IL “TRUCCHETTO” DI ENRICHETTO: QUANDO IL 2 PER MILLE AI PARTITI FA 60 MILIONI GARANTITI

Marco Palombi per Il fatto Quotidiano

Come vi abbiamo spiegato ieri, più che di abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, Enrico Letta farebbe bene a parlare di una sua riduzione, per la precisione di un terzo: l'accordo politico - raccontano fonti di governo - è che alla fine il nuovo sistema non costi allo Stato più di 50-60 milioni contro gli attuali 91. Tutto qui.

Questi soldi in un modo o nell'altro dovranno arrivare e il governo li ha sostanzialmente garantiti con un sistema vagamente truffaldino e grandemente discrezionale, visto che la quantificazione del flusso è affidata ad un decreto annuale del ministro dell'Economia: in buona sostanza, quel che non arriverà dalle donazioni rientrerà dalla finestra del famigerato "inoptato" con il 2 per mille. Vediamo perché.

Le detrazioni.
Riguarderanno, come si sa, le erogazioni liberali a partiti e movimenti politici e saranno del 52% fino a cinquemila euro e del 26% fino a ventimila. Come ha fatto notare Sergio Rizzo ieri sul Corriere della Sera, questo comporta che dare soldi alla politica sia per un contribuente 12 volte più conveniente che darli ad una onlus visto che sulle seconde si può detrarre solo il 26% fino al tetto di 2.056 euro.

Peraltro anche le detrazioni, per quanto in modo indiretto, sono un finanziamento pubblico, visto che lo Stato, concedendole, rinuncia a incassare delle tasse: a valori 2011, ad esempio, quando le donazioni ai partiti ammontarono a 14 milioni di euro (nove dei quali con assegni inferiori a cinquemila), l'erario rinuncerebbe all'ingrosso a 6,5 milioni.

Ora che la raccolta fondi dei partiti diventerà più professionale ed agguerrita è ipotizzabile che queste cifre cresceranno: anche ammesso che triplichino, però, non si arriverebbe ad un mancato gettito superiore a venti milioni. È qui, per arrivare ai 50-60 milioni di cui sopra, che entra in gioco il due per mille truffaldino.

L'inoptato.
Il meccanismo consentirà, in sostanza, ai partiti di sapere con discreta approssimazione quanti fondi avranno a disposizione aggirando l'incertezza insita in un sistema di contribuzione volontario.

Se venti milioni servono a coprire le detrazioni, il resto della "spesa massima" - 61 milioni di euro - potrà essere messo con decreto del ministero dell'Economia a copertura del 2 per mille (nel nostro esempio, circa 40 milioni) con la ragionevole certezza di incassarne la maggior parte. I partiti, infatti, hanno imparato la lezione degli anni Novanta e non vogliono lasciar fare a quei capricciosi dei loro elettori.

Nel 1997, proprio come oggi, si provò a finanziare i partiti con un 4 per mille (che poi sarebbe stato diviso per la percentuale di voti alle politiche) e le donazioni, ma fu un disastro: si pensava che il tutto sarebbe costato 160 miliardi di lire (110 dalle dichiarazioni dei redditi, 50 di mancato gettito per le detrazioni), solo che dal 4 per mille arrivarono la miseria di 10 miliardi. Poco male, si passò ai rimborsi elettorali e il sole tornò a splendere su Roma.

Ora, memori di quella disavventura, la politica ricorre alla millenaria sapienza della Chiesa e s'aggrappa all'ormai famoso "inoptato" inventato per l'8 per mille. In sostanza, stabilito per ipotesi che il fondo del 2 per mille è di 40 milioni di euro, quella somma sarà interamente ripartita tra gli aventi diritto (partiti e Stato) secondo la proporzione delle scelte espresse, anche se queste dovessero assommare - per tenersi al numero del 1997 - a soli 10 milioni.

I conti devono tornare per forza, ma il meccanismo è così involuto che i numeri ancora ballano: per questo il ddl di Enrico Letta è stato approvato "salvo riserva". Vuol dire che la Ragioneria generale ci sta ancora lavorando.

 

FABIO FAZIO E ENRICO LETTA cecile kyenge tra enrico letta e giorgio napolitano LETTA enricol ENRICO CON LO ZIO GIANNI LETTAENRICO CON LO ZIO GIANNI LETTA

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