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GRASSO CHE COLA – ''L’ULTIMA STAGIONE DELLA “CASA DI CARTA” DA L'IMPRESSIONE CHE NON ABBIA POI MOLTO DA AGGIUNGERE. SI TRASCINA COME UNA SOAP, ABBANDONANDO L'AZIONE PER UNA SCELTA DI INTROSPEZIONE PSICOLOGICA DEI PERSONAGGI E DELLE LORO RELAZIONI, SENZA PERÒ AVERE L'ATTITUDINE PER QUESTO GENERE DI AFFONDI…” - VIDEO

Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”

 

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A pochi mesi di distanza dall' ultima stagione, «La casa di carta» si rinnova rendendo disponibile su Netflix gli otto episodi del quarto atto. Anche questa rapidità nell' aggiornare l' evoluzione del racconto è indicatore di come la serie spagnola firmata da Alex Pina rappresenti uno dei titoli di punta del catalogo, quello di cui tutti parlano. Però, la frenesia si accompagna spesso all' improvvisazione, e così questa stagione mostra crepe che si aprono in più di un' occasione.

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Non basta aver ormai familiarizzato con i personaggi (l' inattesa fragilità del Professore, la vulcanica Nairobi, l' instabile Tokyo, il violento Denver) per nascondere i difetti di un impianto narrativo che tende a esagerare e a ripetersi. Il Professore (Álvaro Morte) è convinto che l' amata Lisbona-ex ispettore Murillo (Itziar Ituno) sia stata uccisa, ingannato dal rumore di uno sparo sul finire della terza stagione. Stretto tra «amore e morte che si erano uniti nel suo cuore», è deciso a conoscere la verità e tornare al Banco di Spagna dove si trovano asserragliati gli uomini e le donne della banda.

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L' impressione è che «La casa di carta» non abbia poi molto da aggiungere; si trascina come una soap, abbandonando l' azione per una scelta di introspezione psicologica dei personaggi e delle loro relazioni, senza però avere l' attitudine per questo genere di affondi.

 

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Peraltro, il personaggio migliore e più adatto in questo senso (Berlino, interpretato da Pedro Alonso) è morto due stagioni fa e costringe a un ricorso continuo al flashback. Eppure, la serie resta un classico esempio di guilty pleasure, di quel piacere un po' perverso che ci tiene incollati a una storia anche se ne riconosciamo i limiti.

 

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Nella serie anche un' inconsueta e un po' stiracchiata strizzatina d' occhio alla cultura popolare italiana: un gruppo di frati intona «Ti amo» di Umberto Tozzi e «Centro di gravità permanente» di Battiato.

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