“IL CINEMA DI LINA WERTMULLER VA RILETTO NELLA FOLLIA DEL CINEMA ITALIANO DEGLI ANNI ’70, LIBERO E ESTREMO, COSÌ AMMALATO DI SESSO E DI POLITICA” - MARCO GIUSTI E LA CRITICA POSTUMA ALLA REGISTA: “DA MOLTI ERA VISTA COME VOLEVA LEI, CIOÈ COME UNA CHE FACEVA FILM POPOLARI PER LE MASSE. NESSUN REGISTA AMERICANO HA MAI OSATO TRATTARE COME LEI SESSO E POLITICA. PER GLI STESSI MOTIVI, “TRAVOLTI DA UN INSOLITO DESTINO” È PERCEPITO DA ALCUNI CRITICI COME UNO DEI FILM PIÙ SESSISTI E MISOGINI MAI REALIZZATI, E IL FATTO CHE REGISTA SIA UNA DONNA È VISTO COME UNO SCHIAFFO AL MOVIMENTO FEMMINISTA DEL TEMPO - NON CREDO CHE OGGI UN FILM COME “PASQUALINO SETTEBELLEZZE” FINIREBBE CON 4 NOMINATION AGLI OSCAR. MA, NEL BENE E NEL MALE, NON ESISTE PIÙ UN TIPO DI CINEMA COSÌ LIBERO IN ITALIA…

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marco giusti foto di bacco marco giusti foto di bacco

Marco Giusti per Dagospia

 

Torno a parlare di Lina Wertmuller perché ieri notte ho visto “Pasqualino Settebellezze”, che non avevo mai osato vedere. Quattro nomination all’Oscar, fra le quali quella di miglior regista, che però non diventarono premi. E la nascita di un vero e proprio caso Wertmuller, più in America che in Italia, dove non era davvero molto amata, che non conoscevo abbastanza. Così, oltre a guardare il film, mi sono riletto parecchia stampa americana per cercare di capirci qualcosa.

 

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Siamo a metà degli anni ’70. Una critica importante come Pauline Kael del New Yorker fa il bello e il cattivo tempo sulla scena americana. Ha la capacità di rendere un film che ha molto amato, come “Taxi Driver” o “Ultimo tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci, un successo globale. Certo, come sostiene Mel Brooks, riesce a far questo con i film d’arte stranieri o coi piccoli film indipendenti. “Mi piacerebbe avere una buona critica da lei”, sostiene, “ma non smuoverebbe per un mio film molto più di una rozza critica di mio fratello Bernie, che non c’entra niente col cinema”.

 

pasqualino settebellezze lina wertmuller pasqualino settebellezze lina wertmuller

Beh. La raffinata e potente Pauline Kael del New Yorker ha in realtà scatenato una faida che ha coinvolto tutti o quasi i critici americani. In molti hanno scoperto di essere innamorati pazzi dei film di Lina Wertmuller, da “Mimì metallurgico” a “Travolti da un insolito destino” a “Pasqualino Settebellezze”. John Simon, critico del New York Times, le ha dedicato la copertina del giornale e l’ha descritta come “Il più importante regista dai tempi di Ingmar Bergman”. Boom! Scrive di lei che è una vera artista e una umanista. La Kael, al contrario, la vede come una misogina e una misantropa che si crogiola nel disgustoso. La definisce “hopeless”, senza speranza. E scrive: “Non farà mai un buon film”.

 

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E anche: “E’ terribile. I suoi film sono molto reazionari o brutalmente antifemministi”. Certo, la Kael non è nuova a queste stroncature forti. Ha definito John Wayne “un clown”, Clint Eastwood “L’attore più ridicolo che abbiamo. Un uomo vuoto”. Ma la battaglia va avanti non solo sulle pagine del New Yorker e del New York Times, ma su tutti i giornali del paese e si diffonde, guarda un po’, nei salotti newyorkesi più alla moda. Un sofisticato raccontino di uno scrittore americano, Gerard Nachnam descrive una delle tante serate degli intellettuali newyorkesi trascorsi a parlare dei film della Wertmuller.

 

pasqualino settebellezze. pasqualino settebellezze.

Quando lo scrittore rivela alla ragazza che ha puntato che non gli piace “Travolti” che ha finalmente visto per poterne parlare ai cocktail, lei gli risponde che non può amare un uomo che non gli piacciono i film di Lina Wertmuller. Ma ne parla benissimo un critico importante come Rex Reed. E sia Kevin Kelly del Boston Globe che Vince Canby del New York Times inseriscono “Travolti” tra i dieci migliori film del 1974. Canby lo preferisce perfino a “Professione reporter” di Michelangelo Antonioni con Jack Nicholson. “Non dico che lei sia superiore a Antonioni come regista”, scrive Canby, “ma per un paio di ragioni del tutto arbitrarie preferisco il suo film a quello di Antonioni”.

 

pasqualino settebellezze pasqualino settebellezze

Come è possibile, si dirà? A molti critici piace molto il fatto che il film unisca farsa politica e farsa sul sesso, che la sottomissione della ricca borghese al tanghero proletario sia una commedia. Nessun regista americano ha mai osato trattare così sesso e politica. Per gli stessi motivi, però, “Travolti” è percepito da alcuni critici come uno dei film più sessisti e misogini mai realizzati, e il fatto che regista sia una donna è visto come uno schiaffo al dilagante movimento femminista del tempo. “Io non sono una donna”, dirà ai giornali americani quando arriverà di persona insieme ai suoi attori, “Io sono un essere umano. Le femministe non mi piacciono”.

lina wertmuller lina wertmuller

 

E ancora: “Il film è un servizio sociale, non un un’arte aristocratica. Io faccio film per le masse, ma qui in America i miei film sono mostrati nei cinema d’arte con i sottotitoli. Mentre aspetto che si vedano doppiati, come da noi, dove doppiamo tutto”.

 

Lei sogna, insomma, di diventare come Fellini non come Bertolucci o come Antonioni. Mentre Lina concede interviste a una stampa affamata, confonde ulteriormente i critici con alcune delle sue opinioni che sembrano contraddittorie o essere decisamente in contrasto con quel che dicono i suoi film. Un suo storico sostenitore come Vince Canby, osserva che forse Lina Wertmüller potrebbe non capire i suoi stessi film. "Ha sabotato con successo i suoi sostenitori e confermato le opinioni dei peggiori dei suoi detrattori, dando un'interpretazione dei suoi film che aveva poco o nulla a che fare con quello che pensavamo di aver visto".

 

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Le cose non solo non migliorano, ma esplodono proprio un anno dopo con “Pasqualino Settebellezze”, il suo film più controverso, dove non solo non c’è commedia, ma il sesso è sempre grottesco, perturbante. Il personaggio di Giancarlo Giannini, rinchiuso in un campo di concentramento nazista, se vuole salvarsi la vita, deve soddisfare sessualmente un’aguzzina tedesca di un quintale e mezzo.

hilde la nazista pasqualino settebellezze hilde la nazista pasqualino settebellezze

 

Il fatto che il film, così duro e così estremo, riceva non solo quattro nomination, ma in assoluto la prima nomination all'Oscar come miglior regista assegnata a una donna, cosa non concessa né a Ida Lupino né a Dorothy Azner, fa ancor di più esplodere il conflitto che da qualche anno andava avanti.

 

Il critico Lou Cedrone se la sbriga così: “E’ ovvio che sua stata influenzata da Fellini e nel modo peggiore”. Ma William Mootz scriverà di “Pasqualino Settebellezze”, che è “sorprendente. Nessun altro film ha mostrato così da vicino il male del regime nazista”. In tutto questo Lina Wertmuller e i suoi occhiali bianchi diventano un personaggio da parodiare in tv.

 

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Lo farà negli anni ’70 Laraine Newman rendendola ancora più popolare. E gli italiani in tutto questo? Sappiamo bene come la pensava Nanni Moretti a riguardo. Bernardo Bertolucci non è meglio. Quando arriva in America mentre sta preparando “900”, gli chiedono che ne pensa dei film di Lina Wertmuller e risponde che non ha mai visto un film di Lina Wertmuller. Un facile modo per non entrare nella polemica o una sincera risposta di un intellettuale italiano? Va detto che da noi non esisteva un vero caso Wertmuller come in America.

 

giancarlo giannini pasqualino settebellezze giancarlo giannini pasqualino settebellezze

Da molti era vista esattamente come voleva lei, cioè come una regista che non faceva film d’arte da mostrare nei cineclub, ma film popolari per le masse. Intanto gli americani, forti dell’esperienza di “Pasqualino Settebellezze” vorrebbero che lei girasse il già folle e provocatorio “Caligola” scritto da Gore Vidal. Alla fine ci penserà Brass. Ma è evidente che la percezione che avevano di lei gli americani e gli italiani non è mai stata la stessa.

 

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Tutto questo, inoltre, va avanti fino a quando Lina Wertmuller non gira in inglese con Candice Bergen e Giancarlo Giannini il suo primo film “americano”. Lui è un giornalista comunista… lei è una fotografa femminista americana. C’è un gran bel cast di amici e di intellettuali, Il grande gallerista napoletano Lucio Amelio, la moglie di Dustin Hoffman, la moglie di Furio Colombo, perfino Lilli Carati in una particina. Agli americani non piace. E tutta questo amore per Lina Wertmuller finisce un po’ lì, visto che non verrà più né paragonata a Bergman né riportata agli Oscar.

 

Quanto a “Pasqualino Settebellezze” che devo dire? Sono rimasto sbalordito, perché è davvero un film eccessivo e grottesco.  Super-super-super stracult. In anni, però, dove l’eccessivo e il grottesco erano di casa in Italia, a cominciare proprio da “900” di Bernardo Bertolucci che non piacque a molti critici italiani per gli stessi motivi di violenza, disgusto e sessualità spinta.

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Ma le scene con la aguzzina tedesca, la Shirley Stoler già protagonista di “I killer della luna di miele”, sono terrificanti, per non parlare dell’uso delle canzoni di Enzo Jannacci (i titoli con Hitler e Mussolini commentati da “Quelli che…”) o delle sub-fellinate improvvise, il numero di avanspettacolo di Elena Fiore, il bordello, l’omicidio del guappo, il gigantesco caratterista Variano Ginesi nudo col pisello di fuori, Fernando Rey che si uccide nella merda, l’eccessivo uso del primo piano sugli occhi di Giannini che è davvero qualcosa di strano.

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Qualcosa di così eccessivo lo troviamo nel cinema di Nando Cicero e di Tinto Brass, pensiamo a “Salon Kitty”, oggi ritenuto il più brutto film italiano di sempre da parte di Tarantino, che non è però meno efferato di “La caduta degli dei” del maestro Visconti. Credo che il cinema della Wertmuller vada riletto all’interno di tutta la follia del cinema italiano degli anni ’70, così libero e così estremo, così ammalato di sesso e di politica. Certo.

 

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Non credo che oggi un film così potrebbe finire con quattro nomination agli Oscar. Ma, nel bene e nel male, non esiste più un tipo di cinema così libero oggi in Italia. E la libertà di Paolo Sorrentino, diciamo, è qualcosa che spesso dà noia alla critica. La depista. Diventa un non-rigore. E, allora, la non comprensione della critica e della industria italiana nei confronti del cinema di Lina Wertmuller diventa una non comprensione spiegabile all’interno di una logica assolutamente misogina di tutto il nostro cinema.

 

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Ma si trasforma in un grande momento di interesse quando esce da ogni problema di femminismo e antifemminismo, di maschio/femmina, perché vedo nel suo anarchismo anni ’70, che nessuno di noi critici amava particolarmente, qualcosa che invece unisce nell’eccesso, nell’osare, tutto il cinema italiano del periodo, da Cicero a Fellini, da Fulci a Bertolucci, da Visconti a Cavani, che osava provocare con il suo “Portiere di notte”, dove si dava spazio ai rapporti d’amore sadomaso tra carnefice e vittima, cosa oggi, credo, impossibile. Temo, inoltre, che l’orrore dell’Italia e del mondo descritto dalla Wertmuller, ahimé, fosse molto più realistico di quanto si pensasse allora o di quanto oggi ci appare conturbante. Un orrore di un paese che tira a campà e non vuole accorgersi di niente.

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