CAMP CAVALLO CHE IL GAY CRESCE
Roberto D’Agostino per Vanity Fair
Che choc trovarsi sotto gli occhi Elton John travestito da Ape Maia, che sorpresa il corpo efebico di David Bowie sulle orme lesbo di Marlene Dietrich, che gioia la "checcosità" sbandierata e irridente dei Liberace e dei Divine, che spasso la "Culonia Babilonia" dei Sylvester e dei Village People. In mezzo ci siamo noi che ci domandavamo attoniti: da dove nasce la loro follia, detta il “Capriccio del tappezziere”? Da un viaggio lisergico a Disneyland? Da una visita al dentista? Dall'album di foto di Cicciolina? Da un viaggio al Carnevale di Rio? Da quando piccini spiavano le mignotte?
Tranquilli, erano solo dei tipini fini che mettevano in piazza tutto i codici dell’omosessualità per sorprenderci. Avevano trovato nell'addobbo sfacciato, fantasioso, irriverente e parodistico, un modo di infastidire il legame che esiste tra sesso e genere, prendendo per i fondelli i codici del bello e del brutto, mescolando cultura alta e volgarità bassa. Quello stile detto Camp: quello che è, non è quello che sembra. Perché una stravaganza nata per sbertucciare i coccodè del sistema è diventata un fenomeno di massa? È la domanda che si pone Andrew Bolton, curatore della mostra al Metropolitan Museum of Art di New York, dove verranno messi in mostra 175 capi di 37 diversi stilisti a partire dal 9 Maggio, fino all’8 Settembre 2019.
Il camp nasceva infatti come gusto picchiatello di una élite, sfida al buon gusto dominante e soprattutto come piacere per "happy few", un codice segreto di lettura dei prodotti estetici, nato nell'ambito di gruppi omosessuali che ancora non potevano emergere alla luce. Il camp è una forma di bellezza che si misura “sul grado di artificio e di stilizzazione”, un gusto “indifferente ai contenuti”, che “mette tutto fra virgolette”: così scriveva la saggista Susan Sontag negli anni Sessanta.
serena williams con il marito alexis oanian
Il Camp fa il miracolo di sospendere il genere sessuale, neutralizzare l'indignazione morale, promuovere ciò che è scherzoso. E si distacca dal kitsch perché è un “cattivo gusto” consapevole che se ne frega dello chic. Quando il Camp si ibrida col pop, non è più lui: diventa un gusto di massa. Da Raffaella Carrà a Patti Pravo, da Madonna a Lady Gaga, da Freddie Mercury a Boy George, la “sensibilità” Camp diventa un "fatto sociale" che si pone come modo di essere, stile di vita, forma d'arte di massa, che salva dalla banalità quotidiana purché si raggiunga la dimensione "bigger than life". Come dire, il pasticcio Camp è l'arte della felicità: deve sempre manifestare qualcosa "più grande della vita".
MET UN TAPPETO ROSSO SHOCKING
Carole Hallac per ''la Stampa''
Cosa significa Camp? E' la domanda di tutti da quando il Metropolitan Museum di New York ha annunciato il tema della nuova mostra del suo Costume Institute e del Met Gala di quest' anno. «Definire "Camp" è come provare a sedersi nell' angolo di una stanza rotonda - ammette lo stesso curatore, Andrew Bolton -. È una reazione all' opinione pubblica, di natura sovversiva, una sfida allo status quo».
Quindi via libera all' immaginazione sul red carpet dove il tema è stato interpretato spaziando dalle balze al lamé, dai copri capi stravaganti agli omaggi a Liberace.
Lady Gaga ha scelto un look a strati, gigantesco abito fucsia di Brandon Maxwell sotto cui ha svelato due altri vestiti prima di rimanere letteralmente in mutande e reggiseno.
Alcune star si sono immedesimate in personaggi delle favole, come Zendaya nelle vesti di Cenerentola in un abito fluorescente di Tommy Hilfiger, o Katy Perry, vestita da Jeremy Scott per Moschino versione lampadario, simile quello della Bella e la Bestia .
Janalle Monáe è il cappellaio matto mentre la mise multicolori di Dior per Cara Delevigne si ispira a Willy Wonka nella Fabbrica di cioccolato .
Gigi Hadid è una regina delle nevi in tuta metallizzata con copricapo e ciglia finte abbinate, arrivata al braccio di Michael Kors, che ha creato anche il look sirena di Emily Blunt prodotto con 510.000 paillettes e 1344 cristalli.
Anche le creature incantate di Alessandro Michele di Gucci, sponsor della serata, prendono vita sul red carpet, come i dragoni ai fianchi di Saoirse Ronan, gli uccelli in volo sul collo della cappa medievale di Florence Welsh, fino allo sconcertante Jared Leto con in mano una replica della propria testa, un cenno alla recente sfilata della casa di moda Altrettanto bizzarro il make up a illusione ottica con occhi dipinti sul viso di Ezra Miller, in abito gessato Burberry con strascico.
Le piume sono protagoniste, multicolori, sugli abiti fiabeschi di Versace per le sorelle Jenner e Lupita Nyong' o, avvolgono le muse di Pier Paolo Piccioli di Valentino, Naomi Campbell e l' iconica Joan Collins. Sono di pavone per il copricapo di Celine Dion, il cui abito è una cascata di frange iridescenti di Oscar de La Renta, realizzato con 3000 ore di lavoro. Il look ricorda Cher, icona Camp, che non a caso è stata l' ospite a sorpresa esibendosi al gala.
Otto mesi di lavorazione anche per l' abito in latex con ricami simili a gocce d' acqua effetto seconda pelle di Kim Kardashian, un' opera inedita di Thierry Mugler, la prima in vent' anni per la sua ex casa di moda. Sensuale anche Hailey Bieber con un abito Alexander Wang dalla schiena scoperta e perizoma con cristalli a vista.
Se il kitsch e l' esuberanza sono le parole chiave del red carpet, esplorano solo in parte il tema del Camp illustrato nella mostra del museo aperta al pubblico fino a settembre. La prima parte ne traccia le origini, includendo costumi e pezzi storici come la copia originale della commedia di Molière Avventure di Scapin del 1671 dove il verbo «se camper» (sfoggiare) è stato usato la prima volta.
Ci sono esempi infiniti di Camp nel corso della storia, dalle statue greche di perfetti corpi maschili in posa, agli abiti vistosi del Re Sole, prodigo ballerino che si esibiva in costumi elaborati con corazza e piume, alla moda dandy di Oscar Wilde. Se nel XIX secolo il termine è un codice per omosessualità e un movimento ai margini della società, diventa nel tempo una tendenza dominante, non più riservato a un determinato gruppo di persone.
le chiappone di kim kardashian la la anthony
Nelle sue Notes on Camp del 1964, Susan Sontag lo definisce come «un modo di vedere il mondo come un fenomeno estetico, non in termini di bellezza ma in termini grado di artificio e stilizzazione», catalogandolo in 58 note. Note che fanno da filo conduttore alla mostra che indaga l' influenza del «camp» sulla moda. Creazioni di Moschino, Jean Paul Gaultier, Vivienne Westwood e Rei Kawabuko, di uno stile che Sontag descriveva come «Camp deliberato e conscio», sono affiancati allo stile «Camp naif» di Salvatore Ferragamo, Balenciaga e Yves Saint Laurent, in un divertente trionfo dell' eccentricità.
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