RENZI, FUORI DALLA PALUDE - SILURATI MAURO E MINEO, LA RIFORMA DEL SENATO È FATTA E METTE BERLUSCONI DI FRONTE A UNA SCELTA OBBLIGATA – IL DUELLO DI PITTIBIMBO CON IL DALEMIANO PADOAN - ‘’APRIREMO IL DOSSIER RAI’’

Maria Teresa Meli per Corriere della Sera

 

RENZI NELLIMITAZIONE DI BERLUSCONI NELLA RECITA PARROCCHIALE DEL RENZI NELLIMITAZIONE DI BERLUSCONI NELLA RECITA PARROCCHIALE DEL

«Bene, va bene così». Mentre torna nella sua Toscana, Matteo Renzi ha tutto tranne che l’aria di uno che è preoccupato per quello che faranno i senatori del Pd autosospesi e che perciò è in ambasce per le sorti delle riforme istituzionali.

 

Piuttosto, vorrebbe dormire, ma le continue telefonate di amici e collaboratori non glielo permettono. E diventa inevitabile fare il punto su una strategia che, alla fine, si è rivelata «vincente», anche se a qualcuno è apparsa un po’ troppo grintosa.

 

renzi berlu f ef b f a d e b c kFQH U D x LaStampa it renzi berlu f ef b f a d e b c kFQH U D x LaStampa it

«Vogliamo dirci la verità? Ormai la riforma del Senato è fatta, la vicenda è chiusa. Manca qualche dettaglio tecnico, ma quelle sono cose che si aggiustano. La sostituzione di Mauro e Mineo mi è servita per poter mettere Berlusconi di fronte a una scelta obbligata: “Noi facciamo passare il provvedimento in commissione, perché abbiamo i numeri, e tu ora che fai?”. La storia del patto con la Lega non esiste, c’è, come è normale, un confronto parlamentare pure con loro. Ora, comunque, Berlusconi non ha più scuse».

 

PADOAN FIDUCIA AL GOVERNO RENZI IN SENATO FOTO LAPRESSE PADOAN FIDUCIA AL GOVERNO RENZI IN SENATO FOTO LAPRESSE

Già, ma dicono che il leader di Forza Italia voglia togliersi dall’angolo rilanciando sul presidenzialismo o comunque su un rafforzamento dei poteri del governo. Sarebbe questo il suo modo di rimettere il cerino nelle mani del segretario del Partito democratico. Il quale, però, non ha nessuna intenzione di farsi coinvolgere in un nuovo, estenuante «tira e molla»: «Eh no, se lui mi propone una cosa del genere, io gli rispondo semplicemente così: “Intanto si fa questa riforma, quella del Senato e del titolo quinto della Costituzione, poi, ragioniamo sul resto” ».

BERSANI E MINEO ALLA FESTA DEL PD DA YOUDEMBERSANI E MINEO ALLA FESTA DEL PD DA YOUDEM

 

Insomma, il provvedimento del governo ha la precedenza, dopodiché il premier non chiude la porta a un successivo confronto, ma prima vuole essere certo di portare a casa la riforma istituzionale promessa. Niente «mercanteggiamenti». Del resto, non li ha fatti nemmeno con i senatori dello stesso Pd: «Io — è il ragionamento che è andato facendo in questi giorni con i collaboratori più fidati — non voglio che tutti siano allineati a me e mi obbediscano, ma non voglio nemmeno l’anarchia. Chi rappresenta il Pd non può giocare contro il proprio partito, le sue possibilità di andare avanti, le sue speranze. E, soprattutto, non può giocare contro le attese di quel 40,8 per cento di italiani che ci ha dato il voto».

 

dario nardella allo stadio dario nardella allo stadio

E che il presidente del Consiglio non sia un tipo da tirarsi indietro lo ha ben capito Corradino Mineo che l’altro ieri sera, verso la parte finale della trasmissione di Enrico Mentana, Bersaglio mobile , tentava un possibile «recupero» della situazione con il sindaco di Firenze, il renziano Dario Nardella.

 

Il premier, del resto, una cosa l’ha ben chiara in testa: «Non voglio fare la fine del secondo Prodi». Di quel governo, cioè, che fibrillava al Senato un giorno sì e un giorno no, finché non è caduto. Allora, per quel che lo riguarda, meglio andare a votare, piuttosto che restare impantanato nell’odiata «palude», fino ad affondare.

Stefano Fassina Stefano Fassina

 

Davanti agli italiani Renzi potrà sempre dire chi sono stati quelli che non gli hanno consentito di fare le riforme e ognuno a quel punto si prenderà le proprie responsabilità. Ma il premier è comunque convinto che «nessuno voglia andare alle elezioni». Quanto a lui, vorrebbe «continuare a rottamare».

 

Roberto Garofoli Roberto Garofoli

Non ha ancora finito. Ne hanno avuto una dimostrazione proprio ieri i bersaniani, che hanno dovuto ingoiare l’elezione alla presidenza del Pd del «giovane turco» Matteo Orfini, davanti a un giubilante Andrea Orlando, quando loro proponevano altri candidati.

 

Pierluigi Bersani Pierluigi Bersani

Ne hanno avuto un piccolo assaggio i rappresentanti dell’alta burocrazia, i «mandarini», come li chiama il premier. Per esempio, il capo di gabinetto del ministro Padoan, Roberto Garofoli, individuato dai renziani come uno dei frenatori dei provvedimenti del presidente del Consiglio.

 

A un certo punto nel provvedimento sulla P.A. è spuntata una norma che prevedeva l’incompatibilità tra il ruolo di magistrato e quello di capo di gabinetto. Per Garofoli significava dover tornare in Consiglio di stato. La norma è poi scomparsa, ma i renziani più maliziosi dicono che da allora Garofoli abbia cambiato atteggiamento.

 

E non è un caso che l’altro ieri la candidata del premier alla guida dell’Agenzia delle entrate, Rossella Orlandi, abbia avuto la meglio su Marco Di Capua, sostenuto dai grandi burocrati del ministero dell’Economia.

Giacomelli Antonello Giacomelli Antonello

 

E ora? E ora, annuncia Renzi, in perfetta sintonia con il sottosegretario alle Telecomunicazioni Antonello Giacomelli, «apriremo il dossier Rai». Dicono che ai piani alti di viale Mazzini come a Saxa Rubra si siano avvertiti dei movimenti tellurici...

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