ITALIA CAOS: UN’ECONOMIA AFFONDATA DALLE CHIACCHIERE

1. ALL'ECONOMIA 37 MILIARDI IN MENO - OLTRE A RIDURSI I PRESTITI CRESCONO LE SOFFERENZE (+18%) ORA A QUOTA 96 MILIARDI
Luca Orlando per "Il Sole 24 Ore"

«Guardi, anche sugli anticipi fatture spesso ci dicono "no", persino quando il cliente è una grande azienda, generalmente affidabile». Paola Snidero, imprenditrice friulana del settore plastico, incontra difficoltà crescenti nell'accesso al credito e la sua storia, sommata a migliaia di altre dello stesso comparto, vale una "stretta" nei prestiti che sfiora in un anno il 10% del totale.

In termini di riduzione dei finanziamenti bancari, quello della gomma-plastica è uno dei settori più penalizzati all'interno della manifattura italiana, che secondo gli ultimi dati di Banca d'Italia si è vista ridurre gli affidamenti di oltre 17 miliardi di euro tra gennaio 2012 e gennaio 2013.

Aggiungendo alle attività manifatturiere il resto dell'economia, dunque agricoltura, costruzioni, commercio e servizi, la "botta" vale oltre 37 miliardi, con una penalizzazione che colpisce sia le aziende minori (famiglie produttrici) che le realtà più strutturate (società non finanziarie). A gennaio del 2012 la consistenza dei prestiti per queste due categorie di clienti bancari valeva 1000 miliardi di euro, scesi a quota 963 miliardi dodici mesi dopo.

Su base annua per le attività manifatturiere, escludendo le cartolarizzazioni, la restrizione vale in media il 7,2% degli affidamenti ma vi sono aree in cui la stretta è ben più ampia. Per chimica-farmaceutica sfiora il 23%, tessile e abbigliamento vedono lo stock ridursi del 7,5%, gli imprenditori di carta e stampa perdono l'8% dei finanziamenti, la gomma-plastica arretra di quasi dieci punti.

«È una difficoltà che sentiamo, e avviene in una fase in cui invece servirebbe più credito - spiega il presidente della Federazione gomma-plastica Nicola Centonze - perché nel nostro comparto i fornitori internazionali di materie prime pretendono pagamenti in 30 giorni mentre i nostri clienti pagano in media a tre mesi, senza contare i ritardi frequenti che si verificano».

Gli unici comparti a poter contare su prestiti relativamente stabili sono l'alimentare e i macchinari, dove è meno pesante l'impatto della crisi.
Nel primo caso si tratta di un comparto anticiclico, in grado di realizzare nel 2012 il miglior risultato in termini di produzione industriale contenendo il calo all'1,4%; nel secondo ambito operano invece aziende ad altissima vocazione internazionale, con ricavi ancora in tenuta proprio grazie al sostegno dell'export, che in media supera il 70% dei ricavi complessivi

Ma anche qui i problemi legati alle restrizioni bancarie non mancano e il settore si trova indirettamente frenato dalle difficoltà nell'accesso ai finanziamenti.
«La stretta per noi è relativa - spiega il presidente di Ucimu Luigi Galdabini -, ma il danno per il settore è comunque pesante, perché se le banche riducono gli affidamenti dei nostri potenziali clienti è chiaro che vendere beni strumentali in Italia diventa sempre più difficile».

La riduzione dei prestiti si accompagna in Italia ad una forte crescita delle sofferenze, salite a 96 miliardi a fine gennaio, in crescita del 18,3% in 12 mesi. Un aumento non del tutto omogeneo, con le costruzioni che vedono i crediti deteriorati balzare del 26,4% mentre per l'intera manifattura la crescita si attesta all'11,8 per cento.

2- BOOM DI PROTESTI E RITARDI
Luca Orlando per "Il Sole 24 Ore"

«Il cliente mi ha chiamato, spiegandomi che l'alternativa era cestinare la lettera oppure eliminarmi dalla lista dei fornitori. Parliamo di un gruppo non proprio marginale, così mi sono rassegnato». Il pressing sui pagamenti dell'imprenditore lecchese - «non mi citi, per carità» - non è andato a buon fine, ma il suo caso, in realtà, è solo uno dei tanti. Alle cattive abitudini consolidate si aggiungono ora in Italia una lunga fase di recessione e progressive restrizioni al credito, con il risultato di gettare altra sabbia negli ingranaggi del sistema dei pagamenti.

Gli ultimi dati di Cerved Group rilevano infatti tempi che si dilatano, imprese ritardatarie sempre più numerose, aziende protestate ai nuovi massimi storici. La carenza di liquidità è anzitutto visibile nel monitoraggio effettuato da Cerved Group sui tempi di pagamento delle imprese, con la quota di "ritardatarie" salita al 7,1%, quasi in linea con i picchi raggiunti nel 2009. Così come sul mercato si assiste a una progressiva divaricazione dei risultati tra le aziende che esportano e quelle concentrate sul mercato interno, anche nei pagamenti è visibile una polarizzazione dei comportamenti, con una crescita significativa delle imprese che saldano con ritardi superiori ai due mesi ma anche di quelle che onorano le fatture entro i termini concordati.

Il risultato netto resta tuttavia negativo, anche perché la riduzione dei tempi concordati tra clienti e fornitori (63,7 giorni) è stata più che compensata alla fine del 2012 da un aumento dei ritardi, saliti di quasi tre giorni a quota 21,5. L'industria è mediamente più virtuosa, con una quota di ritardatari che si riduce al 5,8%, ma all'interno di questo ambito vi sono settori come largo consumo, mezzi di trasporto e sistema moda che sfiorano il 7 per cento.

Ancora più ampia è però la differenziazione su base geografica, dove Nord-Est e Nord-Ovest contengono la quota dei gravi ritardi al di sotto del 6%, mentre nel Sud si arriva a livelli quasi doppi. Analoga situazione si verifica nei protesti, dove le differenze geografiche, già ampie, tendono ad allargarsi.

Tra ottobre e dicembre dello scorso anno la platea delle società protestate in Italia è lievitata del 16% a 22mila unità, portando il totale annuo a quota 47mila: in entrambi i casi si tratta di nuovi record negativi.

Nei numeri assoluti, aggiungendo al calcolo le ditte individuali, la situazione è ancora peggiore ma il dato preoccupante è proprio quello legato alle realtà più strutturate, dove il livello di protesti è superiore del 47% al periodo pre-crisi. Dal punto di vista settoriale è nelle costruzioni l'area di maggiore difficoltà, con un'incidenza dei protesti che arriva al 3,4%, quasi il doppio rispetto alla media dell'industria.

Su base geografica, come detto, le situazioni sono molto diverse, con Nord-Est e Nord-Ovest a contenere le difficoltà rispettivamente all'1,1% e all'1,5% del totale, mentre per Sud e Isole l'incidenza delle aziende protestate sale al 2,9%, il 50% in più rispetto alla media nazionale.

 

 

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