speranza, eccellenza, sogno, "storie belle da raccontare" come teorizzato dalla Boschi.

Ma le parole in questi casi sfuggono, vivono di vita propria, e mentre lo spettacolo proseguiva costruttivamente dopo la cena, veniva il dubbio, ma ci si sentiva anche un po' cinici a valutarlo nelle sue finalità. Perché tutto qui sembra effettivamente cool, ma per questo anche piuttosto astuto; e pure smart, però fragile rispetto a come sono messe le cose a pochi metri, fuori dai cancelli della Leopolda.

 

 

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