UN BANANA VERSIONE MARTIRIO: MONITA, PROMETTE, MINACCIA DAL COMPOUND DI PALAZZO GRAZIOLI (IL PRIMO DI UNA LUNGA SERIE?)

VIDEOMESSAGGIO: BERLUSCONI VA IN TV: "NON È IL MIO PAESE MA IO RESTO IN CAMPO CON FORZA ITALIA E IL GOVERNO PUÒ ANCORA ANDARE AVANTI"

Carmelo Lopapa per "La Repubblica"

«Non si può più vivere in questo Paese prigioniero della magistratura, è la fine della giustizia». Quando tutti sono finalmente di fronte a lui, i figli Marina e Pier Silvio, Gianni Letta, Paolo Bonaiuti, Santanché e Verdini, i ministri e i capigruppo Schifani e Brunetta e tanti altri, allora lo sfogo si fa amaro, intimo, commosso. Francesca Pascale piange, una lacrima scende anche alla ministra fedelissima Nunzia De Girolamo. I volti nel salotto di Silvio Berlusconi sono tesissimi.

Lo erano ancor più un'ora prima, quando gli avvocati Coppi e Ghedini con Angelino Alfano assistono con lui alla lettura del dispositivo. Scende il gelo. «Non me l'aspettavo, credevo nell'imparzialità della Cassazione, sono innocente, non ho mai commesso alcuna frode fiscale» è il primo commento.

Per la commozione ci sarà spazio dopo, quando registrerà i nove minuti di videomessaggio trasmesso in serata da Porta a Porta e che sembra quasi chiudere la parabola, vent'anni dopo. Perfino il linguaggio e i toni enfatici sono identici all'esordio del ‘93, quello del famoso «L'Italia è il Paese che amo».

Solo che questa volta ha il sapore di un discorso di commiato, in cui il leader provato si chiede se «è questa l'Italia che amiamo?» Berlusconi fa cenno al «termine della mia vita attiva», parla della clamorosa «privazione della libertà personale» alla quale sarà sottoposto, salvo poi riprendersi, chiamare a raccolta i giovani per la rinascita di Forza Italia della quale sarà comunque protagonista, guida, ancora leader. Ma certo è un Cavaliere mai visto, che stringe le labbra almeno tre volte per evitare le lacrime davanti la telecamera, che usa toni drammatici.

Non un cenno al governo Letta, in quel video. Ma lo spiega ai suoi nel chiuso del vertice quale sarà la linea da tenere. «Voi da domani (oggi, ndr) tornate in aula e sosterrete il governo», il tavolo non si ribalta. Sono sue parole: «Nonostante tutto, faremo prevalere il senso di responsabilità ancora una volta, non possiamo fare diversamente» spiega ai suoi stupiti, dopo che già i sottoseretari Michaela Biancofiore e Gianfranco Miccichè, forzisti della prima ora, avevano simbolicamente rassegnato il mandato nelle sue mani.

Invece «niente colpi di testa, niente cedimenti, l'alleanza non è in discussione» dice uscendo da Palazzo Grazioli Mariastella Gelmini. Tutto deve tenere, per una ragione assai concreta, spiegata dallo stesso leader: «Se facessimo cadere il governo, io sarei
incandidabile e la sinistra vincerebbe a mani basse» è la tesi che non ammette repliche.

Nonostante da Verdini alla Santanché a Capezzone sarebbero tanti pronti a staccare la spina. Anzi, Berlusconi sembra intenzionato a dimettersi dalla carica di senatore, rendendo subito esecutiva la pena, nessuna barricata in giunta per l'immunità e in aula. Coordinerà dall'esterno le operazioni, lancerà in autunno Forza Italia e lavorerà sul giovane rampollo della famiglia Barilla, Guido, col quale il dialogo si sarebbe intensificato in queste settimane.

Ma soprattutto lavorerà sulla figlia Marina, presente ieri, provata, emozionata anche lei: saranno, forse loro i leader del futuro. Per lui le porte del Parlamento si chiudono. Il brand Berlusconi ritenuto «vincente» deve restare in campo. Enrico Letta potrà tirare un sospiro di sollievo per i prossimi mesi. Ma inizierà un lungo periodo di fibrillazione, in cui il partito tornerà alla carica sulla riforma della giustizia. Facendo sponda sulle dichiarazioni di ieri del capo dello Stato. Marina e Barilla sono il futuro, per il momento Berlusconi resta saldamente al comando del nuovo progetto politico, lo terrà a battesimo se possibile prima che a settembre scattino i domiciliari o i servizi sociali. Lui non si fa da parte, non getta la spugna.

Il video è un fiume in piena di rabbia repressa a stento, in questi mesi, contro le toghe. La sentenza mi rende sempre più convinto che «una parte della magistratura sia un soggetto irresponsabile. Variabile incontrollabile, con magistrati non eletti dal popolo, che è assurta a vero e proprio potere dello Stato che condizionato permanentemente la vita politica».

E ancora: «Dal ‘92-'93 c'è stata un'azione condizionata e fuorviante da parte della magistratura che ha preteso di assurgere un ruolo rinnovamento morale in nome di una presunta innovazione etica». Parla di «carica di violenza», di «processi che non avevano fondamento: è un vero e proprio accanimento giudiziario che non ha uguali».

Poi entra nel merito delle accuse: «Io non mai stato socio occulto di alcuno, non ho ideato mai un sistema di frode fiscale non esiste una falsa fattura né un fondo occulto che riguardi me e la mia famiglia. Viviamo in un Paese in cui la maggior parte dei crimini non vengono perseguiti. In cambio di un impegno di 20 anni quale è il premio? Accuse sul nulla e una sentenza che mi toglie la libertà e i miei diritti politici.

Così l'Italia riconosce i sacrifici e l'impegno dei suoi cittadini migliori» è lo sfogo. Ma la storia non finisce qui, non si arrende. «Dobbiamo continuare la nostra battaglia di libertà restando in campo e chiamando a raccolta i giovani migliori e le energia migliori e insieme a loro rimetteremo in piedi Forza Italia.

Diremo agli italiani di darci la maggioranza per modernizzare il Paese a partire dalla più indispensabile che è quella della giustizia per evitare che un cittadino sia privato della libertà». La riforma della giustizia sarà il vecchio-nuovo cavallo di battaglia su cui alla ripresa il partito tornerà alla carica, ora più di prima. Ma «dal male dobbiamo saper far uscire un bene», è la chiusura quasi ecumenica, con un «Viva l'Italia! Viva Forza Italia!» Ma ora è un'altra storia.

 

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