1. LA VITTORIA DEL FRONTE ANTI-SECESSIONE IN SCOZIA NON HA RALLEGRATO SOLO CAMERON E LA REGINA ELISABETTA, MA HA DATO OSSIGENO ANCHE ALLE CANCELLERIE EUROPEE, PREOCCUPATE PER L’EFFETTO VALANGA DI UNA EVENTUALE VITTORIA DEL “SÌ” 2. LA MERKEL PENSA CHE IL REFERENDUM ABBIA SMONTATO POPULISMI, LOCALISMI E PROTESTE ANTI-SISTEMA CHE MONTANO, DA TEMPO, IN MOLTE REGIONI EUROPEE. MA L’OTTIMISMO DEGLI EURO-BUROCRATI POTREBBE ESSERE FATALMENTE PREMATURO 3. LO SVOLGIMENTO CONSENSUALE DEL REFERENDUM SCOZZESE HA FATTO PASSARE IL MESSAGGIO CHE L’AUTODETERMINAZIONE È UN DIRITTO DEMOCRATICO IRRINUNCIABILE, E VALE ANCHE PER L’IRLANDA DEL NORD, LA CATALOGNA, LA CORSICA E VIA SECESSIONANDO 4. ORA IN VENETO AFFILANO GLI OSEI: “E ORA TOCCA A NOI! RENZI DIMOSTRI IL CORAGGIO DI CAMERON E CI FACCIA VOTARE. I CITTADINI DEVONO ESSERE LASCIATI LIBERI DI SCEGLIERE”

1 - SOTTO LE CENERI DEL “NO” LE PICCOLE PATRIE RESTANO IN FIAMME COSÌ IL VOTO FARÀ SCUOLA

Andrea Bonanni per “la Repubblica”

 

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Il sollievo europeo è palpabile. Dopo il lungo, obbligato silenzio alla vigilia del voto, dalle capitali della Ue piovono messaggi di congratulazione al premier britannico Cameron e dichiarazioni di soddisfazione per lo scampato pericolo che fanno capire chiaramente quanto forte fosse la preoccupazione per un possibile smembramento del Regno Unito.

 

Da Roma a Berlino, da Parigi a Madrid a Varsavia a Praga, tutti i governi si rallegrano per il “no” scozzese alla secessione. Apprezzamenti arrivano dai presidenti della Commissione, del Parlamento e del Consiglio europeo. Del resto alla vittoria degli unionisti Bruxelles ha contribuito non poco, rifiutandosi di considerare automatico l’ingresso di una Scozia indipendente nell’Unione europea: una prospettiva, quella del totale isolamento, che evidentemente ha spaventato non pochi elettori spingendoli verso il “no”.

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I motivi di soddisfazione per gli europei sono molti. Innanzitutto c’era il timore per una possibile destabilizzazione dei mercati finanziari, che avevano trattenuto il fiato in attesa di conoscere i risultati del referendum. Nessuno era in grado di dire se una eventuale secessione avrebbe potuto scatenare uno tsunami sulla City di Londra, che è principale piazza finanziaria d’Europa. E gli effetti di una ulteriore destabilizzazione sia finanziaria sia politica dell’Europa avrebbero potuto avere ripercussioni gravi su una economia che ancora stenta a ritrovare la via della crescita.

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Poi ci sono gli aspetti politici del “no” scozzese. Il primo, e il più evidente visto da Bruxelles, è che la permanenza della Scozia nella Gran Bretagna aumenta le possibilità che i britannici respingano a loro volta il referendum per l’uscita del Regno Unito dalla Ue, che si dovrebbe tenere nel 2017.

 

L’opinione pubblica scozzese è in larga maggioranza filo-europea e si suppone che in quella occasione voterà massicciamente per la permanenza in Europa. Inoltre una secessione della Scozia avrebbe probabilmente esacerbato gli animi degli inglesi in senso nazionalista, dando ulteriori munizioni ai partiti populisti, come lo Ukip, che predicano l’uscita dalla Ue.

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Ma l’elemento che dà maggiore soddisfazione ai vertici europei è che la vittoria dei “no” in Scozia viene vista come una battuta di arresto per la marea montante dei populismi, dei localismi, dell’anti-politica e del voto di protesta anti-sistema. Lo ha detto Angela Merkel, citando il fatto che il voto di ieri «avrà ripercussioni indirette » sugli altri movimenti secessionisti.

 

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La speranza di tutti i governi è che l’esito del referendum metta a freno le tendenze centrifughe che da tempo si manifestano in molte regioni europee. «Se avesse vinto il “sì” avrebbe innescato una valanga politica delle dimensioni che hanno portato al collasso dell’Unione Sovietica», ha detto il commissario europeo De Gucht, che essendo belga e fiammingo sa quanto possano essere forti i localismi e i separatismi. E Hollande aveva evocato lo spettro di una possibile “decostruzione” dell’Europa.

 

Ma su questo fronte l’ottimismo dei leader europei potrebbe rivelarsi prematuro e ingiustificato. Lo svolgimento consensuale e pacifico del referendum scozzese è stato sì una vittoria della democrazia e della ragionevolezza. Ma ha anche fatto passare il messaggio che l’autodeterminazione può essere considerata un diritto democratico irrinunciabile.

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Dall’Irlanda del Nord alla Catalogna, questo è stato infatti il senso dei messaggi dei leader nazionalisti. A Barcellona, il presidente indipendentista della regione, Artur Mas, ha commentato che la marcia verso il referendum sulla secessione, previsto per il 9 novembre, «continua ed è anzi rafforzata».

 

Da tempo il parlamento catalano si batte perché Madrid riconosca la legittimità del referendum, che le autorità centrali spagnole considerano invece illegale e anticostituzionale. L’esempio della consultazione scozzese, anche se l’esito ha punito i separatisti, sembra confermare le ragioni dei catalani nell’affermare il loro diritto all’autodeterminazione.

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Già ieri, da Berlino, la Cancelleria è corsa a mettere le mani avanti spiegando che il caso scozzese e quello catalano «non sono paragonabili». Ma la fiamma della rivolta delle piccole patrie continua a bruciare sotto la cenere del “no” scozzese.

 

2 - PIERO BASSETTI: «MA GLOBALIZZAZIONE E IDENTITÀ REGIONALI HANNO GIÀ SEGNATO LA FINE DEI CENTRALISMI»

Andrea Senesi per il “Corriere della Sera”

 

«Vittoria effimera», i centralismi sono in crisi irreversibile, «schiacciati tra la globalizzazione e le nuove identità macro regionali e metropolitane». Piero Bassetti, primo presidente della Regione Lombardia, è da anni un teorico del glocalismo e della necessità storica del superamento degli Stati nazionali. 
 

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Il Regno Unito non si scioglie. L’autonomismo, in Scozia come nel resto d’Europa, è in crisi? 
«La vittoria del “no” crea paradossalmente più problemi. Gli scozzesi otterranno comunque maggiore autonomia da Londra, mentre se avesse vinto l’indipendenza il cerino rimaneva in mano loro. E i “no” hanno vinto di poco in un Paese che con le proprie identità locali dialoga da sempre. Il tema della crisi degli Stati nazionali si riproporrà a giorni in Catalogna ed è già esploso in Ucraina. Il punto è che l’articolazione geografica degli antichi Stati nazionali non è funzionale alla sfida europea, che viceversa può vivere sul regionalismo urbano e sulle grandi aree metropolitane». 
 

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In Scozia le ragioni del portafoglio hanno prevalso su quelle identitarie? 
«Sicuramente. Il timore per la tenuta dell’economia, per le banche che minacciavano di trasferirsi a Londra, hanno inciso molto sul risultato del voto. La paura però è spesso una pessima consigliera». 
 

Il no scozzese è una sconfitta anche per gli autonomisti di casa nostra? 
«Credo, al contrario, che la vicenda scozzese rafforzi le tesi di chi chiede i referendum regionali. Il governo di Londra ha permesso ai cittadini di esprimersi e ha vinto pur correndo un rischio». 

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Maroni punta su un referendum per chiedere ai cittadini se vogliono che la Lombardia diventi una Regione a statuto speciale. 
«Mi sembra una prospettiva regressiva, anche perché in questo modo si legittima lo Stato nazionale. Accadde così anche in Sicilia, autonomia in cambio di fedeltà alla Repubblica. La strada per il superamento del centralismo nazionale non è così facile come la disegnano i Bossi, i Maroni e gli Zaia». 


Le richieste di maggiore autonomia regionale non sono sacrosante? 
«Ma il punto non è la centralità delle regioni o il sogno di una grande Padania. Il cuore della futura articolazione territoriale saranno le grandi aree urbane. Sono le città a definire l’unità dei territori. E in Europa si sta già lavorando su questo, sulle macro regioni a concentrazione metropolitana. Ma i governatori hanno invece ragione nel protestare contro il nuovo centralismo di Renzi». 
 

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Renzi è un centralista? 
«Vuole annullare i corpi intermedi. Le province, le camere di commercio, il Senato che diventa non elettivo. Ma mi sembra d’intravedere un elemento nuovo all’orizzonte». 
 

A cosa si riferisce? 
«Al Sud. Il centralismo romano sta facendo molto male anche al Meridione. E c’è una nuova classe dirigente che di questi danni s’è stancata». 
 

3 - IL VENETO NON MOLLA “ROMA CI LASCI VOTARE”

Marco Bresolin per “la Stampa”

 

«E adesso tocca a noi. Perché noi andiamo avanti». Il fronte indipendentista veneto non si sente sconfitto dopo il «no» scozzese, anzi. La consultazione ha riacceso - ammesso che si fossero spenti - i bollenti spiriti separatisti veneti. Che non sono soltanto una bandiera della Lega. 

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Nei mesi scorsi il consiglio regionale ha approvato due diversi referendum: uno, utopico, per l’«indipendenza», e uno, decisamente ambizioso ma più realistico, per l’«autonomia speciale». Non una consultazione online promossa da un comitato di cittadini con un indefinito numero di elettori che hanno votato da ogni parte del mondo (così è successo con la consultazione di Plebiscito.eu). Sui due referendum veneti c’è il cappello istituzionale. Ci sono atti ufficiali approvati a maggioranza. E il via libera è arrivato grazie ai voti dei consiglieri dell’intero centrodestra.

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Remo Sernagiotto, ex consigliere regionale e ora eurodeputato di Forza Italia, è stato tra i primi sostenitori. «Non è una questione di un partito o di un altro, è una questione di libertà. I cittadini devono essere lasciati liberi di scegliere. Magari voteranno “no” come in Scozia, benissimo. Ma devono poter votare». Stessa musica dai colleghi di Ncd: «Mi batterò affinché il popolo veneto possa esprimersi», aggiunge il consigliere alfaniano Sandro Sandri.


Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo la Corte Costituzionale. Il Consiglio dei ministri ha impugnato entrambi i referendum. «Renzi dimostri il coraggio di Cameron e ritiri subito quel ricorso» chiede ora a gran voce il fronte forza-leghista veneto. La richiesta cadrà nel vuoto, ma da Venezia giurano che loro fanno sul serio. Anche se quel referendum verrà dichiarato incostituzionale.

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«Non sono un eversivo - dice il governatore Luca Zaia - ma noi andiamo avanti lo stesso». «Legittimo o illegittimo, il referendum si farà - assicura il forzista Sernagiotto -. Apriremo un conto corrente e raccoglieremo i 20 milioni che servono». Sì, ma poi? «Sarebbe un modo per esprimere l’attuale situazione di insofferenza - dice Flavio Tosi, sindaco di Verona -. Guardiamo alla Scozia: hanno vinto i no, ma ora la Gran Bretagna sarà costretta a concedere più autonomia».


Domenica la Lega si darà appuntamento a Cittadella, in provincia di Padova, per una manifestazione indipendentista. «Da oggi - promette Salvini, di rientro dalla Scozia - niente sarà più come prima».

 

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