TRATTA TU, CHE A ME VIEN DA RIDERE - SECONDO I GIUDICI DI FIRENZE, FU LO STATO, ATTRAVERSO IL GENERALE MARIO MORI, A VOLER NEGOZIARE UNA TREGUA CON LA MAFIA DOPO LE STRAGI - LA REVOCA DEL 41 BIS AD OPERA DI CONSO FU IL SEGNALE DELLA RESA - MA SUI “NUOVI REFERENTI”, IL BANANA E DELL’UTRI, NON CI SONO PROVE DEL LORO COINVOLGIMENTO - MANCINO: “IO USATO E VENDUTO NELLA TRATTATIVA” - MARTELLI: “CONSO EBBE PRESSIONI PER ALLEGGERIRE IL CARCERE AI MAFIOSI. AVVERTII MANCINO DI COSA AVREBBERO COMBINATO QUELLI DEL ROS”…

1- "FU LO STATO AD AVVIARE LA TRATTATIVA CON LA MAFIA"
Franca Selvatici per "la Repubblica"

«Una trattativa indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un do ut des. L´iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia». Lo affermano i giudici della corte di assise di Firenze che il 5 ottobre scorso hanno condannato all´ergastolo il boss palermitano Francesco Tagliavia per le stragi che nel corso del 1993 insanguinarono Roma, Firenze e Milano, e per le quali sono già stati condannati in via definitiva 15 boss mafiosi fra cui Totò Riina, Bernardo Provenzano e Giuseppe Graviano.

Cento delle 547 pagine di motivazioni della sentenza, appena depositate, sono dedicate alla analisi del movente di quella stagione di devastazioni - piegare lo Stato - e alla trattativa fra Cosa Nostra e istituzioni, che fu avviata dal colonnello Mario Mori all´indomani della strage di Capaci del 23 maggio 1992 e si intrecciò con quel sanguinoso ricatto. L´obiettivo che le istituzioni si prefiggevano, quantomeno all´avvio dei contatti, fu - a giudizio della corte di assise di Firenze - quello «di trovare un terreno di intesa con Cosa Nostra per far cessare la sequenza delle stragi.

È verosimile che tutti gli apparati, ufficiali e segreti, dello Stato temessero sommamente altri devastanti attentati dopo quello di Capaci, nella consapevolezza che in quel momento non si sarebbe saputo come prevenirli e questo anche perché, nonostante gli sforzi encomiabili di tutte le forze di polizia, si brancolava abbastanza nel buio, soprattutto sul piano dell´intelligence».

Secondo i magistrati fiorentini, l´uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta, il 19 luglio 1992, fu «una variante anomala». La trattativa, che Borsellino avrebbe avversato in ogni modo «perché rappresentava la negazione stessa della battaglia condotta da sempre con Falcone», per alcuni mesi si arenò. Ma poi riprese e non si arrestò neppure quando, dopo l´arresto di Riina il 15 gennaio ´93, la mafia sferrò l´attacco indiscriminato contro chiese e monumenti, fra cui la Galleria degli Uffizi.

Un´idea suggerita a Cosa Nostra da elementi esterni, probabilmente da Paolo Bellini, oscuro personaggio vicino al terrorismo nero e ai servizi. Fu proprio in quel clima di terrore scatenato dagli attentati di Roma, Firenze e Milano, in cui persero la vita dieci persone fra cui due bambine, che il professor Giovanni Conso, ministro della giustizia nel Governo Ciampi, revocò centinaia di decreti di carcere duro (41 bis).

Le revoche non riguardarono nessun boss di prima grandezza, ma in quel contesto - sottolineano i giudici - «esse potevano apparire come un sintomo di cedimento alla mafia». La corte, che durante il processo ha sentito gli ex ministri Conso e Nicola Mancino, conclude che «dalla disamina delle dichiarazioni di soggetti di così spiccato profilo istituzionale esce un quadro disarmante che proietta ampie zone d´ombra sull´azione dello Stato nella vicenda delle stragi».

Uno dei misteri di quella stagione è anche il motivo per cui, all´inizio del ´94, le stragi si fermarono. I giudici si sono chiesti se ciò sia avvenuto in relazione alla vittoria di Forza Italia. Ma, riguardo ai «nuovi referenti» indicati da Spatuzza e da altri collaboratori, e cioè Silvio Berlusconi e Marcello Dell´Utri, la corte sottolinea che al momento le «gravi affermazioni» dei pentiti non hanno ricevuto una verifica giudiziaria, «neanche interlocutoria».

E ancor più nettamente rileva che, stando alle risultanze del processo fiorentino, «non ha trovato consistenza l´ipotesi secondo cui la nuova "entità politica" che stava per nascere si sarebbe addirittura posta come mandante o ispiratrice delle stragi». Il che non esclude - aggiungono i giudici - «che una svolta nella direzione politica del paese fosse stata vista dalla mafia come una chance per affrancarsi dalla precedente classe dirigente in declino».

2- MANCINO, IO USATO E VENDUTO NELLA TRATTATIVA
(ANSA) - "I pubblici ministeri giudicano inverosimile il mio racconto e ipotizzano che abbia qualcosa da nascondere. Ma io non ho segreti, se ne avessi li avrei già svelati, in mezzo a tanti che ritrovano la memoria dopo diciassette o diciotto anni, non sfigurerei di certo". Ad affermarlo è Nicola Mancino, ex presidente del Senato, in un'intervista al Corriere della Sera. Mancino ribadisce di non ricordare di aver mai incontrato il giudice Paolo Borsellino, né alla sua cerimonia di insediamento come ministro dell'Interno, né in altre occasioni. "Nessuno mi indicò quel magistrato come Borsellino - prosegue Mancino - né lui mi ha chiesto un colloquio più approfondito".

"Borsellino non mi ha mai cercato - sottolinea l'ex vicepresidente del Csm - . Tantomento per dirmi che aveva intuito l'esistenza di una trattativa". "Io penso di essere stato usato e venduto - aggiunge -. Evidentemente qualcuno ha fatto il mio nome a Vito Ciancimino, politicamente distante mille miglia da me e poi il nome è arrivato a Riina. Aspetto di sapere come e perché s'é realizzato questo millantato credito. Purtroppo Ciancimino è morto e il figlio è giudicato inattendibile dagli stessi magistrati di Caltanissetta". L'ex presidente di Palazzo Madama preferisce "passare per un ingenuo e magari un fesso ma non come un furbo, uno che nasconde la verità".


3- MARTELLI,PRESSIONI SU CONSO CONTRO CARCERE DURO

(ANSA) - "Penso che Conso abbia deciso da solo, ma in conseguenza delle pressioni ricevute". Lo dice, in una intervista al Corriere della Sera, l'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli, a proposito della decisione del suo successore di non rinnovare il regime di 41bis per alcune centinaia di mafiosi, nonostante "mi avesse detto di non voler cambiare linea, che avrebbe lavorato nel mio solco". Già "tre giorni dopo l'insediamento ci fu un vertice" con l'allora capo della polizia Vincenzo Parisi, il responsabile del Dap Nicolò Amato e il ministro dell'Interno Nicola Mancino nel quale "Amato, come è agli atti, propose addirittura l'abrogazione del 41 bis".

"Secondo Conso - aggiunge - l'unico modo di fermare le stragi era annullare il carcere duro e mandare un segnale all'ala moderata che faceva capo a Bernardo Provenzano, il vice di Totò Riina" ma Conso "non puoì aver messo a punto un simile piano da solo", "per forza deve essersi consultato con qualcuno. Fu un azzardo incredibile, un errore catastrofico" perché "i vertici di Cosa Nostra percepirono una straordinaria debolezza dello Stato" ed "esportarono i loro metodi libanesi fuori dalla Sicilia".

Quanto a Mancino che ha dichiarato di essere stato "usato e venduto" nella trattativa tra Stato e mafia, Martelli chiede che "faccia i nomi" e ricorda di "averlo avvertito" di quello che "stavano combinando quelli del Ros". Quanto al colonnello Mori e al capitano De Donno "credo - conclude Martelli - che abbiano un po' abusato del loro potere, con dosi di autonomia spregiudicata" ma "francamente mi sembra improbabile che un capitano e un colonnello abbiano potuto millantare di poter trattare per conto dello Stato l'abrogazione delle leggi antimafia".

 

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