berlusconi marchionne

SILVIO VA A PESCA DI DELFINI, MA MARPIONNE NON VUOLE FARE LA FINE DEL BACCALÀ: NEANCHE COMMENTA LA 'PROPOSTA' DEL CAV - PRIMA DI LUI SONO STATI LANCIATI (DALLA FINESTRA) FINI, ALFANO, FITTO, DA ULTIMO IL POVERO PARISI. ORA L'IMPULLOVERATO? SALVINI NON CI PENSA NEANCHE, LA MELONI ATTACCA: ''CERTO, CANDIDIAMO UNO RESIDENTE IN SVIZZERA''

1. MEGLIO TORINO CHE ARCORE IL NO DI MARCHIONNE ALLE AVANCES DI BERLUSCONI

Paolo Griseri per ''La Repubblica''

 

La boutade non produce nemmeno un «no comment». È di quelle sotto la soglia della non commentabilità, fanno capire a Torino. L' idea di un Marchionne candidato premier di Berlusconi e del centrodestra italiano è quanto di più innaturale si possa immaginare appena scorrendo la biografia del manager con il maglioncino. Ma anche quella dell' ex premier di Arcore.

BERLUSCONI MARCHIONNEBERLUSCONI MARCHIONNE

 

Che con il Lingotto ha sempre avuto un conto in sospeso. In Fiat ricordano ancora lo schiaffo del 2002 quando i vertici dell' azienda, sull' orlo del fallimento, furono costretti all' anticamera di fronte a Villa San Martino prima di veder arrivare il Cavaliere a bordo delle sue Audi e sentirsi fare una piccola lezione su come meglio avrebbero potuto amministrare l' azienda. Non un bel precedente, che a Torino ricordano ancora oggi.

 

Marchionne sarebbe arrivato alla guida della casa torinese solo due anni dopo quella scenetta, quando il Cavaliere aveva già preso le sue rivincite da parvenù sui manager degli Agnelli. A differenza dell' imprenditore di Arcore, il manager di Torino non ha mai fatto mistero di considerare la politica un terreno minato pieno di astrusi trabocchetti: «Io mi limito a fare il metalmeccanico ». La possibilità che tra meno di un anno possa dismettere il maglioncino per indossare giacca e cravatta e presentarsi alle Camere per il discorso di insediamento è abbastanza remota.

 

BERLUSCONI  MARCHIONNEBERLUSCONI MARCHIONNE

Da quando è amministratore delegato si ricorda una sola volta che abbia lasciato a casa il maglione: anni fa entrò in giacca e cravatta a Montecitorio per un intervento di fronte alla Commissione trasporti della Camera.

Il ragionamento di Berlusconi sembra semplice: «Tra un anno gli scade il contratto negli Stati Uniti e si libera», dice ai commensali l' ex premier di Arcore.

 

Il linguaggio è un po' impreciso: Marchionne non ha alcun contratto negli Usa, semmai è un dipendente di peso di Exor, la finanziaria degli Agnelli, azionista di controllo di Fca. E il suo mandato da amministratore delegato scade a fine 2018, ben oltre la data delle elezioni italiane.

 

Difficile che Marchionne decida di rinunciare a centrare gli obiettivi finanziari del suo piano industriale (e i conseguenti bonus) per salire su un palco a cantare "Va' pensiero" con Matteo Salvini e la Le Pen in trasferta.

BERLUSCONI ABBRACCIA MARCHIONNEBERLUSCONI ABBRACCIA MARCHIONNE

 

Ma forse è proprio qui il punto. Berlusconi sa benissimo che tutti questi sono scenari dell' irrealtà. E che l' identikit di Marchionne, come quelli di Mario Draghi e di Carlo Calenda sarebbero comunque indigeribili sia per Matteo Salvini che per Giorgia Meloni. I due esponenti della destra populista anti-europea si sono infatti ribellati immediatamente nella giornata di ieri. Il primo agitando «la tassa unica al 15 per cento e il blocco navale contro gli immigrati» per chiedersi «che cosa ne pensa il manager Fiat di queste proposte».

 

maria rosaria rossi   giovanni toti   silvio berlusconi   francesca pascalemaria rosaria rossi giovanni toti silvio berlusconi francesca pascale

 La seconda andando giù con l' accetta: «Immaginare come premier italiano uno che paga le tasse in Svizzera, ha portato la sede legale della sua azienda in Olanda e quella fiscale in Gran Bretagna, significa aver perso il lume della ragione». Reazioni prevedibili che servono a Berlusconi per delimitare il campo e far capire qual è la sua idea di centrodestra vincente. Un identikit che fa il verso all' europeismo di Macron. Draghi è certamente più accettabile per Renzi che non per Salvini.

 

Dopo aver fatto volare la boutade, nel pomeriggio di ieri Forza Italia ha voluto ridimensionare: «Nella cena Berlusconi ha citato soprattutto il nome di Marchionne per indicare l' identikit di un ipotetico candidato ma non per fare investiture». Ancora cinque anni fa Marchionne, come altri manager italiani, confessava la sua difficoltà a cercare investitori disposti a scommettere su un Paese in cui il premier faceva le corna ai meeting internazionali. A ben vedere, oggi Trump fa molto peggio.

toti berlusconitoti berlusconi

 

 

2. SILVIO A PESCA DI DELFINI ORA TOCCA A MARCHIONNE

Giovanni Rossi per ''il Giorno - La Nazione - il Resto del Carlino''

 

L' idea è suggestiva come il calciomercato applicato alla politica. Ora che non è più proprietario del Milan, Silvio Berlusconi si diverte a disegnare la squadra vincente del centrodestra 2018. A una cena con i direttori dei giornali di area, da Libero al Tempo a Ciociaria Oggi, il Cav 'ingaggia' a parametro zero e probabilmente a sua insaputa il bomber italocanadese Sergio Marchionne - in uscita nel 2018 da Fiat Chrysler - quale candidato premier alle prossime elezioni politiche.

 salvini (d), con silvio berlusconi  d salvini (d), con silvio berlusconi d

 

Controindicazioni: Marchionne è straricco (solo nel 2015 ha incassato 55 milioni di euro tra stipendio e bonus), acquista online dieci maglioncini al colpo tutti uguali, di colore nero, ed è esteticamente inimmaginabile a far campagna elettorale con la cravatta azzurra del buon berlusconiano.

ALFANO E BERLUSCONIALFANO E BERLUSCONI

Senza contare il pubblico supporto al Sì - e a Renzi - nel referendum del 4 dicembre scorso.

 

Sconcerto tra gli alleati. Matteo Salvini (Lega) prende tempo: «Il toto-nomi non mi appassiona, prima bisogna pensare alle proposte e alla squadra». Giorgia Meloni (Fratelli d' Italia) invece alza i toni: «Immaginare premier uno che paga le tasse in Svizzera, ha portato la sede legale della Fiat in Olanda e quella fiscale in Gran Bretagna, pur avendo la presunzione di vendere macchine 'italiane', significa aver perso il lume della ragione», è la strigliata dell' ex ministra della Gioventù.

 

fitto berlusconifitto berlusconi

L' idea Marchionne - secondo la Meloni - significa anche «non avere rispetto dei milioni di italiani che fanno i salti mortali per produrre e lavorare qui, che qui pagano le tasse e che non sono scappati dopo aver preso miliardi di euro dallo Stato italiano». Lo sfogo si chiude con una accusa molto pesante: «Dopo Carlo Calenda ministro del governo Renzi, e Mario Draghi presidente della Bce, un altro nome incompatibile. Solo un patriota può aiutarci. Marchionne non lo è. Berlusconi pare voler fare di tutto per dividere un centrodestra in grado di vincere».

 

E per suggerire a Marchionne debiti scongiuri, visto che tutti i presunti eredi politici del Cav (delfini, tursiopi o balenotteri della Prima Repubblica) non sono finiti bene. E quelli ancora guizzanti, come Draghi o Calenda, ben si guardano dall' abboccare.

 

Qualcuno ricorda Gianfranco Fini? Nel 2007 Berlusconi diceva di lui: «È il candidato più autorevole e prestigioso per la mia successione».

Innamoramento senza seguito. Nel 2010, Fini guida la rivolta contro il Capo, plasticamente immortalata dal famoso «Che fai, mi cacci?». Passato attraverso Futuro e Libertà, non rieletto in Parlamento, oggi l' ex presidente della Camera è indagato dai pm romani nell' inchiesta sull' ex casa di An a Montecarlo che vede coinvolta l' ex moglie Elisabetta Tulliani e l' ex cognato Giancarlo.

 

FINI BERLUSCONIFINI BERLUSCONI

Emblematico il destino comune delle ex giovani promesse di Forza Italia, Angelino Alfano e Raffaele Fitto. Il primo, sempre in rampa di lancio e poi frenato per sospetta mancanza di quid, un bel giorno sbatte la porta: fonda Ncd (ora Ap) e si allea con il centrosinistra, ma da quel giorno ogni notte pensa alla soglia di sbarramento del prossimo voto.

 

Una tortura. Il secondo finisce peggio del «traditore». Prima utilizzato dal capo in funzione lealista («è la mia protesi», «un purosangue»), poi retrocesso a «figlio di vecchio democristiano» e messo alla porta. «Vattene!». A battezzare Conservatori e riformisti con tanta rabbia in corpo.

 

Visti gli esempi, il governatore della Liguria Giovanni Toti gira da tempo alla larga dell' ex principale che prima lo volle al suo fianco strappandolo al Tg4, poi lo utilizzò come compagno di footing in immacolata tuta bianca e infine, per ringraziarlo, lo paragonò al cagnolino di Francesca Pascale. «Tutto quello che tocco diventa famoso (...) Pensate a quello che è successo a Dudù e anche a Toti», furono le testuali parole del Cav. Che ora si meraviglia perché Toti è diventato fervente salviniano.

 

berlusconi parisiberlusconi parisi

Ultimo a venire affondato, Stefano Parisi, il manager romano trapiantato a Milano e fondatore di Energie per l' Italia: colpevole di «non scaldare i cuori».

«Bravo... ma», così sta scritto sulla ghigliottina di Silvio. In cerca di eredi che nel suo intimo non vuole.

Marchionne avvisato, pullover salvato.

 

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