TENDENZA ARFIO: “MARINO E ALEMANNO RIVOLTI AL PASSATO, AL BALLOTTAGGIO NON LI APPOGGERO'”

1 - MARCHINI: "IN CASO DI BALLOTTAGGIO NON APPOGGERÃ’ ALCUN CANDIDATO"
Da "la Repubblica"

«Lo spettacolo indecente offerto domenica in televisione dai candidati Marino e Alemanno sia per forma che per contenuti e al quale sono felice di non essermi immischiato, mi ha confermato che c'è lo spazio per una proposta politica concreta e non demagogica come la nostra e comunque in caso di ballottaggio non appoggerò nessuno dei due candidati».
L'annuncio dell'imprenditore Alfio Marchini, in corsa per il Campidoglio con una lista civica, arriva in serata. «È emerso ancora una volta» aggiunge «come i candidati espressione dei partiti maggiori siano capaci solo di fare discussioni rissose e sterili, rivolte al passato. È giunto il tempo di voltare pagina».

2 - ESCLUSA DALLA COALIZIONE IDV RICORRE IN TRIBUNALE
Da "la Repubblica"

Italia dei Valori contro l'esclusione dalla corsa al Comune assieme al centrosinistra. Nel mirino la coalizione Bene Comune che sostiene il candidato sindaco Ignazio Marino, che ha negato l'apparentamento. «Siamo di fronte - spiega il presidente Antonio Di Pietro - a irresponsabilità e truffa politica. Chiederò alla magistratura come è stato possibile tutto questo».

3 - ALEMANNO-PD SENZA PACE SCOPPIA UNA RISSA AL GIORNO
Ernesto Menicucci per il "Corriere della Sera - Edizione Roma"

Prima la telerissa domenicale da Barbara D'Urso, poi le accuse e controaccuse. In due giorni, Pd e Pdl se le danno di santa ragione. Ieri è stato Gianni Alemanno ad attaccare, snocciolando quelli che lui definisce «i numeri dell'ostruzionismo dell'opposizione» in aula Giulio Cesare. Secondo il sindaco, si tratta di «4,7 miliardi di investimenti bloccati, un miliardo per le opere pubbliche, un mancato ritorno occupazionale di circa 60 mila addetti».

Alemanno parla nella sede del suo comitato elettorale, vicino la stazione Tiburtina, mentre presenta l'ultimo «acquisto» della sua lista civica: Massimo Perifano, ex vicepresidente del Municipio «rosso» di Cinecittà, ex Pd («i democratici hanno tralasciato i problemi di Roma per abbandonarsi a dispute interne», spiega il transfuga). Il sindaco ne approfitta per lanciare stoccate: «Un pezzo della crisi economica della città ha un nome e cognome: il Pd. Senza il suo ostruzionismo Roma sarebbe fuori dalla recessione, con un Pil positivo.

E Marino rappresenta proprio quella logica del no». Alemanno insiste: «Il centrosinistra ha usato tecniche ostruzionistiche e consociative: se non passi attraverso noi, le delibere non passeranno mai. Non c'è mai stato un atto di responsabilità. Mentre noi, quando eravamo all'opposizione, consentimmo l'approvazione del Piano regolatore di Veltroni».

Il Pd reagisce. Secondo Enzo Foschi, ex consigliere regionale, «Alemanno è il campione del mondo dello scaricabarile. Dopo cinque anni di amministrazione con scandali, malgoverno e suoi uomini di fiducia sotto inchiesta, il sindaco ha la faccia tosta di dire che se Roma è in crisi la colpa è del Pd». Ileana Argentin aggiunge: «L'unico ostruzionismo è quello di una destra ostaggio delle faide interne al Pdl».

Il candidato sindaco, Ignazio Marino, affida la sua risposta ad un lungo comunicato diffuso dal suo comitato: «Alemanno è a corto di argomenti, dopo una gestione fallimentare della città. Dovrebbe spiegare perché a viale Libia ha riaperto al traffico le corsie preferenziali, perché ha autorizzato la cementificazione dell'agro romano, che fine ha fatto la Formula Uno all'Eur». In mezzo alla lite, come l'altra domenica, Alfio Marchini. Che annuncia: «Al ballottaggio non appoggerei nessuno dei due».

Marino, che ieri ha girato Roma sui mezzi pubblici, annuncia: «Quello al Comune sarà il mio ultimo impegno politico». Il chirurgo, oggi, non parteciperà al voto di fiducia sul governo Letta: «Sono dimissionario e devo occuparmi di Roma». Interviene Luigi Bobba, deputato piemontese, cattolico passato coi renziani: «Ci aspettiamo maggior chiarezza da Marino, non può avere un atteggiamento pilatesco. Dica con chiarezza che, se non fosse dimissionario, voterebbe sì alla fiducia». Posizione isolata, quella di Bobba, oppure un primo segnale?


4 . CINECITTÀ HA VOLTATO LE SPALLE ALLA SINISTRA (IN 19 SEGGI SU 20 ALEMANNO HA BATTUTO RUTELLI)

Giuseppe D'Avanzo per "La Repubblica" del 30 aprile 2008

C'erano due modi a Roma per farla in barba ai tedeschi durante la guerra. O ti rifugiavi in Vaticano o al Quadraro. I partigiani si nascondevano al Quadraro nelle vecchie cave di pozzolana o, meno precariamente, al Sanatorio Ramazzini. Si sentivano sicuri: in quelle strade non s'era mai visto un fascista, figurarsi un tedesco.

La convinzione durò fino alle 4 del mattino del 17 aprile del 1944. Per ordine di Herbert Kappler, gli uomini della Gestapo, delle SS, della Wehrmacht, della banda Koch sbarrarono ogni strada di accesso e di fuga. Rastrellarono 917 uomini e li deportarono in Germania. Solo la metà ritornò a casa. I morti del Quadraro, come i martiri delle Fosse Ardeatine, sono il passato non rimosso di Roma, le ragioni di un convinto antifascismo e in quella borgata - tra le palazzine liberty del primo novecento e le deformi lottizzazione urbanistiche degli anni ottanta - il ricordo vivo che ha sempre connesso l'esperienza dei contemporanei alle generazioni precedenti; una memoria collettiva che è diventata di generazione in generazione genius loci, identità, opzione politica.

Fino a lunedì, quando il voto ha reciso il filo lungo e forte di quel passato storico e, nei venti seggi del Quadraro, il postfascista Gianni Alemanno l'ha avuta vinta in diciannove contro Rutelli.

Il successo ha clamorosamente trascinato verso destra l'intera municipalità - la X, Tuscolano, Cinecittà, Capannelle, IV Miglio, Appio Claudio, Romanina, Anagnina, Nuova Tor Vergata, 200 mila abitanti. Dove al primo turno "passava" il presidente del municipio Sandro Medici con quasi 59 mila voti, Rutelli si fermava a 55.379 contro i 42.787 di Alemanno. Al ballottaggio c'è stato un improvviso capovolgimento. Rutelli perde settemila voti, Alemanno ne guadagna quasi diecimila (51.409).

Sandro Medici - un passato di direttore del Manifesto - dice: "Perdere qui replica la lontana, prima sconfitta della Quercia a Mirafiori a vantaggio di Forza Italia; duplica il voto operaio del Nord alla Lega. Se l'esito è lo stesso, i perché sono diversi". Il perché di Massimo Perifano, gelataio, è custodito in una sola parola: "Menzogna". Raccontavano, dice, di una Roma luci e paillettes; una città felice, allegra, che se la godeva.

Una città serena, accogliente, solare, senza ombre e problemi. "Sì, magari qualche problemino presto risolvibile qui e là, ma nulla da impensierirsi. Bene, quelle parole ascoltate da queste borgate erano menzogne che non ingannavano nessuno. Che facevano soltanto incazzare, molto incazzare perché erano bugie che lasciavano capire come al Campidoglio non importasse nulla delle borgate; che non avevano bisogno di noi; che il nostro destino gli era indifferente; che potevano fare a meno di noi, di quel che pensavamo o soffrivamo o chiedevamo".

Il popolo di Roma sa essere entusiasta e appassionato. Risentito, se imbrogliato. Feroce, se pensi di trattarlo con sfrontatezza e arroganza. Le storie che si raccolgono a Cinecittà svelano "una superbia" che il voto ha voluto punire. Non è che qui non abbiano capito quale pensiero strategico ha convinto Walter Veltroni, nella sua seconda sindacatura, a convogliare gran parte delle risorse comunali e della legge "Roma Capitale" in grandi opere infrastrutturali come la linea C della metropolitana.

Quel che non buttano giù è perché quell'ambizione ha dovuto riservare alle borgate soltanto negligenza, il progressivo abbandono dei servizi sociali, della piccola manutenzione. C'è qui il Parco degli Acquedotti. È bellissimo. Al centro c'è un laghetto. Lo si è lasciato inaridire. Sono stati eliminati gli orti abusivi. Si doveva riqualificare l'area. Non se n'è fatto nulla. Soltanto per sciatteria non si sono eliminate le buche nelle strade, le piccole discariche abusive "che anche soltanto in una sola notte ti appaiono davanti a casa".

Non è stato ristrutturato quel rudere che doveva ospitare il centro anziani a Largo Spartaco. Per disattenzione non si sono completati i marciapiedi, non sono state aperte - e soltanto per stupidi intoppi burocratici, eliminabili con un atto di volontà - una decina di piccole opere già pronte, un sottopasso, una "bretella", un parcheggio, una scuola. Soltanto per disinteresse non si è voluto porre limite al degrado del terminal dell'Anagnina, come se il destino della città e l'abitare si potessero declinare soltanto con le categorie del simbolico, dell'immaginario, della comunicazione e queste fossero capaci di rendere invisibile la realtà.

Ti ci accompagnano al terminal perché, dicono, "vedrai, non puoi immaginarlo". E non lo si può immaginare, infatti, quel suk. Il piazzale della metro all'Anagnina è immenso come tre o quattro campi di calcio. Ospita il terminal dei bus delle linee cittadine (verso il centro), interprovinciali (Castelli), interregionali (Calabria), internazionali (Romania). I venditori ambulanti autorizzati dovrebbero essere soltanto quindici.

Sono centinaia e centinaia e centinaia. Ogni settore merceologico ha il suo banco, piccolo o grandissimo. Ogni etnia, il suo angolo. Quando la domenica arriva sul piazzale il pullman da Timisoara, i rumeni fanno festa. Hanno a disposizione, quel giorno, anche il loro barbiere, un ristorante improvvisato, la musica, i bar e, dicono, "spesso bevono troppo e litigano".

Quel piazzale era la porta di casa della borgata, l'uscio di un territorio circoscritto, riconoscibile. Con la sua umanità, i suoi odori nuovi e indefinibili, il suo disordine, le illegalità piccole e grandi, è diventato un vuoto che non ospita, che non si può abitare, un brulicante vuoto minaccioso che ha cancellato ogni significato accettato e comune nel dirsi "sono di Cinecittà, del Quadraro, del Tuscolano".

La predicazione "buonista", l'inerzia ipocrita che lascia le cose così come sono - e soddisfatti soltanto chi non ne paga le conseguenze ogni giorno - produce qui furia, rabbia, la secrezione infausta di un'impotenza, la convinzione di non essere ascoltati, "di non contare nulla".

"La sinistra non ha le culture e il sapere per affrontare la percezione dell'insicurezza - ammette Sandro Medici - Qui non abbiamo grandi problemi di sicurezza nel senso che, se guardi le statistiche, vedrai che non ci sono criticità e i vecchi del quartiere ti spiegheranno che negli anni Ottanta, con la guerra tra la banda della Magliana e i napoletani, era molto più pericoloso girare di notte da queste parti.

Voglio dire che non è minacciata l'incolumità delle persone, ma la loro familiarità con il luogo che abitano. Trovano la spazzatura davanti alla loro porta. Vedono gente che non conoscono. Sono invasi dal fumo dei fili di rame bruciati negli improvvisati campi rom. Questo spaesamento ha provocato l'incertezza e l'insoddisfazione che in Campidoglio non hanno voluto comprendere fino alla bocciatura di Rutelli, oggi. I municipi più popolosi ci hanno voltato le spalle e si sono rivolti a chi ha promesso sgomberi e deportazioni".

Messe così le cose, sembrerebbe che il peso della sconfitta della sinistra a Roma, in questa municipalità "rossa" per tradizione e convinzione, sia da scaricare per intero sulle spalle di Walter Veltroni, responsabile di aver dimenticato le borgate a vantaggio del glamour dei concerti al Colosseo, delle Feste del Cinema, della Città dello Spettacolo. Sarebbe un errore. Anche l'investitura di Rutelli, dicono, ha avuto il prezzo da scontare. Il come si è scelto quel nome. Il perché lo si è scelto. È parsa soltanto la mossa di un'oligarchia, la ricerca di un nuovo equilibrio all'interno di "una cricca di potere".

Un altro segno che la distanza tra la politica e la società civile rende le scelte indipendenti dai gruppi sociali, dalle loro aspirazioni, dalle loro necessità o interessi. Il processo politico riproduce soltanto se stesso. Pensa di poter trascendere gli umori di chi vota, il sostegno attivo della società che pure rappresenta. Una filosofia del potere che, dicono, "non ha fatto i conti con il carattere e il temperamento del popolo di Roma che chiede di essere rispettato oltre che rappresentato, coinvolto e non soltanto usato e che, se non rispettato e coinvolto, ti liquida con un vaffanculo".

La prova è nei numeri. Se Alemanno, al Quadraro, ha sconfitto Rutelli diciannove a uno, Nicola Zingaretti, candidato della sinistra alle provinciali, ha battuto il suo avversario per venti a zero. Vuol dire, ti spiegano, che un'altra candidatura e un altro metodo avrebbero potuto anche attenuare gli errori del passato e ottenere con margini contenuti un altro mandato, un'altra fiducia. Sarà. Resta un ultimo argomento da mettere in piazza. Come è possibile che una borgata per storia e tradizione antifascista ha votato un postfascista? Le risposte che si raccolgono sono un coro: "Quei pregiudizi ideologici non contano più. Non funzionano. È roba del passato. Alemanno, un Alemanno ripulito, è apparso credibile, affidabile, concreto anche ai vecchi che, alla bocciofila del Quadraro, ancora possono raccontare quel 17 aprile del 1944".

 

ALFIO MARCHINI gianni alemanno barbara d urso tra alemanno e marino ANTONIO DI PIETRO - ITALIA DEI VALORINicola Zingaretti Francesco Rutelli appio tuscolano Massimo Perifano

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