CHI TOCCA RIGOR MONTIS MUORE - MANCO IL TEMPO DI SOLLEVARE QUALCHE CRITICA SULLA LEGGE DI (IN)STABILITA’ E IL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA SQUINZI FINISCE SULLA GRATICOLA - CHE AVRA’ DETTO DI TANTO STRANO? HA DEFINITO LA FINANZIARIA “INIQUA PER I POVERI” E CON “NIENTE DI INCISIVO PER LE IMPRESE” - NON SOLO: QUEL MONELLO DI SQUINZI NON PREGA PER IL MONTI-BIS! - MEGLIO MARPIONNE, L’ANTI-CONCERTAZIONE…

Da "Il Foglio"

Passi un pizzico di inesperienza politica e di tono professorale da parte dei tecnici di governo. Passi pure che la crisi è più profonda di quanto tutti prevedessero e quindi i "sacrifici" sono sempre dietro l'angolo. Eppure alla base della resistenza che Confindustria oppone al governo Monti, acclamato dai principali investitori internazionali, ci dev'essere qualcosa di più profondo e strategico.

Se Sergio Marchionne si augura che Mario Monti "resti premier a vita", e Giorgio Squinzi afferma che il governo "avrà fra tre mesi al massimo esaurito il suo compito", c'è molto che non va tra il numero uno Fiat e chi dovrebbe rappresentare tutti gli imprenditori. Fatto noto. Ma se la Confindustria di Squinzi, attraverso il Sole 24 Ore, nel giro di tre giorni prima attacca la legge di stabilità perché "iniqua per i poveri" e fiscalmente retroattiva, e poi applaude le modifiche Irpef "importanti per le famiglie", mentre non trova "nulla di incisivo" per le imprese, allora è tra i vertici confindustriali che andrebbe cercata un minimo di coerenza.

Tanto più, notano a Palazzo Chigi, adesso che il governo è impegnato su tre fronti dove si giocano interessi robusti per le aziende italiane. E cioè nel rispondere all'Antitrust europeo - organismo ben conosciuto da Monti - che ha messo sotto inchiesta gli sgravi concessi alle imprese nelle zone terremotate per capire se sono "conformi ai danni" oppure aiuti pubblici. Il secondo fronte lo ha aperto il Fondo monetario internazionale, tornato alla carica contro il rigorismo ossessivo di Angela Merkel.

Terzo fronte, gli accordi di produttività, con il tavolo convocato in extremis dal ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, alla ricerca di un testo da presentare al summit europeo di oggi. Eppure Squinzi e l'ala confindustriale a lui favorevole sembrano guardare più al teatro tattico italiano che allo scenario strategico globale. Così dicono gli anti squinziani, trovando riscontri tra chi frequenta il premier.

Dietro il "Monti a vita" di Marchionne c'è la comune convinzione che la partita non sia più sui vecchi incentivi e sulla "politica industriale" invocata da Confindustria in sintonia con Pd e Cgil. Per Marchionne e Monti le aziende vanno invece lasciate fare, mentre le tutele sono da stabilire a livello internazionale. Gli ultimi cali di vendita delle auto sembrano dar loro ragione: gli incentivi hanno già drenato gli acquisti, con conseguente frenata attuale, mentre l'abolizione senza reciprocità delle barriere alle case coreane colpisce i big europei.

E' di questo che Marchionne e Monti hanno discusso per cinque ore il 22 settembre. Ed è esattamente quel che intendeva il capo del governo quando ha detto che i problemi vanno portati a livello Ue. I numeri evidenziano il calo di tutte la case generaliste, Volkswagen compresa. Invece avanzano Hyundai e Kia, e le giapponesi che producono in Corea.

Tra i mercati, la Gran Bretagna, fuori dall'euro, scavalca la Germania. Per globalisti come Monti e Marchionne è la conferma che la recessione va battuta sulla linea del Fmi, mentre accordi come il trattato di libero scambio con la Corea del 2011, asimmetrico per volumi, leggi sul lavoro e tassi d'interesse, meritano più attenzione dei dogmi di Confindustria: concertazione e politica industriale.

Economisti liberisti come Francesco Giavazzi e Alberto Alesina tornano a denunciare la distorsione "di uno stato che eroga 30 miliardi l'anno di sussidi diretti alle imprese e altri 30 come detrazioni fiscali". Notano certo che la Confindustria "si dice favorevole all'eliminazione di questi sussidi in cambio di un taglio del cuneo fiscale". Ma è davvero così? Squinzi, e prima Emma Marcegaglia, hanno secondo molti razzolato male. La Marcegaglia l'anno scorso chiedeva insistentemente "soldi veri" al governo Berlusconi, e una volta ottenuti iniziò la campagna per licenziare il Cavaliere.

Dopo aver firmato gli accordi di produttività aziendale con Cisl e Uil, ha fatto una virata a U con la stretta di mano con il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. La riforma del lavoro di Elsa Fornero è sempre stata definita inutile da Squinzi, per il quale la concertazione va benissimo e l'articolo 18 non è un problema. Una storia ventennale. L'accordo per la concertazione è del 1993, con Luigi Abete in Viale dell'Astronomia e Carlo Azeglio Ciampi a Palazzo Chigi. La Confindustria non difende poi dalle piazze della Cgil la riforma delle pensioni del primo governo Berlusconi.

L'autocritica degli allora vertici confindustriali, come il direttore generale Innocenzo Cipolletta, e anche di Romano Prodi, sono smentite dai fatti: Antonio D'Amato, il primo presidente anticoncertativo degli industriali, non si intende con i governi ulivisti e unionisti, che danno rottamazioni alla Fiat di Gianni Agnelli e Paolo Fresco. La ruvida svolta globalizzatrice di Marchionne cambia tutto con i politici e rompe con la Confindustria. Lui guarda in primo luogo all'America, Monti all'Europa.

Monti soprattutto ha sostituito la concertazione con la consultazione, cosa ben diversa. Innanzitutto perché depotenzia Viale dell'Astronomia e soprattutto i suoi presidenti che troppo spesso finiscono per diventare sensibili agli spifferi politici.

 

 

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