“DALLA? UN GENIO TRAVESTITO DA GRANDE FIGLIO DI PUTTANA”. GAETANO CURRERI FA 70 E RACCONTA IL SUO RAPPORTO CON LUCIO: “ERA UN BUGIARDO CRONICO”. E RIVELA LE DUE VOLTE IN CUI LO FECE PIANGERE – "PER “BANANA REPUBLIC” DALLA FECE CARTE FALSE PER CONVINCERE LUCIO BATTISTI" – VASCO? AVEVA UN MODO DI FARE UN PO’ DA CUMENDA" - "UN ICTUS, LA ROTTURA DEL FEMORE E IL MALORE DI UN ANNO FA. TUTTO È SEMPRE SUCCESSO SUL PALCO. UN SEGNO DEL DESTINO? NON LO SO. MA SE FOSSE SUCCESSO ALLE TRE DI NOTTE DA SOLO IN UN HOTEL, SAREBBE ANDATA PEGGIO" – POI CONFESSA IL PIU’ GRANDE ERRORE – VIDEO

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Massimo Poggini per “Oggi”

 

gaetano curreri gaetano curreri

Il legame fortissimo con il rocker, iniziato nel 1976 quando Vasco guidava Punto Radio «con fare da cumenda ». E poi quello con Dalla «che implorava Gesù di far piovere sul concerto di Guccini e non sul suo». Alla vigilia dei 70 anni, parla un grande autore. Che ne ha viste e passate tante. Ictus e infarto (sul palco) compresi

 

I suoi magnifici 70 anni Gaetano Curreri li festeggia davanti al mare della sua amata Isola d’Elba, per lui una seconda casa con alle spalle una prosperosamacchia verde. Con lui soltanto la moglie Alessandra, la manager Laura Cordischi e un paio di amici fidati. «Ci cuciniamo una bella pezzogna, il mio pescepreferito. Non ho mai amato le feste di compleanno, nemmeno da ragazzo».

 

Ripercorrendo rapidamente la sua straordinaria carriera musicale, il leader degli Stadio ricorda con affetto le prime lezioni di piano che gli dette la mamma quando era un bambino.

gaetano curreri gaetano curreri

«Allora le subivo come un’imposizione. Gli altri bimbi a giocare, e io lì sui tasti a fare scale. Ma già da ragazzino ho capito che, in realtà, mamma mi aveva fatto un grande regalo. Verso i 12-13 anni mi innamorai dei Beatles, e quell’amore dura ancora. L’altro giorno Paul McCartney ha compiuto 80 anni salendo sul palco di un altro mostro sacro come Bruce Springsteen. Questo mi ha fatto capire che fino a quando ci sono entusiasmo e passione l’età non conta ».

 

Ha raccontato che da ragazzo è stato bullizzato.

«Altro che! Quando avevo sette anni ci trasferimmo dalla Calabria a Vignola tutti mi prendevano in giro per il mio accento e quasi nessuno voleva diventare mio amico. Per attirare le simpatie dei compagni di scuola iniziai a tifare Fiorentina, che è ancora lamia squadra del cuore. Qualche tempo dopo entrai nel primo complesso, Emilio e i Colossi. Poimi iscrissi all’Istituto tecnico Enrico Fermi di Modena. Stava scoppiando il ’68 e dovevi essere per forza di sinistra. Io ero in prima fila a tutte le manifestazioni. Una volta bloccammo il traffico sulla via Emilia, dalle parti del Teatro Storchi. Io avevo un braccio ingessato perché avevo avuto un incidente in auto. Però gridavo a tutti: guardate che cosa ci ha fatto la Polizia!».

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La vita le ha regalato molto. Ma con lei è stata anche piuttosto crudele: un ictus, poi un tumore al cervello, la rottura del femore e un anno fa un malore in seguito al quale è stato ricoverato in terapia intensiva.

 

«È vero. E pensi che tutto, a parte ovviamente il tumore, è sempre successo sul palco. Un segno del destino? Non lo so. Ma spesso mi è venuto in mente che se fosse successo in un momento diverso, magari alle tre di notte da solo in un hotel, sarebbe forse andata peggio».

 

Come ha conosciuto Lucio Dalla?

 

«Ci presentò il chitarrista Ricky Portera. Avevamo suonato insieme nei Club 72. Lucio mi ascoltò per qualche minuto, poi mi disse di andare nella cantina dove provavano il giorno successivo: ero stato ingaggiato! Allora le cose funzionavano così: due giorni dopo avevamo già un concerto al Kiwi di Piumazzo. Lui era un turbinìo di idee, aveva una capacità straordinaria di inventare cose nuove.

 

Spesso si comportava come un pazzo. Per esempio, il pomeriggio in cui partì da Savona il tour di Banana Republic, siccome il cielo minacciava tempesta, passò molto tempo ad andare avanti e indietro sulla pista da atletica puntando verso il cielo un crocefisso di SanDomenico e cantilenando: “Gesù Gesù, non far piovere quaggiù, fai piovere più in là che c’è Guccini che suonerà”. In effetti quella sera era previsto un concerto di Guccini in una cittadina non lontana da lì, e pare che da lui ci sia stato davvero un nubifragio».

 

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Con Francesco Guccini ha scritto una delle sue canzoni più belle, Per la bandiera. Ci racconta com’è nata?

 

«Era il 23 maggio 1992, il giorno della strage di Capaci. Francesco era a casa mia e stavamo provando a scrivere. A un certo punto, alla tv è apparsa la giornalista Carmen Lasorella che diede quella notizia bruttissima. Rimanemmo colpiti soprattutto dal fatto che erano rimasti coinvolti anche la moglie e gli uomini della scorta. Praticamente senza parlare cominciammo a scrivere, io la musica, lui le parole. È nato così quello che oggi è considerato uno dei pezzi più crudi contro la mafia».

 

Torniamo a Dalla, un genio con mille difetti: è vero che avesse una personalità tutta spigoli e anfratti?

 

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«Altroché. Per esempio era un bugiardo cronico. Ma ti raccontava le sue bugie con una tale maestria che alla fine riusciva a convincerti. Credo che la definizione migliore l’abbia data Vasco Rossi, dicendo che era un genio travestito da grande figlio di puttana. Personalmente Lucio mi ha fatto piangere in almeno un paio d’occasioni. Una volta si scagliò contro di me con una violenza verbale esagerata accusandomi di essere un pigro, dicendo che mi ero adagiato. “Se non torni dame tra una settimana con una canzone scritta da te ti licenzio!”. Andai a casa e, una volta superata la crisi, mi sedetti al piano e dopo un po’nacque Chi te l’ha detto, la mia prima canzone, ovviamente con testo di Lucio. Un’altra volta eravamo al Teatro Greco di Taormina per un concerto di DallaeMorandi. La Rai fece le riprese del concerto, quindi noi musicisti avevamo diritto a un doppio stipendio. Glielo dicemmo e lui fece un casino bestiale, urlando come un indemoniato: “Volete negarmi il diritto al lavoro! Fate quello che vi pare, gente senza riconoscenza!”».

 

È vero che per Banana Republic Dalla avrebbe voluto al suo fianco Lucio Battisti?

 

«Verissimo. Adorava il suo modo di comporre e fece carte false per convincere Battisti. Ma non ci fu nulla da fare».

 

Vasco come lo ha incontrato?

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«Nel novembre del 1976 salii sulla corriera che da Vignola porta a Zocca. Bussai alla porta di Punto Radio e vennero ad aprirmi Floriano Fini e Vasco. Si capiva subito che il “capo” era lui: aveva un modo di fare un po’ da cumenda. Andò subito al punto, mi disse di tirare fuori idee e poco tempo dopo ebbi un programma tuttomio. Poi intuii che quel ragazzo aveva delle doti non comuni anche come musicista. La prima canzone che mi lasciò a bocca aperta fu

 

Era vestita di bianco lo stesso. Poi arrivarono Jenny, Silvia, La nostra relazione, Albachiara. Da allora, anche se non sempre abbiamo lavorato insieme, si è sviluppato un rapporto fortissimo. Quando lui ha avuto i suoi problemi sono stato spesso al suo fianco, e viceversa. Credo che la sintesi perfetta sia racchiusa in due strofe: “La cambio io la vita che / Non ce la fa a cambiare me” ».

 

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Qual è la canzone che più la rappresenta?

 

«Chiedi chi erano i Beatles, con quel testo straordinario di Roberto Roversi. Lucio aveva avuto tra le mani quel testo per parecchio tempo, ma non lo aveva mai musicato. Sono contento che me lo abbia lasciato».

 

Ha fatto errori nella vita?

 

«Parecchi. Ma il più grosso di tutti è stato nel 2016 quando vincemmo Sanremo con Un giorno mi dirai e rinunciammo all’Eurofestival. Fummo mal consigliati. Ma purtroppo non si può tornare indietro».

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