segretari pd zingaretti renzi veltroni bersani franceschini epifani martina

PD, UN PARTITO MAL RIUSCITO - SE NICOLA ZINGARETTI DOVESSE CONFERMARE LE DIMISSIONI, SAREBBE IL SETTIMO SEGRETARIO TRITURATO IN QUATTORDICI ANNI - DEI SUOI SEI PREDECESSORI, INFATTI, SOLTANTO UNO - DARIO FRANCESCHINI - MILITA ANCORA NEL PD. GLI ALTRI, O SE NE SONO ANDATI FONDANDO NUOVI PARTITI (BERSANI, EPIFANI E RENZI) OPPURE HANNO PREFERITO DEDICARSI AD ALTRO (VELTRONI E MARTINA)…

Federico Geremicca per “la Stampa”

 

NICOLA ZINGARETTI

Se Nicola Zingaretti dovesse confermare le dimissioni clamorosamente annunciate ieri, ci troveremmo di fronte alla resa del settimo segretario democratico in appena quattordici anni. Non solo. Dei suoi sei predecessori, infatti, soltanto uno - Dario Franceschini - milita ancora nel Pd. Gli altri, o se ne sono andati fondando nuovi partiti (Bersani, Epifani e Renzi) oppure hanno preferito dedicarsi ad altro (Veltroni e Martina). Sommando i due dati, appare evidente come l' ora della verità - per il Pd - sia ormai vicina: e come le dimissioni di Zingaretti dovrebbero dare il via a riflessioni capaci di andare ben oltre la pur complicata contingenza.

 

dario franceschini 6

Diciamo la verità: non è stato un bel modo di lasciare, quello del segretario. E non tanto per la rivendicazione di meriti e successi sui quali si potrebbe ragionare a lungo. A colpire, infatti, sono state soprattutto le parole pesantissime utilizzate per descrivere il partito che tutt' ora dirige: un collettivo del quale vergognarsi, composto da persone sleali e irresponsabili, che litigano e parlano solo di poltrone. Giudizi inappellabili, con i quali Zingaretti sembra bruciarsi tutti i ponti alle spalle, in barba alle voci maliziose che descrivono la sua mossa come un tentativo di riacclamazione.

 

bersani

Ma perché il segretario ha deciso così all' improvviso di gettare la spugna? C' entrano, naturalmente - come c' entrano però sempre - le polemiche interne, le battaglie tra correnti e le inevitabili guerre di potere. Ma sarebbe sbagliato non vedere come nell' ultimo paio di mesi la posizione di Zingaretti di fronte a quegli attacchi si fosse ulteriormente indebolita. Potremmo definirlo un effetto dell' onda lunga della caduta del Conte 2: e non è infatti casuale che la crisi stia travolgendo proprio i partiti della vecchia maggioranza, a tutto vantaggio del centrodestra, che per il momento appare assai più a suo agio di fronte alle prime mosse di Mario Draghi.

 

EPIFANI

È senz' altro vero, naturalmente, che le condizioni in cui versava il Pd quando scelse Zingaretti come segretario, erano drammatiche: minimo storico al 18%, un partito stravolto dal renzismo, l'« ala sinistra» uscita rumorosamente dal partito. Ma è sensato affermare che oggi siano migliori? La slavina che, elezione dopo elezione, ha travolto negli ultimi due anni le regioni a guida centrosinistra è certificata dai numeri.

 

Mentre a certificare l'astratezza della svolta impressa da Zingaretti - intendiamo il "patto strategico" con i Cinquestelle e il ruolo di Giuseppe Conte - ci sono invece gli eventi politici delle ultime settimane: l'avvitamento del movimento grillino e la scoperta che una discesa in campo dell' ex premier ridurrebbe il Pd ad un partito di centro classifica, diciamo così.

In più, appare sempre più arduo presentare la nascita del governo Draghi come un successo per il Pd.

 

matteo renzi 1

Nell' esecutivo, infatti, il suo peso è drasticamente ridotto, se solo si pensa che i tre ministeri strategici che occupava in fase di pandemia (Economia, Infrastrutture e rapporto con le Regioni) sono stati assegnati a tecnici o addirittura a esponenti di Forza Italia. Inoltre, il peso politico che esercita sull' esecutivo è praticamente nullo: e se a questo si aggiunge la caduta di uomini-simbolo della maggioranza giallorossa (da Arcuri a Borrelli) è chiaro come il quadro, per il Pd, non sia precisamente esaltante.

 

walter veltroni legge il suo libro con i suoi articoli

Quello che Zingaretti lascia, insomma, è un partito in cattiva salute e, soprattutto, senza più una bussola. Aver abbandonato per strada alcune delle scelte originarie (dalla vocazione maggioritaria al bipolarismo) a vantaggio di opzioni o tristemente note (un sistema elettorale proporzionale) o del tutto inedite (il patto con i Cinquestelle e il ruolo di leadership da assegnare a Conte), ha alimentato la confusione.

maurizio martina in prefettura a siracusa

 

Anche per questo la resistenza a discutere in un Congresso la rotta da tracciare, appare incomprensibile. Vedremo le prossime mosse di Zingaretti e la strada che sarà imboccata. Occorre fare in fretta. E discutere davvero, per evitare che sia la storia a confermare quel che disse Massimo D' Alema appena un anno dopo la nascita del Pd: «È un amalgama mal riuscito» . Giudizio, fino ad ora, difficile da contestare.

Ultimi Dagoreport

alessandro giuli pietrangelo buttafuoco arianna giorgia meloni beatrice venezi nicola colabianchi nazzareno carusi tiziana rocca giulio base

''L’ESSERE STATI A CASA MELONI O DI LA RUSSA NON PUÒ ESSERE L’UNICO O IL PRIMO REQUISITO RICHIESTO PER LE NOMINE CULTURALI’’ - LETTERA A DAGOSPIA DI PIERLUIGI PANZA: “SONO TRA LE ANIME BELLE CHE QUANDO GIORGIA MELONI HA VINTO LE ELEZIONI HA SPERATO CHE, AL POSTO DEL PLURIDECENNALE AMICHETTISMO ROMANO DI SINISTRA SI AVVIASSE UN METODO, DICIAMO SUPER-PARTES, APERTO (MAGARI ANCHE SOLO PER MANCANZA DI CANDIDATI) E TESO A DELINEARE UNA CULTURA LIBERALE LEGATA AL PRIVATO O ALLE CONFINDUSTRIE DEL NORD… POVERO ILLUSO. IL SISTEMA È RIMASTO LO STESSO, APPLICATO CON FEROCE VERIFICA DELL’APPARTENENZA DEL CANDIDATO ALLA DESTRA, MEGLIO SE ROMANA DI COLLE OPPIO, PER GENEALOGIA O PER ADESIONE, MEGLIO SE CON UNA PRESENZA AD ATREJU E CON UN LIBRO DI TOLKIEN SUL COMODINO - LE NOMINE DI GIULI, BUTTAFUOCO, CRESPI, VENEZI, COLABIANCHI, BASE & ROCCA, IL PIANISTA NAZARENO CARUSI E VIA UNA INFINITÀ DI NOMI NEI CDA, NELLE COMMISSIONI (IN QUELLA PER SCEGLIERE I 14 NUOVI DIRETTORI DEI MUSEI C’È SIMONETTA BARTOLINI, NOTA PER AVER SCRITTO "NEL BOSCO DI TOLKIEN, LA FIABA L’EPICA E LA LINGUA") 

salvini calenda meloni vannacci

DAGOREPORT – LA ''SUGGESTIONE'' DI GIORGIA MELONI SI CHIAMA “SALVIN-EXIT”, ORMAI DIVENTATO IL SUO NEMICO PIU' INTIMO A TEMPO PIENO - IN VISTA DELLE POLITICHE DEL 2027, SOGNA DI LIBERARSI DI CIO' CHE E' RIMASTO DI UNA LEGA ANTI-EU E VANNACCIZZATA PER IMBARCARE AL SUO POSTO AZIONE DI CARLO CALENDA, ORMAI STABILE E FEDELE “FIANCHEGGIATORE” DI PALAZZO CHIGI - IL CAMBIO DI PARTNER PERMETTEREBBE DI ''DEMOCRISTIANIZZARE" FINALMENTE IL GOVERNO MELONI A BRUXELLES, ENTRARE NEL PPE E NELLA STANZA DEI BOTTONI DEL POTERE EUROPEO (POSTI E FINANZIAMENTI) - PRIMA DI BUTTARE FUORI SALVINI, I VOTI DELLE REGIONALI IN VENETO SARANNO DIRIMENTI PER MISURARE IL REALE CONSENSO DELLA LEGA - SE SALVINI DIVENTASSE IRRILEVANTE, ENTRA CALENDA E VIA A ELEZIONI ANTICIPATE NEL 2026, PRENDENDO IN CONTROPIEDE, UN'OPPOSIZIONE CHE SARA' ANCORA A FARSI LA GUERRA SUL CAMPOLARGO - LA NUOVA COALIZIONE DI GOVERNO IN MODALITÀ DEMOCRISTIANA DI MELONI SI PORTEREBBE A CASA UN BOTTINO PIENO (NUOVO CAPO DELLO STATO COMPRESO)....

donald trump vladimir putin xi jinping

DAGOREPORT - PERCHÉ TRUMP VUOLE ESSERE IL "PACIFICATORE GLOBALE" E CHIUDERE GUERRE IN GIRO PER IL MONDO? NON PER SPIRITO CARITATEVOLE, MA PER GUADAGNARE CONSENSI E VOTI IN VISTA DELLE ELEZIONI DI MIDTERM DEL 2026: IL PRESIDENTE USA NON PUÒ PERMETTERSI DI PERDERE IL CONTROLLO DEL CONGRESSO - SISTEMATA GAZA E PRESO ATTO DELLA INDISPONIBILITÀ DI PUTIN AL COMPROMESSO IN UCRAINA, HA DECISO DI AGGIRARE "MAD VLAD" E CHIEDERE AIUTO A XI JINPING: L'OBIETTIVO È CONVINCERE PECHINO A FARE PRESSIONE SU MOSCA PER DEPORRE LE ARMI. CI RIUSCIRÀ? È DIFFICILE: LA CINA PERDEREBBE UNO DEI SUOI POCHI ALLEATI....

fabio tagliaferri arianna meloni

FLASH! FABIO TAGLIAFERRI, L’AUTONOLEGGIATORE DI FROSINONE  CARO A ARIANNA MELONI, AD DEL ALES, CHE DOVREBBE VALORIZZARE IL PATRIMONIO CULTURALE DEL PAESE, PUBBLICA SU INSTAGRAM UNA FOTO DELLA PARTITA LAZIO-JUVENTUS IN TV E IL COMMENTO: “LE ‘TRASMISSIONI’ BELLE E INTERESSANTI DELLA DOMENICA SERA” – DURANTE IL MATCH, SU RAI3 È ANDATO IN ONDA UN’INCHIESTA DI “REPORT” CHE RIGUARDAVA LA NOMINA DI TAGLIAFERRI ALLA GUIDA DELLA SOCIETÀ IN HOUSE DEL MINISTERO DELLA CULTURA…