TRANSATLANTICO? NO, TITANIC! - CAMERA SCIOLTA. PARLAMENTO PIENO DI DEPUTATI IN CERCA DI RICONFERMA - EFFETTO CAMPO PROFUGHI: GLI EX BANANA’S STRACQUADANIO E BERTOLINI SPERANO NELLA CHIAMATA SANTA DI PIO RICCARDI (CHE NON ARRIVA) - SCILIPOTI “BALLA” CON RAZZI, LUSETTI SFOTTE TASSONE: “SEI VECCHIO, NON TI RICANDIDANO” – LA BELLA LORENZIN PENSA AL POPOLO: “MI CONVIENE LA REGIONE LAZIO, CHE DICI?” - E OGGI SI RICOMINCIA A PIETIRE…

Goffredo De Marchis per "la Repubblica"

Il parlamento è sciolto, le Camere sono convocate a domicilio. Per dire, se scoppia una guerra li richiamano. Ma tanti deputati non stanno a casa. Sono in Transatlantico, seduti sui divanetti, riuniti in gruppo vicino alle finestre, nel cortile a fumare. Il ristorante è strapieno, come se si dovesse votare la fiducia al governo. Invece i monitor sono spenti, l'aula chiusa, il cicalino elettronico che squilla in continuazione durante le sedute, tace.

«Siamo qui per monitorare le candidature», ammette Piero Martino, deputato Pd che aspetta notizie sul suo destino parlando con altri colleghi, i fedelissimi di Dario Franceschini. Alla ricerca del seggio perduto o in bilico, questo è il tema. In questa fase Montecitorio è un limbo, nel quale tutti sono sospesi. I deputati uscenti passeggiano nervosi, simulando una calma che è muta speranza. O disperazione. Una guerra in corso c'è: quella dell'incertezza, del dentro o fuori. La guerra del posto.

Giorgio Stracquadanio, un tempo pasdaran berlusconiano, ha saltato il fosso da tempo. Attende una nuova collocazione da Mario Monti, nella lista unica del Senato dove saranno recuperati spiccioli di fuoriusciti del Pdl. «Tengo i contatti, vedo gente. Aspetto una telefonata da Riccardi o dallo staff del presidente». Riccardi è la zattera. Stracquadanio discute con Isabella Bertolini, anche lei transfuga. Li raggiunge Paolo Guzzanti, neomontiano ex Pdl.

Alcuni fanno un giro alla banca interna, per dissimulare le vere ragioni di una presenza inutile, in un edificio svuotato delle sue funzioni. Renzo Lusetti e Mario Tassone, Udc e parlamentari di lungo corso, s'incontrano allo sportello. Lusetti è un buontempone. «Mario, sei vecchio. Non ti ricandideranno mai, lascia perdere». Tassone non ha alcuna intenzione di ritirarsi. Chiede notizie del conto corrente, ma è qui soprattutto per farsi vedere, perché non gliela facciano sotto il naso. È in Parlamento da 34 anni, vuole arrivare ai 39. Poi, forse, la meritata pensione. C'è anche Teresio Delfino, un altro che ha tanti anni di Camera sulle spalle.

Domenico Scilipoti ha fatto poche vacanze. Ha presidiato Montecitorio tra Natale e Capodanno, tra Capodanno e l'Epifania. Oggi è di nuovo qui. Il suo "ufficio" è tra la Corea, il corridoio parallelo al Transtlantico, e l'ingresso secondario di Piazza
del Parlamento. Tiene la posizione. Finchè dura, conserva il titolo di onorevole. Di solito lo segue come un cagnolino Antonio Razzi, l'altro ex Idv che salvò Berlusconi il 14 dicembre del 2010.

Una vita fa. Sono entrambi a caccia di un posto. Nessuno glielo ha garantito, le antiche promesse sono carta straccia. «Mimmo - lo chiama un collega - sei tutti noi, ti devono candidare». Scilipoti sorride e ricomincia il suo moto perpetuo. Nel capannello dei franceschiniani si vedono Antonello Giacomelli, Francesco Garofani, Alberto Losacco e Martino. «Non ci vedevamo da un po', è stata l'occasione per ritrovarci », racconta Martino. Sono tutti ricandidati, molti di loro erano alla prima legislatura. Ma i posti sono pochi, il piazzamento in lista un'incognita.

«Non possiamo presentarci nella lista civica di Monti alla Camera - spiega Stracquadanio -. Io e la Bertolini dovremmo essere in quella del Senato». E Frattini? E Pisanu? «Frattini non si candida, mi risulta ». Un concorrente in meno. Mors tua vita mea.
Cambia un mondo stavolta. Più delle altre. I volti nuovi della lista Monti, il ricambio a cui sono chiamati i centristi vigilati da Enrico Bondi.

La rivoluzione imposta da Pierluigi Bersani con le primarie e con l'esercito delle donne elette. Persino Berlusconi si adatta se è vero che gli imputati li dirotterà in Grande Sud, il partito di Miccicchè trasformato nella "bad company" del centrodestra. E lo sbarco in massa dei grillini, gli alieni del Palazzo.

Il Porcellum aveva messo tutti comodi. Bastava il rapporto di fedeltà. L'antipolitica ha imposto un ricambio culturale. Si affaccia per un attimo in Transatlantico Beatrice Lorenzin. Sono i suoi ultimi giorni a Montecitorio, forse. Non sarà epurata, semmai promossa al rango di sfidante di Zingaretti nel Lazio. Però ha dei dubbi, chiede consiglio. «Che dici, mi conviene?», si rivolge a un deputato del Pdl. «Posso candidarmi anche in Parlamento?».

In questi giorni le Camere sono un purgatorio, nel quale si agitano personaggi, peones, veterani. La politica è una malattia che nessuno vuole curarsi. Giacomo Mancini è nipote d'arte, porta il nome del nonno, segretario del Psi. Per continuare la storia di famiglia non ha esitato a farsi eleggere anni fa con i Ds per poi cambiare casacca più volte: oggi fa l'assessore nella giunta dell'ex An Scopelliti in Calabria. Ha 40 anni, ma è un politico navigato. C'era anche lui ieri, alla Camera, in attesa di notizie.

Tornare a Roma, rivedere l'aula: è un sogno di tanti. Stracquadanio scruta il cellulare. La chiamata di Riccardi non arriva. Dallo staff di Palazzo Chigi, tutto tace. «Aspettiamo il giorno giusto. Dovrebbero esserci due posti per me e Isabella. Ma non è detto». Confabulano i peones. Scilipoti saltella da una parte all'altra. Al Nazareno è cominciata la direzione del Pd che stila le prime liste ufficiali. I democratici abbandonano il campo. Oggi gli altri però tornano a sperare. Qui, al centro del loro mondo.

 

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