zohran mamdani fran lebowitz

POTERE DI NEW YORK: UN’EBREA VOTA UN MUSULMANO RADICAL – LA COMICA FRAN LEBOWITZ, ICONA DELLA GRANDE MELA, APPOGGIA IL CANDIDATO SOCIALISTA (E ISLAMICO) A SINDACO, ZOHRAN MAMDANI: “A VENT’ANNI HO CAPITO CHE IL PROBLEMA DEL SOCIALISMO È CHE LE IDEE SONO DELIZIOSE, MA LA SPECIE UMANA NON È ABBASTANZA BUONA PER REALIZZARLE. LUI CI CREDE, MA DI CERTO NON PUÒ METTERLE IN PRATICA. QUINDI PENSO CHE SIA POSITIVO, PERCHÉ VOGLIO DISPERATAMENTE LIBERARCI DAL SANGUE VECCHIO. E IO SONO VECCHIA. POI SEMBRA UNA REAZIONE CONTRO TRUMP, IL CHE È BENE, PERCHÉ I DEMOCRATICI AL POTERE NON FANNO NULLA…”

Traduzione di un estratto dell’articolo di Megan Nolan per https://observer.co.uk/

 

fran lebowitz 2

Fran Lebowitz è arrabbiata con me, all’apparenza. Sto aspettando in una stanza adiacente al bar principale del Chelsea Hotel.

 

«Ti stavo cercando di là», dice, infastidita, mentre si siede.

 

«Mi dispiace», rispondo. «C’erano lavori sopra l’altra sala, era un po’ rumoroso.»

 

«Non ti sento», replica.

 

«Ho detto: “Mi dispiace, c’erano lavori nell’altra sala, quindi…”»

 

«A New York non esiste un posto dove non ci siano lavori. Impossibile.»

 

Lebowitz, che una volta si è definita “la newyorkese per definizione”, ha costruito una carriera e una vita su dichiarazioni tranchant sulla città, alcune quasi aforismi: generalizzazioni impossibili ma acute. Un equilibrio perfetto per New York, un luogo gravato da immagini turistiche smielate e stereotipate di sé, ma al tempo stesso unico come dicono.

zohran mamdani su un autobus

 

A 74 anni, con la sua uniforme d’ordinanza — blazer Anderson & Sheppard, jeans blu e stivali — lodata da Vogue, è un’icona immediatamente riconoscibile. Come ogni vero newyorkese, è una camminatrice instancabile, spesso fermata dai fan per un selfie.

 

L’avevo già incrociata più volte prima di questa intervista: una volta a fumare nel West Village, un’altra a una serata del Paris Review, dove ammiravo la sua disinvoltura nello scivolare tra tavoli di milionari e star letterarie, mentre io me ne stavo rintanata al bar temendo che le mie origini da “topo di campagna” fossero visibili a tutti.

 

DONALD TRUMP - FOTO NEW YORK TIMES

Le chiedo se le dia fastidio essere fermata così spesso, essendo ormai un simbolo pubblico della città.

 

«Non mi disturba se sono ferma. A volte, sto attraversando la Quinta Avenue e qualcuno, arrivando dalla direzione opposta, si ferma e dice: “Posso chiederle una cosa?” “Sì, ma devi venire sul marciapiede. Perché sta arrivando un milione di macchine.” Non mi piace se sto scendendo le scale per prendere la metro e qualcuno le sale, perché allora perdo il treno.»

 

[…]

fran lebowitz 1

 

Lebowitz ha una carriera piuttosto unica per i nostri tempi; oggi sono pochi i “professionisti della battuta” a tempo pieno. È diventata famosa come scrittrice, con rubriche su Interview di Andy Warhol e altre testate, e due raccolte di saggi umoristici. Un romanzo a lungo vociferato non è mai arrivato.

 

Oggi vive soprattutto del suo spirito arguto […], incarna un archetipo newyorkese colto, giudicante, burbero ma fondamentalmente di buon cuore, capace di camminare sul filo tra maleducazione e franchezza con grazia disinvolta. Martin Scorsese le ha dedicato due film: il documentario Public Speaking e la serie Netflix Pretend It’s a City.

 

Ci incontriamo in vista di una serie di spettacoli a settembre nel Regno Unito, tra cui uno al Barbican di Londra, e le chiedo quale sia il suo rapporto con quella città.

 

«Ci sono stata una volta d’estate e ricordo due cose. Era Wimbledon, quindi c’erano un milione di persone che conosco e che, a mia insaputa, lasciano il Paese una volta l’anno per una partita di tennis. Ed era il 4 luglio, e il mio tour manager inglese mi chiese: “Di solito fai qualcosa di speciale il 4 luglio?” Io: “Sì, festeggiamo la nostra vittoria su di voi.” Ma ora, ovviamente, nessun americano sano di mente festeggia nulla.»

 

Quando le dico che da quando vivo a New York la gente a casa mi chiede come faccia a vivere negli Stati Uniti, e che tutti i miei amici newyorkesi mi rassicurano dicendo che New York non è l’America, sorride:

 

«Oh, vivi qui? Allora è vero, New York non è l’America. L’America dovrebbe essere più come New York. E in effetti ora New York dovrebbe cercare di essere più come se stessa. Molti dei miei amici non sono mai stati in America. Ho amici che sono stati 50 volte in Cambogia, in Vietnam… ma sei mai stato in Kansas?»

 

zohran mamdani

Le chiedo cosa pensi della recente vittoria alle primarie democratiche del candidato socialista Zohran Mamdani. Sul New York Times, prima del voto, aveva detto di sentirsi troppo vecchia per votare per qualcuno così a sinistra.

 

«Ora lo farò, perché non posso votare per [Andrew] Cuomo. Non lo conosco, e forse crede davvero in quelle cose. Molti giovani ci credono. Ci credevo anch’io, ma non ero vecchia come lui. Ho smesso di pensarla così a vent’anni — quando ho capito che il problema del socialismo è che le idee sono deliziose, ma la specie umana non è abbastanza buona per realizzarle. L’essere umano è orribile, quindi finisce sempre male, non perché le idee non siano belle, ma perché non funziona. Magari lui ci crede, ma di certo non può farle.»

 

Eppure è disposta a votarlo?

 

fran lebowitz 3

«Sì. In un certo senso, penso sia una cosa molto positiva, perché voglio disperatamente liberarci del sangue vecchio. E io sono vecchia. Ho 74 anni. Penso: “Via questi vecchi” — figurati uno di vent’anni cosa pensa. E sembra una reazione contro Trump, il che è bene, perché i democratici al potere non fanno nulla.»

 

Ho sempre amato prendere la metropolitana, in parte perché sono sensibile a tutto il romanticismo newyorkese da cui preferirei essere immune; in parte perché, non avendo quasi mai un ufficio dove recarmi, non devo affrontarla all’ora di punta; e in parte perché una volta, fatta una corsa sulla Q train sotto effetto di cannabis, vidi un uomo con due enormi serpenti avvolti intorno alle spalle che mi permise di accarezzarli lentamente per venti minuti, e al momento mi sembrò un’esperienza profondamente spirituale.

 

donald trump trump tower (2)

La metro, però, è diventata una sorta di simbolo dell’aumento della criminalità post-Covid, un periodo in cui molti contratti sociali si sono dissolti o si è scoperto che non erano mai esistiti.

 

 Negli ultimi anni, i crimini in metropolitana sono stati talmente enfatizzati che i turisti pubblicano foto orgogliose di aver “osato” affrontare il viaggio. Nel 2023 ci fu un omicidio orribile sulla F train: Daniel Penny immobilizzò un uomo nero con problemi mentali, Jordan Neely, che si comportava in modo irregolare e minacciava i passeggeri; lo bloccò con una presa al collo fino a ucciderlo. Penny, ex marine, fu poi assolto da tutte le accuse e successivamente invitato da Donald Trump a unirsi a lui a una partita di football Army–Navy.

fran lebowitz 4

 

Chiedo a Lebowitz, che ha spesso parlato del piacere di osservare la gente sui mezzi pubblici, se il suo rapporto con la metropolitana sia cambiato.

 

«La prendo. Non perché sia piacevole. È orribile. Ho amici che mi rimproverano perché è pericolosa, ma ecco il punto: lavoro troppo per bruciare i miei soldi, perché ormai prendi un taxi, apri la portiera e sono 40 dollari — metti un piede dentro, 45. Non ne vale la pena. Le metropolitane non sono più pericolose che stare in strada, e non ho intenzione di smettere di fare nemmeno quello. C’è stato un periodo in cui molte persone venivano spinte sui binari; ecco la cosa di cui mi parlavano allarmati, e io dicevo loro, ed è la verità: “Io sono incollata al muro. Sono come il giovane Muhammad Ali contro quel muro.”»

 

[…]

pretend it’s a city

 

Quando si trasferì al West Village da giovane, arrivando dal New Jersey, pagava 112 dollari al mese per una stanzetta minuscola. Gli amici dell’allora fatiscente e pericoloso East Village le chiedevano perché non vivesse lì, dove per lo stesso prezzo avrebbe avuto quattro stanze.

 

«Rispondevo: “Sì, ma lì verrei stuprata.” Per me era importante! E poi perché il West Village era così gay — non c’era paragone.»

 

burqa sulla statua della liberta - meme dopo la vittoria di ZOHRAN MAMDANI alle primarie democratiche per il sindaco di new york

Le chiedo se conosca il recente articolo del New York Magazine sulle “ragazze del West Village”. Il pezzo racconta di un sottogruppo di giovani donne bianche, ricche e ossessionate dall’allenamento fisico, che vivono in questo quartiere un tempo d’avanguardia: consumatrici accanite che amano spendere 20 dollari per un cocktail o scoprire il nuovo brunch “di tendenza”, incarnando la sterilizzazione di Manhattan, trasformata da fucina artistica in palcoscenico per le élite, desiderose di spuntare la lista di esperienze e ristoranti alla moda.

 

Lebowitz annuisce, con una leggera smorfia. «Qualcuno mi ha detto di recente: “Quindi vivevi al West Village perché era bohémien, giusto?” Io: “No. Vivevo lì perché era economico. Era bohémien perché ci vivevamo noi.”»

 

fran lebowitz 5

Si ferma. «La persona che me lo ha chiesto [era un giornalista] — forse non lo sai, ma la Scandinavia, pur essendo piccola, ha circa 100 milioni di riviste gay. Lo so perché mi hanno intervistata tutte. Ero al telefono con uno di questi ragazzi e mi dice: “Quando sei arrivata a New York avevi la mia età — 22 anni.” I giovani mi dicono sempre quanti anni hanno. Sempre, durante gli eventi, dal pubblico: “Ho 26 anni” e poi la domanda. Vogliono essere congratulati. Nessuno dice mai: “Ho 42 anni.”»

 

Parliamo un po’ di una pasticceria di biscotti incredibilmente popolare, Crumbl, che ha una sede vicino al suo appartamento e dove vede file interminabili.

 

zohran mamdani emily ratajkowski

Si meraviglia che qualcuno possa mettersi in coda per qualsiasi cosa a New York, città dalle infinite opzioni, e di come TikTok abbia rafforzato questa mentalità “collezionistica” nei quartieri: quel particolare donut come trofeo di una via, la cacio e pepe come premio di quella accanto — come un Pokémon Go per persone con troppi soldi.

 

Lebowitz, però, non ha nemmeno un telefono. Non le crea problemi? «Mai. Durante i lunghi viaggi di lavoro, visto che non ho un telefono, c’è sempre qualcuno che mi chiede: “Ma che diavolo fai per nove ore? Ascolti musica?” No. “Leggi?” No. “E allora?” Penso. “Non è noioso?” Non per me. Non trovo noioso il mio pensare. Le altre persone, sì: di sicuro mi annoiano.»

 

Mi viene allora da chiederle se tenga un diario. «Indovina? Non ho bisogno di vivere la mia vita due volte — una è bastata.» Mi domando se, pur essendo una luddista pratica, non condivida una certa affinità esistenziale con gli influencer dei social: mestieri diversissimi, ma entrambi vivono “di sé stessi” in forma professionale.

fran lebowitz martin scorsese 7

 

Lei non sembra avere alcun interesse a proseguire la carriera di scrittrice: il suo lavoro oggi è esistere nella forma che piace al pubblico, offrendo i suoi giudizi, inclinazioni e gusti, resi ancora più vendibili dal suo stile inconfondibile. Non è tanto una critica, quanto la constatazione che vivere così pubblicamente, con la propria identità come fonte di reddito, possa essere potenzialmente estenuante. Vive da sola: non si sente mai sola?

 

«Sono una persona divisa. Metà di me è molto socievole. Mi piacciono le feste, uscire a cena, ho i miei amici — e l’altra metà è davvero egoista. Ho più che abbastanza compagnia. Ho vissuto da sola tutta la vita. L’idea di vivere con qualcun altro la trovo orribile. Farei qualsiasi cosa per potermi permettere di vivere da sola, perché l’idea di una vita passata a urlare: “Non spostare questo! Perché l’hai messo lì?” è intollerabile.»

 

[…]

 

fran lebowitz

C’è un tipo di persona che, secondo lei, non dovrebbe vivere a New York? Le chiedo, sperando che non mi scruti e dica che ne ha una davanti. Rimane in silenzio un momento e risponde seriamente: «Una delle grandi differenze tra le persone è questa: quelle a cui piacciono le città e quelle a cui non piacciono. E non importa dove.

 

Chi vive a New York ha molte più cose in comune con chi vive a Londra che con chi vive in Kansas o anche in una zona rurale dello stato di New York. Quindi il problema è questo: credo che la gente delle città dovrebbe fare le leggi.

 

Tutta questa roba anti-immigrati che abbiamo adesso — non viene da chi vive circondato da immigrati. Il senso degli Stati Uniti sono gli immigrati. Non c’è altro senso. Ora qui c’è vera paura, vero odio, l’ICE [agenzia per l’immigrazione e le dogane] che entra nelle chiese.» Scuote la testa, per un attimo insolitamente a corto di parole. Poi si toglie gli occhiali da sole e dice: «Qualcuno mi ha detto: “Devi smettere di parlare così male di Trump — ti deporteranno.” Io: “Davvero? Dove? In New Jersey?”»

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