“BONES AND ALL”? NON È UN HORROR DI PER SÉ. È SEMPRE STATO PENSATO PER ESSERE UNA STORIA D’AMORE” - LUCA GUADAGNINO RIVELA I SEGRETI DEL SUO ULTIMO FILM, PRODOTTO DA THE APARTMENT DI LORENZO MIELI CHE VERRÀ PRESENTATO A VENEZIA: “TIMOTHÉE CHALAMET? HA RESO IL FILM PIÙ MATURO. L’HORROR? È IL GENERE MENO INTERESSANTE PERCHÉ GIOCA CON SERIE LIMITATE DI REGOLE. È COME IL COMFORT FOOD”. LA STOCCATA AI COLLEGHI REGISTI CHE PERSEVERANO SEMPRE NELLO STESSO GENERE: “LA REITERAZIONE DI QUALCOSA È INQUINAMENTO DELLE IMMAGINI, DEL MONDO…” - VIDEO

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Mattia Pasquini per www.ciakmagazine.it

 

LUCA GUADAGNINO LUCA GUADAGNINO

Alla vigilia di Venezia 79, dove presenterà il suo attesissimo Bones and All, il nostro Luca Guadagnino apre le porte della casa piemontese comprata quattro anni fa e nella quale riesce a isolarsi. Tra scatoloni di Blu-ray e DVD e una sala cinema ancora da completare, come molti degli altri ambienti, il regista di Chiamami col tuo nome e del prossimo Challengers (con Zendaya) si lascia andare sui 50 anni passati e su una serie di riflessioni sul cinema, da come il suo ‘motto’ l’ha portato alla storia del nuovo film fino all’incontro con il suo protagonista, l’amico Timothée Chalamet, di passaggio a Roma.

 

taylor russell e timothee chalamet bones and all taylor russell e timothee chalamet bones and all

A pochi giorni dal suo compleanno numero 51, in una lunga intervista a Deadline Guadagnino racconta di quando – dopo l’esperienza del 2020 come Presidente di Giuria al Festival di San Sebastian – l’amico Dave Kajganich (A Bigger Splash, Suspiria) gli chiese di dare un’occhiata a una cosa che aveva scritto. “Ha insistito, e il mio motto è: se qualcuno ti chiede qualcosa più di una volta, devi dire di sì. E ci credo davvero”, confessa, prima di confessare l’impressione avuta nella scoperta di quello che poi sarebbe diventato Bones and All. E dell’incontro avuto a Roma con il giovane attore protagonista anche del suo film precedente.

 

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“Era in piena pandemia – continua. – Timmy era a Roma, non per sfuggire alla pandemia, ma per sfuggire alla sensazione di trovarsi su un terreno familiare. Ci siamo incontrati e, come sempre, è stato così profondamente stimolante parlare con lui”. “Quella conversazione ha reso il personaggio più maturo e, a sua volta, ha reso il film più maturo” dice, dopo aver definito la storia come una “storia di lotta morale sull’identità e sull’essere un emarginato”, elementi che si legano a “una sorta di fil rouge che ora vedo retrospettivamente nel mio lavoro”. Che a quel punto è ripartito, da settembre – quando ha ricevuto la sceneggiatura – il film ha ricevuto il via libera all’inizio di novembre: “Ci è voluto circa un mese per mettere insieme il cast e il budget, e poi il resto è stato la realizzazione del film”.

 

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Un film dal quale è lecito aspettarsi grandi emozioni, al solito, ma non come al solito… “Rispetto molto il lavoro dei registi che ripetono lo stesso film più e più volte. In realtà è rassicurante e bello a vedersi. Ma allo stesso tempo, non è quello che sono e come sono” spiega parlando del cinema, il suo e degli altri. Quello delle ‘taglie fisse’, alla Walmart, figlio di un’applicazione “noiosa” del capitalismo, lontana dal desiderio di trovare nuovi territori sui quali espandersi.

 

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“La reiterazione di qualcosa che è stato scolpito nella pietra e ripetuto più e più volte è inquinamento. Un inquinamento delle immagini, del mondo…”, che poco ha a che fare con quanto realizzato da Tom Cruise di recente: “Top Gun: Maverick è un film che commercia profondamente con la nostalgia e la ripetizione”, ma “l’idea che un sequel arrivi dopo un quarto di secolo è, a suo modo, un modo molto intelligente e premuroso di fare business”.

 

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Si continua con le riprese nel Midwest (“ho visto un paese così disperatamente appeso a un insieme di valori che visivamente si rifletteva nelle immagini degli anni ’80… Credo che gli Stati Uniti siano immersi in una nostalgia di sé che la rende il paese più lungimirante e anche il più congelato”) e con degli interessanti appunti sulla moralità del cinema (“Anche di recente, sono stato offeso da un paio di film che ho trovato molto immorali e che sono stati molto celebrati”), ma in pochi si sarebbero aspettati certe dichiarazioni sul cinema horror…

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“L’horror come genere è meno interessante perché gioca con serie limitate di regole, e la ripetizione di quelle regole può essere divertente se vuoi passare una giornata al cinema senza pensare, con i popcorn, a guardare Final Destination. Oppure può essere un’esperienza potenziante, o quella di un grande intellettuale che riflette su quei codici, come Kubrick con Shining. Ma per lo più è solo ripetizione. È come il Comfort Food. Tranne che il Comfort Food è il cibo che ti fa star male dopo averlo mangiato perché, sebbene all’inizio abbia un buon sapore, è anche pesante e troppo elaborato.

Dico tutto questo da grande fan dei film horror e, grazie a Suspiria, da regista. Penso che continuerò a fare film horror nella mia vita, anche se Bones and All non è un film horror di per sé”.

 

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“In generale, sono una persona ottimista – conclude Guadagnino, – ma la vita a volte ha un prezzo pesante. E a seconda di quando stai facendo qualcosa e di cosa ti succede intorno, potresti dare una prospettiva leggermente pessimistica al film. Per me, Bones and All è sempre stato pensato per essere una storia d’amore. Credo ancora che l’amore debba essere realizzato. Forse questo è ottimismo”.

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