CAFONALINO - ROMA, OTTANTA VOGLIA DI LOOK - MOSTRA DI RITRATTI DARK, NEW WAVE, POST-PUNK DI UN’EPOCA UNICA E PLATEALE, INCREDIBILE E SPETTACOLARE

Foto di Dino Ignani

1. GLI ANNI 80, I DARK A ROMA
Ernesto Assante per http://assante.blogautore.repubblica.it/?ref=HROBA-1

C'è una bella mostra a Roma, alla s.t fotolibrearia di via degli Ombrellari 25, si intitola Dark Portrait, con delle belle fotografie di Dino Ignani.
In quegli anni c'ero anche io, non ero dark ma frequentavo i club della Capitale dove si muoveva la scena della new wave romana, dal Uonna al Murales, dal Black Out all'Olimpo, dalle serate Danceteria all'Executive a quelle dei Piper, dal videobar di Corso Vittorio del quale ora mi sfugge il nome all'Hemingway di piazza delle Coppelle, all'X e Metal X di via Rasella e molti altri posti ancora.

Era una scena vivacissima, con tante nuove band, molti artisti di ogni genere, tantissimi "pretenders", ragazzi ognuno con il suo stile, la sua personalità, la sua storia. E' stata una stagione fantastica che Dino Ignani, all'epoca, fotografò con costanza. Molte facce le ricordo perfettamente, alcuni sono ancora miei amici, molti altri li avevo dimenticati e li rivedo con affetto. Sono centinaia di ritratti, raccolti anche in un bel catalogo. E il tutto fa parte di un festival interessante, Fotoleggendo.

2. UN DARK SOTTO IL CUPOLONE
http://www.lastampa.it/2013/11/08/cultura/fotografia/approfondimenti/dino-ignani-s-dark-portraits-D0pyPzetnN75Lomhn0JlqO/pagina.html

Nei video-bar e nelle discoteche dell'epoca, specialmente di Roma (dal Black Out all'UonnaClub all'intramontabile Piper), ma anche in feste private, Ignani predisponeva un set preferibilmente neutro e invitava i presenti a farsi ritrarre. Il risultato del progetto -iniziato nel 1982 e terminato tre anni dopo- è una galleria di quattrocento immagini in bianco e nero, selezionate e riproposte per la prima volta in una mostra che intende valorizzare l'originaria vocazione seriale del progetto e rintracciarne le più ampie implicazioni descrittive.

Dietro una rappresentazione standardizzata e apparentemente distaccata di quel mondo, si nasconde infatti l'esigenza del fotografo di cogliere le specificità individuali e la trama creativa dei nuovi stili di vita. Ignani si dedica a registrare e a valorizzare i minimi dettagli e i segni distintivi del popolo dark: il trucco, gli accessori e le acconciature sono i grandi protagonisti delle immagini, e sono gli stessi elementi che successivamente, come spesso accade, saranno riassorbiti dal mondo della moda.

Alla mostra si accompagna la pubblicazione di un libro curato dalla galleria s.t.. Non un semplice catalogo, ma un progetto editoriale che punta ad abbinare le immagini a testi di matrice diversa. Oltre all'articolo di D'Agostino, scritto nel 1985 per la rivista "Rockstar", viene riproposto un racconto dello scrittore Emanuele Trevi, apparso sulle pagine romane de "La Repubblica", che vede come protagonista un adolescente romano di ritorno dal suo viaggio iniziatico a Londra: Un punk sulla spiaggia di Ostia.

Concepiti per l'occasione sono invece il testo della giornalista de "L'Unità" Daniela Amenta -un commosso ma anche spiritoso amarcord sull' "avere vent'anni trent'anni fa", e quello di Paola Paleari -curatrice con Matteo Di Castro del progetto- la quale riconduce la lettura delle immagini e dell'immaginario di quell'epoca al contesto attuale.

3. TESTO DI ROBERTO D'AGOSTINO, MAGGIO 1985

In queste fotografie di Dino Ignani ci si trova un po' dell'Italia degli anni Ottanta, giovane e giovanile, unica e plateale, incredibile e spettacolare. C'è soprattutto l'Italia del "look" in questa galleria di ritratti di ragazzi, c'è l'immagine della loro giovinezza, tensione, vitalità, confusione, improntitudine, gusto di vivere e paura di cadere.

Ogni ritratto, ogni flash, ogni personaggio è un "effetto speciale".
Il culto dell'abito, del gesto, dello sguardo che consegniamo a chi ci guarda nasce dalla civiltà dell'immagine. La nostra vita si svolge attraverso un obiettivo, dentro uno schermo. Uno schermo che ha sostituito lo specchio.

E' l'effetto speciale del nostro tempo. Come l'estasi della foto polaroid: avere quasi simultaneamente l'oggetto e la sua immagine, come se si realizzasse quella vecchia fisica, o metafisica, della luce, per cui ogni oggetto diffonde dei suoi doppi, dei cliché di se stesso che noi captiamo con la vista.

I ritratti di Dino Ignani sono la materializzazione di una ricerca inquieta di identità immediata, di seduzione, di comunicazione. Queste facce ci guardano e dicono: Vedi! ho un'immagine, dunque sono, esisto. Un bisogno di definizione, d'identità che, un tempo, era assicurato dalle divise ideologiche.

Inoltre queste foto raccolgono una sorta di ingenuità pubblicitaria in cui ogni fotografato diventa l'impresario di sé, della propria apparenza. Un elemento
sul quale è rilevante concentrarsi: tutti possono sognare o fingere di essere tutti.
Non è forse questa la più radicale delle democratizzazioni, quella dell'immagine e del sogno?


3. TESTO DI DANIELA AMENTA

Roma negli anni Ottanta era bellissima. Quale riflusso. Quale edonismo. Se fu ritorno al privato dopo i giorni neri del piombo e delle piazze buie, ce ne accorgemmo appena, troppo impegnati a inventare la nuova geografia della città. Un migrare, scialare dal Supersonic al Titan, dal Piper al Black Out, dall'Executive all'Espero, dall'X Club all'Uonna. Un'intera generazione si riprendeva la città. Avevamo voglia di ballare fino all'alba, fare musica, avevamo voglia di cantare. Eravamo un esercito di sognatori senza più divise, solo "chiodi" in pelle o paletò da dandy, o frac sdruciti, o parka che arrivavano dritti da Londra.

A ognuno la sua tribù, e le tribù che si mescolavano, e le grandi band che iniziavano a tornare anche nell'ultimo avamposto dell'impero. Cominciaro i Talking Heads, tour di Remain in Light, davanti a un Palaeur stracolmo e sgomento e felice che in contemporanea con l'America viveva in prima persona note, ritmi, modi che stavano per cambiare il baricentro della musica. C'eravamo. C'eravamo quando l'Estate Romana di Renato Nicolini portò il cinema nelle strade, e il reggae lungo il fiume, e i Devo a Castel Sant'Angelo e l'arte nelle periferie. In contemporanea s'accendevano decibel, poesia e canne.

Eravamo affamati, nulla era mai abbastanza. Mai abbastanza le notti e i giorni. E che capelli meravigliosi avevamo: creste, o ciuffi con la brillantina, toupet mastodontici, cascate di ricci, tagli tecnici, colori incandescenti. Eravamo bellissimi noi, finalmente coi tacchi e gli anfibi, e le Creeper e certi stivaletti borchiati, impossibili. Da ogni cantina arrivavano svisate, botte da orbi, chitarre che fischiavano, batterie pistate come zampogne.

Via degli Zingari, via Prenestina, via Pisino, Via Oderisi da Gubbio, Tufello. Come se avessimo sincronizzato tutti gli orologi del mondo e fosse scattata l'ora X, la nostra. Fatece largo. E suonavamo, e cantavamo come matti, da un palco all'altro, da una strada all'altra, da una discoteca all'altra fino a che la notte non diventava un mozzico e l'alba era già lì, tra cornetti, sigarette al mentolo, rutti al rum. Notti di sballo e meraviglia, con i bassi degli amplificatori che spingevano fino nelle ossa, e grandi vomitate, e pogate e baci e abbracci, e i fumetti di Pazienza, e i segni di Tamburini, e Bela Lugosi come colonna sonora in testa. Segni, suoni. La mappa dell'impossibile.

Ci riprendevamo Roma, Roma nostra. Ci prendevamo l'Italia, su e giù, via dall'insopportabile mondo del buon senso, su treni e auto scassate per vedere gli Skiantos a preparare gli spaghetti su un palco a Bologna, il movimento che si disgregava, mentre noi eravamo già senza futuro e tutti intimamente punk, una sequenza di gioia di vivere e sti cazzi. Alcolici, spigolosi, acido citrico.

Oi, skin, dark, mods, ska. Tirare calci, prenderne in bocca, scalciare sempre, non mollare mai. In viaggio, in viaggio. Senza una lira, le notti sulle panchine delle stazioni, l'eye liner e il gel in tasca, la cipria che serviva a tutti, maschi e femmine. Eravamo un esercito di sognatori in perenne moto. Di qua, di là: le nostre mirabolanti trasferte al Tenax o alle Cascine per Lou Reed, in viaggio a Reggio Emilia per i Police, a Firenze per i Clash.

Volumi altissimi e l'adrenalina sempre, come corollario, come virtù, come vita. Correva tutto all'impazzata. Le radio libere, le frequenze cardiache, le passioni. Gli unici a fermare quegli attimi erano i fotografi. Dino Ignani montava set all'ingresso dei club. Aspettava il rituale e ne faceva parte. Occhio curioso ma familiare. Non ci avrebbe raccontato come marziani perché era uno di noi. Le sue immagini dedicate al piccolo e affollato universo dark di Roma, ad esempio, sono carne viva. Sono foto esse stesse dark. Bianchi e neri definitivi a marcare una realtà parallela.

Nessun sorriso, ma ritratti di lupi e pantere che si inventavano ogni giorno una ragione per restare al mondo, creavano stili sulla propria pelle, senza mediazioni. Personaggi che sembrano uscire dalle canzoni dei Cure, dei Cult, dei Bauhaus, di Nick Cave. Pensieri gotici, sferraglianti. Preghiere scarlatte. Le nostre Siouxsie, i nostri Robert Smith. Donatella, Luisa, Roberto e Clarita - ma anche Diamanda Galas - sono volti che si incrociano, si intersecano, e a loro modo raccontano la storia grande e controversa di una generazione. Geometrie esistenziali che hanno segnato un'epoca, la nostra. E che Dino Ignani ci restituisce in tutta la sua sfolgorante e perversa bellezza.

 

 

Guido b clarita e rebecca b annette b roberto e guido b intera b Roberto b Klarita b Luisa b Damiana b Kristin b

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