MARIO MONTI UBER ALLES/2 - POCO CONOSCIUTO AL GRANDE PUBBLICO, ESTRANEO AL REALITY DELLA POLITICA, LA SUA RETE DI CONTATTI E RELAZIONI È IN REALTÀ IMPRESSIONANTE: FA ANCHE PARTE DEL COMITATO DIRETTIVO DEL GRUPPO BILDERBERG, LA RISTRETTA CONFRATERNITA DI ECONOMISTI, BANCHIERI E POLITICI CHE UNA VOLTA L’ANNO SI RIUNISCONO PER DISCUTERE I DESTINI DEL MONDO - DICIAMO CHE SE I POTERI FORTI ESISTONO, MARIO MONTI LI CONOSCE BENE…

Fabrizio Rondolino per "il Giornale"

Mario Monti, l'economista gradito all'Europa e ai mercati, appena nominato senatore a vita da Giorgio Napolitano con una decisione che ha colto tutti di sorpresa, ha rasserenato un poco gli investitori e soprattutto ha messo il sistema politico con le spalle al muro, potrebbe davvero entrare a Palazzo Chigi martedì o mercoledì prossimi.

Le elezioni anticipate restano un'opzione molto forte, tanto più che per un eventuale governo tecnico, al momento, non esiste sulla carta una maggioranza parlamentare. Ma se Berlusconi non otterrà le urne, il suo successore più probabile è senz'altro Monti. Le quotazioni di Giuliano Amato, il grand commis tecnico-politico che la Prima Repubblica ha lasciato in eredità alla Seconda, erano salite nel corso della giornata ma paiono ora fortemente ridimensionate.

Nel fuoco della crisi finanziaria che ci ha portato sull'orlo del baratro entrambi sono giudicati ottimi candidati d'emergenza: ma i due non sono affatto uguali, così come diverse sono le forze e i gruppi che premono per l'uno o per l'altro.

All'ingrosso, potremmo semplificare dicendo che l'arrivo di Monti segnerebbe una discontinuità maggiore non tanto rispetto a Berlusconi e al governo attuale, quanto soprattutto rispetto all'intera classe politica italiana. I mercati lo amano prima di tutto perché non ha un curriculum politico, sebbene sia stato nominato commissario europeo per la prima volta da Berlusconi e goda oggi delle simpatie di gran parte del centrosinistra.

La sua candidatura a Palazzo Chigi non è affatto una novità, e nell'ultimo anno e mezzo si è più volte riaffacciata fra gli avversari del governo, prima e dopo la mancata spallata del 14 dicembre; tuttavia lo stesso Berlusconi ha avuto la tentazione di offrirgli almeno una volta la poltronissima di ministro dell'Economia.

Mario Monti appartiene a quel ristretto e qualificatissimo gruppo di banchieri ed economisti italiani - come Draghi o Ciampi - il cui prestigio internazionale è fuori discussione. Allievo a Yale di James Tobin (il premio Nobel noto per la proposta, oggi tornata di stretta attualità, di tassare le transazioni finanziarie internazionali), Monti a 27 anni è già in cattedra, a Torino; la lascerà nel 1985 per la Bocconi, dove diventa prima direttore dell'Istituto di Economia politica, poi rettore e infine (nel '94, alla morte di Spadolini) presidente.

Il 1994 è anche l'anno in cui Berlusconi, appena arrivato a Palazzo Chigi, lo indica insieme a Emma Bonino come commissario europeo. Cinque anni dopo è riconfermato dal governo D'Alema e riceve la delega alla Concorrenza. Il procedimento contro Microsoft per violazione delle norme antitrust è opera sua, come è opera sua il divieto alla fusione tra General Electric e Honeywell.

Nel 2004 Monti torna alla Bocconi e comincia a scrivere sul Corriere, ma non è certo un pensionato. Poco conosciuto al grande pubblico, estraneo al reality della politica, lontanissimo dalla guerriglia quotidiana dei giornali e delle tv, la sua rete di contatti e relazioni è in realtà impressionante: dal 2005 è international advisor per la gigantesca banca d'affari Goldman Sachs; è il presidente europeo della Commissione Trilaterale, il misterioso e chiacchieratissimo club internazionale neoliberista che compare in qualsiasi teoria del complotto che si rispetti; infine, fa parte del comitato direttivo del Gruppo Bilderberg, la ristretta confraternita di economisti, banchieri e politici che una volta l'anno si riuniscono - a porte chiuse e senza verbalizzare mai nulla - per discutere i destini del mondo. Diciamo che se i poteri forti esistono, Mario Monti li conosce bene.

Di pasta diversa è Giuliano Amato, classe 1938, il Dottor Sottile che per molti anni servì fedelmente Bettino Craxi e che poi, nel crepuscolo della Prima Repubblica, se ne allontanò per rispondere all'appello di Scalfaro e dar vita, guarda un po', ad un governo tecnico d'emergenza chiamato a fronteggiare una spaventosa crisi finanziaria che aveva buttato la lira fuori dal sistema monetario europeo.

Nella Seconda Repubblica l'ambizioso professore socialista è stato ministro delle Riforme nel governo D'Alema, presidente del Consiglio alla sua caduta, e ministro dell'Interno nel secondo governo Prodi; l'altr'anno Berlusconi lo ha nominato presidente del Comitato dei garanti per le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia.

Proprio in questo ruolo, apparentemente decorativo, il Dottor Sottile ha avuto modo di riprendere contatti più diretti con Palazzo Chigi e con il Quirinale.

Chi non lo ama rimprovera ad Amato un'eccessiva dipendenza dalla rete di relazioni che ha saputo sapientemente costruire negli anni, e di cui oggi sarebbe di fatto prigioniero. Lo stesso, a ben vedere, si potrebbe dire anche di Monti: ma le sue relazioni sono prevalentemente extrapolitiche e la maggior parte dei suoi amici non è neppure italiana. E questo non può non far piacere a chi ci guarda da Bruxelles, da Parigi o da Berlino. E da Washington, naturalmente.

 

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