XI VO’ FA’ L’AMERICANO: GLI STATI UNITI DI CINA

1 - CINA, UNA FIRST LADY COLTA E GLAMOUR ECCO IL VOLTO DEL "SOGNO CINESE"
Giampaolo Visetti per "la Repubblica"

La consegna del vecchio potere è conclusa, si apre a Pechino l'era del giovane "sogno cinese". Non che il presidente Xi Jinping, 60 anni in giugno, possa incarnare per il mondo contemporaneo la novità che John Kennedy e il "sogno americano" rappresentarono per la fine del Novecento. La sfida agli Stati Uniti per il dominio sull'influenza globale del secolo però è lanciata e il nuovo "principe rosso" della Città Proibita punta a trasformare anche la Cina in una «superpotenza ricca e forte». Benessere per un sesto dell'umanità e corsa al riarmo per l'esercito più numeroso del pianeta sono la scommessa della quinta generazione degli eredi di Mao Zedong.

Il Grande Timoniere fece la rivoluzione e importò il comunismo in Oriente. Deng Xiaoping sdoganò la ricchezza. Jiang Zemin radicò il capitalismo e si concentrò sulla difesa dei confini. Hu Jintao ha alimentato la «crescita pacifica». Da ieri tocca a Xi Jinping,
eletto presidente dall'Assemblea nazionale del popolo, e il nuovo leader dell'unico partito comunista di successo, ha promesso «un grande rinnovamento come condizione per mantenere la stabilità».

Riforme, crescita interna e "soft power" all'estero: il momento della Cina è arrivato, e l'uomo che in novembre era stato acclamato segretario generale del partito e capo dell'esercito, si dice deciso a coglierlo, «per evitare di fare la fine dell'Urss, che si dissolse quando la corruzione le fece sfuggire di mano le forze armate».

Il «sogno cinese» di Xi ambisce a ridefinire il rapporto Cina-Usa come «il confronto» e «tra grandi potenze alla pari». Proprio ieri Obama e Xi si sono parlati al telefono (Corea del Nord e cyber attacchi i temi affrontati) e la Casa Bianca ha annunciato una visita del segretario di Stato John Kerry a Pechino nelle prossime settimane. Il solo punto da chiarire è a quale luogo alluda il neo amministratore delegato della ripresa globale quanto ripete che «Pechino deve tornare al posto che gli compete».

Lo strumento è invece chiaro: «via cinese al cambiamento», ossia nessuna «importazione di democrazia occidentale». Le prime mosse lo confermano. Xi Jinping a sorpresa ha scelto come vice il riformista Li Yuanchao, 61 anni, capo dell'organizzazione del partito con studi negli Usa e grande sponsor degli investimenti delle multinazionali straniere. Come Xi, anche Li è un "principe rosso", figlio dell'ex vicesindaco di Shanghai, e ha vissuto epurazione maoista e confino nelle campagne.

Il messaggio è semplice: riavvicinare l'élite comunista al popolo, togliere all'obbligata urbanizzazione il sapore della corruzione e del divario tra ricchi e poveri, ma pure rassicurare le lobby degli affari.

Il resto si vedrà oggi, quando la transizione si concluderà con l'addio a Wen Jiabao, l'ascesa a premier di Li Keqiang e la nomina del nuovo governo. Un esecutivo dimagrito, con l'accorpamento esemplare di importanti ministeri (Ferrovie e pianificazione famigliare) per ridurre i rivoli della corruzione. L'anno aperto con il misterioso delitto Heywood, che ha portato alla spettacolare epurazione del neomaoista Bo Xilai, si chiude però con un botto hollywoodiano.

Per la prima volta dopo quasi quarant'anni e la condanna a morte dell'attrice Jiang Qin, quarta moglie di Mao, la Cina si appresta a riesibire al mondo una first lady. Peng Liyuan, stella del folk-pop patriottico e generalessa, seconda moglie di Xi Jinping, accompagnerà il nuovo leader nel primo viaggio all'estero, destinazione Mosca, e a fine mese in Sudafrica terrà addirittura un discorso pubblico a margine del vertice dei Brics. Dall'assenza pianificata delle consorti rosse, ai riflettori internazionali puntati sulla star nazionalista che la propaganda già dipinge come «una delle donne più belle e colte dell'Oriente».

Peng Liyuan non sarà Jacqueline, poi Onassis, ma il «sogno cinese» ha bisogno di un volto asiatico da contrapporre all'influenza di Michelle Obama. Questione di "soft power", o di «esportazione culturale della Cina nel mondo». «Ricca e forte»: l'«americano» Xi Jinping sa però che per diventarlo, Pechino deve essere oggi, prima di tutto, seducente e alla moda.


2 - PECHINO VERSO L'ADDIO ALLE BACCHETTE "STANNO DISTRUGGENDO LE NOSTRE FORESTE"
Giampaolo Visetti per "la Repubblica"

«Meglio forchetta e coltello». Xi Jinping non ha fatto in tempo a dire che la Cina «non si farà occidentalizzare», che la mazzata è ripiombata sull'Assemblea nazionale del popolo. «I bastoncini usa e getta - ha detto Bo Guangxin, presidente del gruppo che riunisce le industrie forestali di Jilin - stanno distruggendo le foreste dell'Asia. O chiediamo alla gente di cambiare abitudini o la patria diventa un deserto». I leader comunisti hanno deciso di «riflettere sulla proposta». Il tema però è, come si dice, sul piatto e questa volta, nel pieno degli scandali che rivelano le conseguenze ambientali disastrose della crescita cinese, per i bastoncini non sembra esserci scampo.

 

PENG LIYUAN XI JINPINGPENG LIYUAN

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