DAL GHETTO AL FIGHETTO - TRENT'ANNI FA IL RAP ERA LA MUSICA DELL’EMARGINAZIONE, OGGI È IL GIOCATTOLO DI UN GRUPPO DI GIOVANISSIMI ARTISTI BIANCHI, BENESTANTI E BORGHESI CHE SPARANO RIME PER CELEBRARE LA VITA SREGOLATA A BASE DI FESTE, DROGA, ALCOL E SESSO TIPICA DELLE CONFRATERNITE UNIVERSITARIE (SPESSO PER SOLI BIANCHI RICCHI) - TRA I BABY MILIARDARI CHE RAPPANO CI SONO I FIGLI DI TOM HANKS E DELLO STILISTA TOMMY HILFIGER…
Alessandra Farkas per il "Corriere della Sera"
«I soldi sono l'unica cosa che m'interessa/guadagnarne così tanti da non riuscire più a contarli», canta Mac Miller in «Knock Knock». «Non vedo l'ora di andare in tour su questi jet privati, per vedere i tappi di champagne saltare in aria dalle bottiglie», gli fa eco Sam Adams in «I Hate College». «Fammi guidare la Lamborghini di tuo padre, portami nella sua magione a Beverly Hills, fammi vedere sul serio Hollywood: luci, telecamera, azione...», ribatte Yelawolf in «Daddy's Lambo».
Trent'anni dopo la nascita ufficiale del rap, un gruppo di giovanissimi artisti bianchi, benestanti e borghesi s'impossessa del genere nato dalla disperazione ed emarginazione dei più poveri ghetti neri d'America, piegandolo ai loro stili di vita e sogni vacui e materialisti. «Il 2011 è stato l'anno dei rapper bianchi», esulta il magazine musicale online XXL mentre il blog Urbana Poppin' Champaign nato nel 2010 per far conoscere al pubblico nuovi talenti musicali, pubblica la top ten dei rapper bianchi «da non perdere»: Mac Miller, Filip Filipi, Tom Hardy, OnCue, Macklemore, Folk&Stress, Yelawolf, Outasight, Machine Gun Kelly e Kyle Lucas.
Il primo della lista (vero nome: Malcolm McCormick) è la nuova star di Twitter (987.629 seguaci). Un 19enne figlio di papà (padre architetto e madre fotografa) cresciuto a Point Breeze, ricca zona residenziale di Pittsburgh, prima di sfondare con canzoni all'insegna del più sfrenato consumismo quali «Nikes on my feet» (inno alle famose scarpe da ginnastica) e «Donald Trump», dove sogna di avere i soldi e il potere del controverso miliardario newyorchese.
A dar filo da torcere a Miller è una miriade di giovani rapper sempre più popolari tra gli studenti bianchi e ricchi dei licei e delle scuole medie, soprattutto nei «suburb». Da Sam Adams, nato il 14 agosto 1987 nella facoltosa Cambridge (Massachusetts), che ha iniziato a registrare musica nel dormitorio del suo College in Connecticut, a Yelawolf, originario dell'Alabama, che giura di avere «un misto di sangue caucasico e cherokee».
Oggi persino i rampolli dell'aristocrazia hollywoodiana e newyorchese scelgono il rap come modello d'espressione. Rich Hil (Richard Hilfiger all'anagrafe), 21 anni, la «pecora nera» della famiglia del famoso designer Tommy Hilfiger, è finito in galera lo scorso anno per spaccio di sostanze stupefacenti, (la tossicodipendenza è un tema ricorrente nelle sue canzoni). E Chet Haze (Chester Marlon Hanks), 21enne figlio dell'attore Tom, che oltre a studiare presso la Northwestern University compone canzoni che esaltano la bella vita nella California dove è cresciuto.
Buttato alle ortiche il rap politicizzato di pionieri quali Run-DMC (il primo gruppo rap a scalare le classifiche del mainstream musicale nel 1986, quando Ronald Reagan era presidente e il riflusso conservatore puniva soprattutto i ghetti neri), questi baby miliardari sono la punta di diamante del cosiddetto «frat rap» che celebra la vita sregolata a base di feste, droga, alcol e sesso tipica delle confraternite universitarie (spesso per soli bianchi ricchi).
L'arte ruvida, sofferta e di denuncia dei poeti rap è destinata dunque a tramontare, sotterrata da una montagna di superficialità senz'anima? «Macché, questo trend materialista non è poi così nuovo», ribatte il critico musicale Eric Arnold, «ai tempi della cosiddetta old school Grandmaster Melle Mel e Trouble Funk esaltavano i soldi, ma come riscatto sociale. La prova, di cui andar fieri, di aver lasciato il ghetto». Non a caso nello slang hip-hop la parola «soldi» ha infiniti sinonimi: cake, paper, scrilla, nurga, bones, bread, chips, cream, loot, gouda, gwalla...





