Marco Giusti per Dagospia
Tutti zitti. Principia i’ curturale. Stasera, dopo Benigni e Veltroni che a La7 parlano di Berlinguer, alle 22, 45 passa un capolavoro maledetto come “Berlinguer ti voglio bene”, un film mitico anche se fu un flop al cinema e, cause bestemmie e parolacce di ogni tipo, venne bandito per anni dalle tv generaliste, diretto da Giuseppe Bertolucci con Roberto Benigni nel ruolo della sua vita, quello di Cioni Mario. Per non parlare del suo socio Carlo Monni come Bozzone, che canta quello che è stato negli anni l’inno di molti
“Noi siamo quella razza che non sta troppo bene, che 'l giorno salta ' fossi e la sera le cene. Lo posso gridar forte, fino a diventar fioco: noi siamo quella razza che tromba tanto poco. Noi siamo quella razza che al cinema s'intasa per veder donne ignude e farsi seghe a casa”. Certo.
L’idea di trasmettere un film così stasera è clamorosa, anche se non è il massimo metterlo nelle vicinanze dell’8 marzo. Per non parlare del confronto con il “Supersex” di Alessandro Borghi in versione Rocco Siffredi su Netflix. Anche Cioni Mario, all’inizio del film, va a vedere un porno. Max il donnaoiolo. E non ne rimane contento, perché il protagonista non se le tromba tutte subito come da titolo. “Max il donnaiolo… Max il bucaiolo… un film con un protagonista finocchio è la vergogna del popolo italiano!” urla rivolgendosi allo schermo come se fossi un Vannacci qualsiasi.
Non a caso Carlo Laurenzi lo definì allora “Il film più sconcio di tutti i tempi”, forte anche dell’incredibile monologo che Cioni Mario fa quando crede che la mamma sia morta, esplodendo in qualcosa che non si sentirà mai più in un film italiano tra bestemmie alla Madonna e improperi scurrili (“la merda della maiala degli stronzoli nel culo / delle poppe pien di piscio co’ gli stronzoli che / escan dalle poppe de budelli de vitelli con le / cosce della sposa che gli sorte fra le cosce…”).
Del resto non piaceva nemmeno a tanti critici più di sinistra, che lo vedevano come un disastro, non poco incartato, tanto che Bernardo Bertolucci scese in aiuto del fratello affidando un rimontaggio a Kim Arcalli, che sciolse un po’ la parte centrale del film che non funzionava.
Lo stesso Benigni sapeva che era un film impossibile, pieno di battute politicamente scorrette verso donne, gay, e l’universo mondo, che già allora, nel 1977, furono un problema. A prendersela con Dio ci pensa il Bozzone del Monni. “L’unica furbizia di Dio sai qual è? Che un c’è! E qui è stato furbo, un c’è! Perché se c’era e incontrava me, gli era in difficoltà! L’era in difficoltà! Te lo dico io! “, salva poi ricredersi e spiegare a un allibito Cioni l’esistenza di Dio.
A prendersela con le femministe del tempo ci pensano invece compagni della Casa del Popolo di Vergaio, quando interrompono la tombola per principiare il ricreativo. “E dopo, anche in base a i’ famoso proverbio, tira più un pelo di fica che du’ paia di bovi, do la parola alle signorine. Ecch’i’ tema. Pole la donna permettersi di pareggiare coll’omo? No. S’apre il dibattito”.
Ma erano tempi incredibili, era famosa la scena, mai filmata, di quando Benigni si presentò a una platea di femministe toscane incazzate chiamandole “maiale”, rischiando grosso. Anche nel film l’onore delle donne è ristabilito quando due ragazze a un Cioni che avvicina in cerca di compagnia alla Festa dell’Unità di Prato viene detto uno sbrigativo “Fatti a fa’ ’na sega”. Perfino rispetto all’amato Berlinguer, soprattutto sul suo silenzio rispetto alla rivoluzione attesa dal suo elettorato più fedele, il film prende una piega polemica. Come spiega il Cioni agli amici. “L’unica cosa dovrebbe fare Berlinguer, è quella di dacci i’ via… Lui si dovrebbe presentare in televisione. Alla zitta. Senza di’ niente a nessuno, la sera alle nove, no? … Buonasera ehhh compagni. VIA! - E perché un di dà i’ via? –
Perché, eh… eh, c’ha da fare, c’ha famiglia”. Alla fine è un film magari non riuscito, ma che ci è impossibile non amare. Anche perché rappresenta mondi che non esistono più, come quello contadino toscano comunista, quello avido e cattolico, ad esempio, che si affacciano verso quelli che saranno gli anni ’80. E non vediamo certo il Benigni che legge Dante di oggi, ma un Benigni-Cioni dirompente e dispettoso.
“È un figlio che è stato un po’ maltrattato, venuto un po’ storpio, all’inizio, ma gli voglio bene”, disse Roberto. “E’ il primo film che hanno visto il mi’ babbo e la mi’ mamma. Siccome non erano mai stati al cinema, ci sono andati come all’unico posto pubblico che conoscevano, la sala da ballo, sono entrati alle quattro e sono usciti a mezzanotte”.
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