SILENZIO, PARLA GERONZI! - MARIO MONTI? UN CINCINNATO; TREMONTI? UN UOMO “MOLTO CAPACE, CAPACE DI TUTTO”; GALATERI? “UN PIUMINO DA CIPRIA, UN PRESIDENTE DI CAMPANELLO”. NAGEL E PAGLIARO? “INADEGUATI”; MIELI? “UN´ECLATANTE DELUSIONE” - PER FARE LA BANCA E L´ALTA FINANZA NON CI VOGLIONO SIGNORINE O TIPI ALLA PERISSINOTTO E ALLA NAGEL, MA SANPIETRINI ROMANI, SOPRA LISCI E SOTTO ASPRI E RUGOSI – NON RISPARMIA QUASI NESSUNO, FATTI SALVI BERLUSCONI, D´ALEMA E SCARONI, E GARANTISCE DI NON AVER MAI INDOSSATO GREMBIULINI O CILICI…

Alberto Statera per "la Repubblica"

Mario Monti? Un Cincinnato; Giulio Tremonti? Un uomo «molto capace, capace di tutto»; Gabriele Galateri ? «Un piumino da cipria, un presidente di campanello». Alberto Nagel e Renato Pagliaro? «Inadeguati»; Paolo Mieli? «Un´eclatante delusione». Silenzio, parla per 354 pagine fitte fitte Cesare Geronzi, rispondendo alle domande di Massimo Mucchetti, un giornalista assai documentato, che, come Sisifo, cerca di scalfire la granitica improntitudine del Signore dei Poteri Marci.

Ma hai voglia, con il Power Broker che ha traversato quasi indenne mezzo secolo di vita italiana, custode delle infinite magagne della Prima e poi della Seconda Repubblica, tra politica e alta finanza, banche e incesti societari, miliardi e sottogoverno, conflitti d´interesse e grassazioni, massonerie e intrighi di Santa Romana Chiesa.

Dotato di un ego sconfinato che non riesce a far tacere e di una totale indulgenza autoassolutoria, l´«Uomo Taxi che conserva sempre le ricevute», come lo definì Giulio Andreotti, non risparmia quasi nessuno, fatti salvi Berlusconi, D´Alema e - chissà perché - l´amministratore delegato dell´ Eni Paolo Scaroni, un portento che egli preconizza prossimo ministro degli Esteri.

Difficile un compendio delle migliaia di "verità" rivelate dall´uomo che sussurra ai cardinali, salva Berlusconi dalla bancarotta, riceve le confidenze di D´Alema, nomina e destituisce i suoi colleghi banchieri e i direttori del Corriere della Sera, ma è d´uopo cominciare dalla «congiura» che lo ha silurato dalla presidenza delle Generali, facendone un quasi pensionato carico di milioni, privando la Nazione di chi si definisce «un banchiere di Sistema».

«Il Paese - si gloria - ha avuto bisogno a lungo di chi esercitasse questa funzione cruciale di equilibrio e riequilibrio. Mi piace dire che non sono stato solo. L´altro banchiere di Sistema è Bazoli». Salvo che, estromesso lui manu militari, il Sistema secondo lui stesso non c´è più.

LA MUCCA DALLE CENTO MAMMELLE
Spinto da Giulio Tremonti, Geronzi si attacca da presidente alla mammellona delle Generali, la più grande multinazionale italiana. Ma dura soltanto un anno. Cos´è successo ? Tremonti, che è divorato da «un´ambizione sfrenata», ordisce il complotto: «Nei primi mesi del 2011 confidava, illudendosi, di poter spiccare il volo (verso la premiership, ndr) anche senza la spinta di un premier ormai in debito di ossigeno.

Grazie al rapporto che aveva costruito con le fondazioni, riteneva di poter avere la simpatia delle banche. Temo abbia pensato di conquistarsi anche la simpatia dei sedicenti padroni delle Generali benedicendo l´attacco a un presidente che non era facile da condizionare. Peggio: di un presidente che lui considerava amico di quel Berlusconi che stava ormai diventando il suo nemico interno. Ha pensato di essere il regista, mentre in effetti serviva solo ad altri per legittimare una grave congiura».

Guarda un po´, il banchiere di Sistema, che per decenni ha gestito il rapporto delittuoso tra politica e affari ora ci viene a raccontare che «ci sono più intrecci di quanti ne sognino le anime belle ammantate di cultura azionista». Ma perché Tremonti che lavora per fare il premier spende energie sulle Generali? Spiega il banchiere di Sistema che voleva «poter disporre di un po´ delle risorse della Compagnia». Per farne che? Per accreditarsi come il Fanfani del nuovo millennio attraverso un piano di housing sociale sulla falsariga del fanfaniano piano Ina-Casa. Un po´ di soldi li avrebbero messi la Cassa Depositi e prestiti e le fondazioni bancarie, altri sarebbero dovuti venire da banche e assicurazioni.

Dalle Generali 250 milioni. Quando Giovanni Perissinotto porta la delibera in consiglio c´è una sollevazione. Del Vecchio è scatenato. Caltagirone perplesso. Pellicioli idem. Del Vecchio chiede all´amministratore delegato: «Ma lei è pro o contro?» E quello: «Personalmente sono contrario». «Rimango di sale. Non mi era mai capitato prima un amministratore delegato che porta in consiglio una proposta per farsela bocciare», chiosa Geronzi. Perissinotto colpito e consegnato così per sempre alla galleria degli incapaci e dei codardi, come i suoi manager alla precedente presidenza di Mediobanca, Nagel e Pagliaro.

L´ALTA FINANZA NON È UNO SPORT PER SIGNORINE
Per fare la banca e l´alta finanza non ci vogliono signorine o tipi alla Perissinotto e alla Nagel, ma sanpietrini romani, sopra lisci e sotto aspri e rugosi. Come Geronzi, che vanta di aver detto anche dei no a Berlusconi. Nel 2003 bisogna decidere il dopo Maranghi alla presidenza di Mediobanca. In casa di Salvatore Ligresti a via Ippodromo, oltre a Geronzi, ci sono Profumo, Tronchetti Provera, il notaio Marchetti, Tarak Ben Ammar, Bollorè. A un certo punto arriva anche Ennio Doris, cui squilla subito il cellulare: «Cesare ho in linea Silvio, ti vuole parlare».

Silvio propone Bruno Ermolli, il suo Gianni Letta milanese, presidente di Mediobanca. E Cesare, a quanto racconta, gli risponde che non si può, perché Ermolli è un suo collaboratore: «Gli spiegai che c´è sedia e sedia, ma Berlusconi non coglieva la delicatezza di certe situazioni». Neanche quando cercava di fargliela capire Enrico Cuccia in persona che per superare il conflitto d´interessi gli suggerì dopo la discesa in campo due rimedi: sostituire tutta la prima linea manageriale con nuovi dirigenti presi dal mercato e far rinunciare alla Fininvest ai diritti di rappresentanza nel consiglio Mediaset, affidando a una fiduciaria il 60 per cento del capitale.

Quindi il primo liscio e busso geronziano a Mario Monti: «Faccio notare che oggi, grazie all´articolo 36 del decreto Salva Italia del governo Monti, rivenduto dalle solite anime belle come un gran progresso, Doris è dovuto uscire dal consiglio di Mediobanca perché siede anche in quello di Mediolanum, ritenuta concorrente dai burocrati. Al suo posto nel consiglio di Mediobanca, è finalmente entrato Ermolli».

BUROCRAZIA, ACCADEMIA E PIOGGIA DI MASSONI
All´ex banchiere di Sistema, Monti non va proprio giù. Intanto dice che è molto più politico del politico professionista Massimo D´Alema, di cui traccia affettuose iconcine. E poi gli rinfaccia, tra l´altro, non solo di non aver inciso sulle protezioni dei centri di potere della finanza e di non saper proporre una politica industriale, ma soprattutto di non aver toccato l´alta burocrazia e quegli apparati, compresi gli alti gradi delle forze armate e dei servizi, in cui si annidano «legami e solidarietà trasversali, che si connettono con la politica e l´accademia, con ampie relazioni, specialmente nel mondo anglosassone».

Intende la massoneria? chiede giustamente Mucchetti. Ebbene sì: «Conta davvero molto di più di quanto si immagini». I massoni pullulano nella finanza e anche in Vaticano. E racconta di quando, in visita al cardinale Mauro Piacenza, notò sulla scrivania un´insegna massonica. Pare che quella scrivania non fosse proprio quella definitiva del porporato, ma, guarda un po´, Piacenza è uno dei candidati a succedere al cardinal Tarcisio Bertone nell´incarico di Segretario di Stato. E Bertone è così intimo della famiglia da aver celebrato il matrimonio di Benedetta Geronzi.

Garantisce di non aver mai indossato grembiulini o cilici l´ex banchiere di Sistema e ci tiene a far sapere che neanche da presidente di Mediobanca ha mai partecipato alla messa annuale in memoria di Raffaele Mattioli organizzata da una «cerchia particolare» all´abbazia di Chiaravalle, alle porte di Milano. Ma dimentica che gran visir di quell´intreccio perverso di alta burocrazia e politica, di legami e solidarietà trasversali non è altri che il suo carissimo amico Gianni Letta e che il piduista e piquattrista Luigi Bisignani è tradizionalmente uno dei suoi uomini di mano, insieme a quel giovanotto spicciafaccende di nome Simeon, che assunse in banca segnalato dal cardinal Bertone e poi fece prendere in Rai.

CHARLIE CHAPLIN E IL MONELLO
E Draghi? Altro che Monti. Gli spread sono calati non certo dopo i vari Salva, Cresci, Semplifica, Sviluppa Italia. È Draghi che merita la riconoscenza del Paese e dell´intera eurozona. Peccato che in passato sia stato strumentalizzato da quell´«eclatante delusione» dell´ex direttore del Corriere della Sera.

«Acquisita la mia sfiducia verso di lui», racconta Geronzi, «Mieli riscopre la Banca d´Italia e arma un missile in prima pagina contro i banchieri... Appoggiandosi a Draghi in articulo mortis pensa di ricavare un dividendo in termini di influenza sugli assetti della politica e dell´economia destabilizzando tutto. Non si rompe il vetro per poi proporre il servizio del vetraio amico, come faceva Charlie Chaplin nel Monello».

Ora è il ragionier Geronzi a rompere i vetri come Chaplin, rivendicando il diritto «a un giusto oblio» per qualche problema con la giustizia che, scomparso con lui il Sistema, ancora lo insegue.

 

 

PERISSINOTTO E GERONZI BERLUSCONI E GERONZI IDUE CESARONI ROMITI E GERONZI RENATO PAGLIARO CESARE GERONZI GIANNI LETTA man46 romiti mieli geronziFederico Ghizzoni CESARE GERONZI CESARE GERONZI GIUSEPPE MUSSARI CESARE GERONZI ROBERTO NICASTRO Perissinotto Geronzi Balbinot Tremonti Giulio Antoine Bernheim Generali con Cesare Geronzi Mediobanca GERONZI E SCARONI - copyright PizziMARIO DRAGHI MARIO MONTI MARCO TRONCHETTI PROVERA E ALBERTO NAGEL FOTO BARILLARI

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