1. IL BLITZ DEI GOVERNISTI LETTA-FRANCESCHINI-EPIFANI DIVENTA UN BOOMERANG E MATTEUCCIO RENZI SE LA GODE: “IO STO FERMO. SONO LORO CHE SI FANNO MALE DA SOLI!” 2. SORPRESA! ORA IL ROTTAMATORE NON È PIÙ SOLO: “SONO RIUSCITI A FARE INCAVOLARE TUTTI, DAI RENZIANI AI GIOVANI TURCHI, AI VELTRONIANI, A ROSY BINDI. UN CAPOLAVORO” 3. PER LA PRIMA VOLTA LA CASTA PIDDINA FINISCE IN MINORANZA ANCHE ALL’INTERNO DEL PARTITO: “VOGLIONO TENERSI EPIFANI SEGRETARIO PER SALVARE IL GOVERNO LETTA” 4. LA LINEA “REPUBBLICA” BY MALTESE DEMOLISCE IL SUICIDIO IMPOSTO DAGLI OLIGARCHI PD: “AGLI ELETTORI DEMOCRAT HANNO INFLITTO NELL’ORDINE UNA CAMPAGNA ELETTORALE DISASTROSA, IL TRADIMENTO NEI CONFRONTI DI PRODI, UN GOVERNO CON BERLUSCONI, LA CONFERMA DI UN MINISTRO DELL’INTERNO INCAPACE. L’EVENTUALE ESCLUSIONE DEL LEADER PIÙ POPOLARE, RENZI, SAREBBE LA GIUSTA CONCLUSIONE”

1. E STAVOLTA RENZI NON E' ISOLATO: "SI SONO FATTI MALE DA SOLI"
Goffredo De Marchis per "La Repubblica"


Sulla terrazza di Largo del Nazareno, Matteo Renzi è circondato dai fedelissimi e non solo. Un po' scherza: «Io sto fermo. Sono loro che si fanno male da soli». Un po' pensa quanto sia complicato vivere in un partito che secondo lui non fa i conti con la realtà: «È una situazione allucinante. Prima non parlavo perché ero in silenzio stampa. Adesso non dovrei parlare perché sono senza parole.

La verità è che Epifani e Franceschini hanno mostrato le carte, adesso il loro piano è diventato più chiaro: vogliono tenere in piedi Guglielmo alla segreteria e soprattutto il governo di Letta».
Nella sua pattuglia torna a farsi strada l'ipotesi di una scissione lasciando la compagnia ai suoi tormenti e alla sua vocazione a crearsi dei problemi. «Ma non è sempre stato così.

In qualche modo il centrosinistra ha sempre reagito alle sconfitte in maniera fisiologica, anche se scomposta», ricorda il sindaco di Firenze. Ossia con il ricambio della classe dirigente. L'elenco è abbastanza lungo, almeno quanto le débacle della sua parte politica. «Nel ‘94 Occhetto perse contro Berlusconi e sei mesi dopo D'Alema era il nuovo segretario del Pds. Nel 2001 fu la volta di Rutelli e i Ds scelsero di affidarsi a Piero Fassino.

Nel 2008, Veltroni, dopo una breve resistenza, si dimise. Stavolta vorrebbero lasciare tutto com'era prima del 25 febbraio». Il termine scissione non viene mai pronunciato dal sindaco. Quelli intorno a lui invece ragionano della cosa e disegnano scenari futuri. Sono pronti alla battaglia dentro le mura del Partito democratico, consapevoli però di avere con Renzi una carta da giocare fuori dal recinto Pd.

Ma il rottamatore vede anche i segnali positivi (per lui) emersi con fragore durante la riunione della direzione. «Io non parlo, non commento. Non lo farò neanche in questa occasione. Ma ho visto nella sala una rivolta contro Epifani e Franceschini. Eravamo sconcertati in tanti».
In effetti, lo schieramento dei "governisti" ha dovuto ripiegare annullando la votazione.

Si è persino diviso perché Pierluigi Bersani ha fatto sapere di non aver condiviso la linea tranchant scelta dal ministro dei Rapporti con il Parlamento. Anche Epifani ha voluto sottolineare di non aver mai blindato il percorso congressuale ai soli tesserati del Pd. Ma sono sfumature. Franceschini ha solo tirato le somme di un processo che punta ad eleggere un "semplice" segretario: il capo di un'associazione lo scelgono gli associati, non gli esterni.

Nico Stumpo, al termine della riunione, scuoteva la testa. «Così non è una posizione chiara e ci mette in difficoltà - ragionava il mago o lo stregone delle regole, dipende dai punti di vista -. Bisogna dire che il congresso va rinviato di un anno, alla fine del 2014 e poi motivare questa decisione con il nostro popolo. È l'unico modo per proteggere il governo ».

Non è un considerazione campata per aria. Ieri si è capito quanto la spaccatura del Pd sia destinata a condizionare la vita dell'esecutivo. L'intervento di Enrico Letta ha chiuso la direzione suggerendo a tutti di evitare la conta dei voti. Perché a molti è sembrato scontato l'esito di un'eventuale misurazione delle forze in campo: la linea Epifani-Franceschini sarebbe finita in minoranza.

Con gravi conseguenze sull'esecutivo. «Sono riusciti a fare incavolare tutti, dai miei ai giovani turchi, ai veltroniani, a Rosy Bindi. Un capolavoro», sorrideva sotto i baffi Renzi in attesa di rientrare a Firenze. «Eppure io sono rimasto lì seduto, lontano dalle prime file. Sono loro che mi attaccano, che cercano di fermarmi».

Adesso il sindaco di Firenze è davvero convinto che lo andranno a cercare a Palazzo Vecchio. La «rivolta» di metà del «partito romano» costringerà il segretario Epifani a studiare una nuova mediazione. In queste condizioni, evidentemente, la data delle primarie (entro la fine di novembre, il 24) è un risultato da incassare, ma non sufficiente. «Forse speravano che mi accontentassi del giorno».

No, non basta. Sono in tanti a non aver capito, anche i candidati Cuperlo e Pittella. E non ci sono i numeri, nel parlamentino Pd, per far passare la regola degli iscritti. Renzi non vuole fare la vittima. Lo dimostra la smentita del suo portavoce Marco Agnoletti: «Matteo non è furioso, continua il silenzio stampa».

Non c'è bisogno di sollevare il caso, stavolta. Renzi non è isolato, nemmeno a Roma, nemmeno a Largo del Nazareno. Si può immaginare di vincere la partita anche dentro il Pd, con la semina fatta nei territori e la ribellione del gruppo dirigente. Tra i lettiani, alcuni preferiscono una sfida a viso aperto e in tempi brevi. Magari con la pregiudiziale di una mozione di sostegno al governo. Perché l'avvitamento su un congresso monco può fare più male che bene.

2. QUANDO LE REGOLE CAMBIANO IN CORSA
Curzio Maltese per "La Repubblica"


Sui tempi e sulle regole per eleggere il nuovo segretario, il Pd ha deciso di non decidere. La cosa comincia a non fare più notizia. Il partito che si è caricato sulle spalle i destini del Paese non riesce neppure a scegliere la data del proprio congresso. Oltre il latinorum sulle norme, da cambiare per la terza o quarta volta, il problema vero ha un nome e un cognome: Matteo Renzi.

Il sindaco di Firenze è oggi il leader più popolare d'Italia, forse l'unico, e sarebbe naturale che corresse per la carica di segretario del Pd con primarie aperte a tutti. Com'è stato per i suoi predecessori. Ma la probabile vittoria di Renzi in una gara è vista dall'apparato del Pd come una minaccia non solo e non tanto nei confronti del governo Letta, quanto nei confronti appunto della vecchia nomenclatura del partito.

Si cerca dunque d'impedirla con stratagemmi burocratici sostenuti da bizzarre teorie. Guglielmo Epifani sostiene che (questa volta, s'intende) il ruolo del segretario di partito debba essere nettamente separato da quello di candidato premier. La storia è davvero curiosa.

Dopo essersi lamentati per vent'anni di non poter candidare il segretario del maggior partito di sinistra alla premiership, come avviene in tutte le democrazie del mondo, gli oligarchi del Pd ora vorrebbero stabilire per statuto che il segretario del partito non dev'essere il candidato alla guida del governo.

Proprio adesso, si badi, che per la prima volta potrebbero esprimere un segretario candidato in grado di vincere. Nella frenetica ricerca di regole "contra personam", gli ex segretari del Pd Bersani e Franceschini hanno proposto che (stavolta) siano soltanto gli iscritti a votare per il segretario.

Proprio loro che quando erano candidati hanno ripetuto un centinaio di volte quanto le primarie aperte a tutti fossero meravigliose e irrinunciabili nei secoli dei secoli.
La trappola anti-Renzi comunque non è scattata per l'opposizione trasversale di buona parte del Pd. Non soltanto i renziani o i frondisti, alla Civati.

Si sono opposti per esempio Cuperlo e Rosi Bindi, esponenti della corrente più minoritaria all'interno del centrosinistra, quella del buon senso. È probabile che le norme "contra personam" vengano riproposte alla prossima direzione, prevista fra una settimana. Con il rischio di spaccare ulteriormente il partito, oramai oltre i confini delle leggi fisiche. Nel grandioso dibattito sulle norme congressuali, rimane sullo sfondo e da definire il dettaglio della possibile reazione di otto milioni di elettori democratici.

Ai quali finora sono stati inflitti nell'ordine una campagna elettorale disastrosa, il tradimento nei confronti del padre fondatore Prodi, un governo con Berlusconi escluso fino a un'ora prima, la conferma di un ministro dell' Interno ritenuto incapace anche da se medesimo. L'eventuale esclusione dalla
corsa per la segreteria del leader più popolare, Renzi, sarebbe la conclusione di un percorso suicida. Alla fine del quale per il Pd c'è il rischio di morire, e per giunta di morire democristiano.

 

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