1. ANVEDI’ COME ROSICA CROZZA A “BALLARÒ” SE BRUNETTA INFILA IL NASO NELLE SUE TASCHE 2. MASSÌ, I SOLDI IN ITALIA FANNO QUELL’EFFETTO LÌ, FANNO PERDERE LE STAFFE A CHI LI PIGLIA E A CHI NO. DEL RESTO QUESTO È UN PAESE IN CUI DICONO QUANTO GUADAGNANO SOLTANTO QUELLI CHE GUADAGNANO POCO. E IN UNA PARTITA COSÌ FACILE, BEPPE GRILLO CI SI È BUTTATO DI TESTA, LUI CHE QUEI CACHET LI CONOSCE BENE 3. ANTONIO RICCI NON FA NOMI MA SBERTUCCIA LA TELEVISIONE ALLA FABIO FAZIO-MICHELE SERRA: “L’ITALIA È IL PAESE DELLE IPOCRISIE, DEI LUOGHI COMUNI, DI QUANTI CHIEDONO ALLA TV DI FARE CULTURA, LASCIANDO, PERÒ, LA SCUOLA NELLO STATO IN CUI È” 4. “IL NOSTRO È UN PAESE CATTOLICO E MAFIOSO CHE VIVE DI IPOCRISIE. TUTTI SI INDIGNANO IN MANIERA STRUMENTALE. LA TV È FATTA PER PROVOCARE E PER VENDERE, NON PER DISCUTERE O SCOPRIRE LA VERITÀ. NON INTERAGISCE CON IL PUBBLICO E SOPRATTUTTO NON INSEGNA NIENTE, E QUANDO LO FA VA CONTRO NATURA PERCHÉ È IL PIÙ GRANDE POSTALMARKET DEL MONDO. CON LA TV NON SI RAGIONA PERCHÉ È RAPPRESENTAZIONE”

1. VIDEO - CROZZA A "BALLARO'"
http://www.ballaro.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-8cc43fe9-b4e5-4c95-a2bd-9e1707457124.html#p=0

2. RICCI: "LA TV SERVE A VENDERE MA NEL PAESE DELL'IPOCRISIA LE CHIEDONO DI INSEGNARE"
Paolo Festuccia per La Stampa

L'Italia, dice Antonio Ricci, «è il Paese delle ipocrisie, dei luoghi comuni, di quanti chiedono alla Tv di fare cultura, lasciando, però, la scuola nello stato in cui è». E chi, come lui, si è messo in testa di combattere l'ipocrisia sa che è una guerra persa, «ma la goduria è nel provarci. Pensi che nel mio vecchio "Drive in" di 30 anni fa c'era già tutto dell'Italia di oggi». L'occasione è il premio dei "Senza testa" che la città di Osimo assegna a chi con la testa ha fatto successo. Ricci ci scherza su, ma il profilo calza a pennello: programmi di successo, ascolti record e critiche spietate.

Drive in, per i suoi nemici, è la radice di ogni male. È così?
«Fosse vero, andrei in giro a pavoneggiarmi. I nemici sono necessari per la dialettica, per tenerti in vita. Per anni mi hanno accusato di comicità demenziale, mentre mi sono sempre sentito un figlio dei lumi. La mia televisione era un manifesto iperrealista dell'Italia Anni 80. Ci lavorava il meglio dell'intellighenzia satirica, da Elle Kappa a Staino a Stefano Disegni. All'epoca Angelo Guglielmi dichiarò che non se ne lasciava sfuggire nemmeno una puntata, e lo scelse come modello».

L'Italia è così, accusa e si ricrede. Poi riabilita tutti: dalla politica alla televisione...
«Il nostro è un Paese cattolico e mafioso che vive di ipocrisie. Tutti si indignano in maniera strumentale, salvo poi ricredersi. Se le cose vanno male, non è sempre colpa del ventennio o di quello che ha il cane Dudù o del nipote di Letta, democristiano nel Dna. È che se non si guarda in faccia alla realtà i problemi non si risolvono».

E qual è, allora, il ruolo della Tv?
«La televisione è fatta per provocare e per vendere, non per discutere o scoprire la verità. Non interagisce con il pubblico e soprattutto non insegna niente, e quando lo fa va contro natura perché è il più grande Postalmarket del mondo. Con la Tv non si ragiona perché è rappresentazione. Lo dimostrano i programmi di cucina: non si riesce a capire una ricetta, è lo spettacolo che domina. Un apprendimento che vada oltre l'uovo sodo è impossibile. Lo stesso accade nei talk show».

Non le piacciono proprio...
«Mi piacciono perché ho un gusto sado-maso. Noto però che sono fatti da conduttori psicopatici con caratteristi ben vestiti, truccati da casa, che non vogliono essere pagati. Anzi, sarebbero disposti a pagare. Nei Talk non c'è necessità di esprimere opinioni complesse, conta esserci per fare parte della commedia dell'arte. Tutto è costruito sullo scontro, per lo spettacolo della politica. Sono i figli del processo di Biscardi: i "peggio" che sono anche i "meglio" vanno lì. Del resto, dove troveresti una Santanché se non nei Talk?»

Ma anche a Striscia lo scontro non manca...
«Fa parte dell'aspetto parodistico. Ho pensato Striscia quando la Tv era ancora in bianco e nero. Anzi, più nero che bianco. Vespa al Tg1 sentenziava che la strage di piazza Fontana era riconducibile a un anarchico, e di fronte a un'affermazione così categorica, detta da quel sacerdote dell'informazione, ho pensato che si potesse offrire una versione diversa da quella monolitica che ci dava la Tv. E così, dopo anni, quel progetto ha visto la luce, inizialmente su Italia 1».

Perché alla Rai non avrebbe trovato spazio...
«In Rai era tutto complicato. C'era un controllo politico troppo forte. I funzionari erano messi lì dai loro referenti per rendicontare su tutto. Con Grillo mistificavo per abbindolarli: leggevo battute messe lì per fargliele togliere, ne biascicavo altre che all'ultimo Beppe sparava in diretta. Divertente ma complicato».

Nelle reti di Berlusconi invece si è sentito libero...
«Senz'altro con le mie trasmissioni ho contribuito ad alzare il tasso di libertà di satira su tutta la tv, privata e pubblica. La libertà non te la concede nessuno. Te la devi conquistare giorno per giorno. Striscia regge da 26 anni perché ha audience. Il successo in una tv commerciale è più tutelato: fin quando ci sono pubblico e sponsor è problematico toccarti. Gli ascolti sono la vera tutela, al punto che il vero datore di lavoro non è l'azienda, ma il pubblico. È solo al pubblico che devi rispetto. Certo, una volta hanno provato a sostituirci con una versione light di Striscia, ma gli è andata male. Da allora sappiamo che la nostra è la strada giusta. Striscia ha un contratto che si rinnova di anno in anno: ogni stagione potrebbe essere l'ultima».

Cosa avrebbe voluto realizzare a Mediaset?
«Negli Anni 80, mi ero messo in testa di fare Raitre (ancora non c'era Guglielmi) sulla nascente Italia 1 di Berlusconi, a sua insaputa. "Drive in", "Lupo solitario", "L'Araba Fenice", "Striscia la notizia"... Sarebbe stata una genialata. Se lui avesse dato una delle tre reti alla sinistra sarebbe stato salvo. Se invece di essere uno e trino si fosse accontentato di essere bino».

Siamo davvero all'ultima stagione politica di Berlusconi?
«La fine di Berlusconi è una questione soprattutto anagrafica. Arriva il momento che si devono fare i conti con l'età. E diventa più dura per chi ha impostato la sua politica in una certa maniera».

È tipico dei leader carismatici?
«È la nota dolente del partito carismatico. Il leader deve essere eterno, non può essere inficiato dall'età. Per questo i leader carismatici si imbalsamano in vita: Mao, Lenin, Franco, Stalin, il Gabibbo. Non ho mai creduto agli uomini e ai pupazzi della Provvidenza».

Lei ha lavorato con Grillo che ora è un leader politico...
«Mai avrei sospettato che Grillo potesse fare il politico. Fino all'ultimo negava, ma alla fine c'è andato e non andato, mezzo dentro mezzo fuori... Cosa farà? Lo scopriremo solo vivendo. Mi ha impressionato la domenica delle elezioni, quando mi ha anticipato il suo risultato con una precisione incredibile».

Meglio la tv o la politica?
«Si dice che siano lo specchio della società. Preferisco la società. Penso sia migliore di come è rappresentata: andando in giro si incontrano tanti "resistenti" che non accettano né il degrado né il declino. Sono loro che provano a ricostruire il tessuto, riallacciare i fili, e sono di più di quanto si pensi».

Tornerebbe alla Rai?
«In realtà non sono mai andato via, fino alla fine del ‘90 ho lavorato anche in Rai. Non ho mai voluto un'esclusiva con nessuno. Qualche anno fa incontrai a Sanremo il presidente Rai Zaccaria e l'allora direttore di Raiuno Beretta. Mi chiesero se potevo lavorare per Rai 1, risposi che non avendo esclusive potevo farlo subito. Gratis, a due condizioni: che Zaccaria non venisse alle mie trasmissioni, perché era fin troppo presente negli studi, e che avessi potuto lavorare sull'archivio Rai... Poi, però, sparirono».

2. FAZIO, CROZZA E LA BATTAGLIA DEI CONTRATTI TV - LA POLEMICA SUGLI STIPENDI SOLO QUANDO SI PARLA DI PERSONAGGI VISTI COME AVVERSARI POLITICI
Mattia Feltri per La Stampa

Nell'epoca della grande crisi e dello scontrino esposto online, il grosso del dibattito si concentra sull'ultimo spicciolo. E naturalmente sull'ultimo stipendione che, in ordine cronologico, era quello promesso da Raiuno a Maurizio Crozza.
Stipendione da 450 mila euro a puntata per un numero di puntate incerto.

Ma anche sul penultimo, di competenza di Fabio Fazio, spiattellato dal capogruppo alla Camera del Pdl, Renato Brunetta, proprio in corso di intervista a «Che tempo che fa?» domenica sera. Un bel colpo, per Brunetta, visto che Crozza dovrebbe saltare (con sollievo incidentale di Canale 5) e Fazio è saltato, ma sulla sedia, trasfigurato da un'ira per lui insolita.

I soldi in Italia fanno quell'effetto lì, fanno perdere le staffe a chi li piglia e a chi no. Del resto questo è un Paese in cui dicono quanto guadagnano soltanto quelli che guadagnano poco. E in una partita così facile, Beppe Grillo ci si è buttato di testa, lui che quei cachet li conosce bene.

Rimangono un mistero le ragioni secondo le quali un ingaggio indigna e quell'altro no. Tutti si sono persuasi - anche grazie a un campagna lunga e talvolta dozzinale attorno agli sprechi della politica - che un deputato se la caverebbe benone con 4 o 5 mila euro al mese, ma nessuno ha nemmeno idea di quanto portino a casa un primario o un rettore (cifre variabili ma tendenzialmente superiori a 4 o 5 mila euro in cui dovrebbero starci i politici, e leccarsi le dita), a cui sono affidate responsabilità, ma non paragonabili a quelle di ministro.

L'obiezione è che il politico lo paghiamo noi e il primario no, o non sempre, e così il rettore. Ma è un ragionamento che non torna, altrimenti non ci si spiegherebbe la furia con cui si commentano le (spaventose) liquidazioni dei grandi manager. Roberto Colaninno salutò Telecom dopo due anni di lavoro con una buonuscita di 25 milioni abbondanti di euro.

Colaninno venne sostituito da Franco Bernabè che sette mesi più tardi ebbe congedo e gli si conteggiò una liquidazione di 7 milioni e mezzo di euro, più di uno al mese. Considerate le condizioni di Telecom, sono cifre curiose, di cui si parla buttando vapori dal naso: al bar, o a cena con gli amici, tutti sanno tutto delle buste paga dei banchieri, degli amministratori delegati, e si invita il mondo alla vergogna.

Non è che l'allenatore dell'Inter o il pilota di Moto Gp o l'attore protagonista dell'ultimo film di Gabriele Muccino guadagnino tanto di meno. Non si parla di Leo Messi o di Valentino Rossi o di Robert De Niro. Qualsiasi terzino professionista riceve somme cospicue senza scandalo. A uno dei difensori più scarsi dell'intera Serie A, Cristian Zapata del Milan, vengono bonificati oltre 4 mila euro al giorno, per un totale di un milione e mezzo l'anno.

Un centrocampista trascurabile come Muntari è sui due milioni e mezzo. Ibrahimovic, al Milan, era intorno ai dieci milioni. Il patrimonio di Steven Spielberg è stimato sui 3 miliardi di dollari. Non ci sfugge che i film di Spielberg e i dribbling di Ibrahimovic hanno funzionato decisamente meglio e divertito più delle aziende di Alessandro Profumo (salutato dalla boccheggiante Unicredit con 40 milioni di euro). E nemmeno che le banche e le grandi aziende hanno la fama (non campata in aria) di farsela con la politica e di ingoiarsi parecchi finanziamenti pubblici. E così il Tfr di Cesare Geronzi fa prudere le mani quanto i compensi per Crozza.

Non farebbe una piega se non si avvertisse il classico retrogusto all'italiana. Vogliamo conoscere lo stipendio di Fazio, valutare se il gioco valga la candela, se i denari a Crozza siano ben spesi o buttati, vogliamo sapere quanto si porta a casa Roberto Benigni per un'ospitata a Sanremo e Adriano Celentano per tre serate monologanti. Al centesimo si desidera conoscere lo stipendio di Michele Santoro.

E non c'è un'anima che batta un pugno sul tavolo in cambio della retribuzione di Carlo Conti. Qual è il suo compenso? Qual è quello di Flavio Insinna intanto che apre pacchi dopo il Tg? Perché dei guadagni di Gianni Morandi non interessa a nessuno, e di quelli di Max Giusti nemmeno? La differenza - diremmo - è che Morandi e Conti non vengono percepiti come avversari, non partecipano alla battaglia bi o tripolare. Qui da noi è tutta politica, è tutto visto pari a competizione, o persino raggiro per tornaconto di potere.

Fazio e Crozza, e Benigni e Celentano, sono sospettati di uso di mezzo e denaro pubblico per scopo di parte, come i politici, come i banchieri. E non fanno molto per ridimensionare la loro fama. Però allora non stiamo parlando di soldi, stiamo parlando d'altro.
Nell'epoca della grande crisi e dello scontrino esposto online, il grosso del dibattito si concentra sull'ultimo spicciolo.
E naturalmente sull'ultimo stipendione che, in ordine cronologico, era quello promesso da Raiuno a Maurizio Crozza.

 

SANREMO LA CONTESTAZIONE A CROZZA jpegSANREMO MAURIZIO CROZZA CONTESTATO berlusconi con antonio ricci saluta jimmy il fenomeno - Copyright Pizzicrozza-berlusconiBEPPE GRILLO SANDRO PERTINI ANTONIO RICCI ANTONIO RICCI E BEPPE GRILLOBEPPE GRILLO CON ANTONIO RICCI NEL SETTANTANOVE ANGELO GUGLIELMI ENZO GOLINO fazio e brunetta berlusconi alfano santanche verdini lupi DANIELA SANTANCHE E BUCATINIkgr 04 fr bernabi gruber finiALESSANDRO PROFUMO ENRICO CUCCHIANI DAVID THORNE FOTO DA FLICKR AMBASCIATA USA IBRAHIMOVIC AL MARE jpeg3 rock celentano benigni02 lapFiorello Gianni Morandi Arena

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