“SCRIVERE È IMPOSSIBILE, MA NON ANCORA IMPOSSIBILE A SUFFICIENZA” – SERINO RECENSISCE IL SECONDO VOLUME DELLE LETTERE DI SAMUEL BECKETT: “CI TROVIAMO L’UOMO IN TUTTE LE SUE CONTRADDIZIONI: TRISTE, CUPO, DEPRESSO, CAPACE DI SLANCI DI GENEROSITÀ COME DI ANSIA DA ‘CHIEDO ASSEGNO’ CHE È UNA DELLE FRASI CHE RICORRE MAGGIORMENTE NELL’EPISTOLARIO” – GLI EDITORI SFANCULATI (“SPERO CHE LEI SI RENDA CONTO IN COSA STA ANDANDO A CACCIARSI”), LA DEPRESSIONE, L'ALCOL E LA DROGA: “SONO DAVVERO ADDOLORATO CHE LEI SIA COSÌ INFELICE, ANCHE SE LO SA DIO QUANTO È DIFFICILE ESSERE ALTRO PER PIÙ DI POCHI MINUTI ALLA VOLTA"

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Gian Paolo Serino per “La Provincia”

 

“E’ da tempo che si aspetta l’artista abbastanza coraggioso, abbastanza a suo agio nei grandi tornado dell’intuizione , da cogliere che la rottura con la società comporta una rottura prima con se stessi”.

 

E’ questo uno dei tantissimi passaggi tratti dalle “Lettere” di Samuel Beckett, lo scrittore irlandese Premio Nobel per la Letteratura che con “Aspettando Godot” ha conquistato quell’empireo che pochi autori possono vantare: essere conosciuti anche da chi non li ha mai letti. Beckett lo considererebbe una “crepa”, come quella che ha incrinato Francis Scott Fitzgerald dopo il successo de “Il Grande Gatsby”, anche se in questo carteggio - che abbiamo letto in anteprima, esce giovedì prossimo per Adelphi con il titolo “Lettere. 1941-1956” - non mancano le pagine di un artista che si autocelebra.

 

SAMUEL BECKETT - LETTERE 1941-1956 SAMUEL BECKETT - LETTERE 1941-1956

Aver letto e scrivere di queste lettere in anteprima non è una vanteria ma la speranza che in tantissimi, lettori e librai, non si spaventino credendo che si tratti di un libro per addetti ai lavori, critici letterari, esperti, anzi: sono stati bravissimi i curatori italiani a rispettare la più rigorosa filologia ma al contempo ad evidenziare come i carteggi di Beckett siano essi stessi da leggere come un romanzo.

 

Certo il Beckett di “Murphy”, “Watt”, “Molloy”, “Malone muore” o “L’innominabile” possono apparire ad una prima lettura pessimisti, ma non lo sono: sono venati di un’ironia spesso feroce e di una capacità di analisi del reale che ha pochi pari. In queste lettere, come pochissime volte accade nei carteggi degli scrittori, troviamo l’uomo Beckett in tutte le sue contraddizioni: uomo triste, cupo, depresso, capace di slanci di generosità come di ansia da “chiedo assegno” che è una delle frasi che ricorre maggiormente nell’epistolario.

 

vichy - joyce e beckett vichy - joyce e beckett

Non perché Beckett fosse troppo attaccato al denaro, ma solo perché voleva vedersi riconosciuto il lavoro soprattutto di traduttore, saggista e drammaturgo: un mestiere, più che  quello di scrivere romanzi, dove i pagamenti, specie tra gli impresari teatrali, non erano troppo puntuali.

 

gian paolo serino gian paolo serino

In questo ricorda un altro grandissimo autore di lettere, Charles Baudelaire: anche il poeta francese - Beckett ha scritto nella sua vita più di cinquemila lettere, Baudelaire non è da meno- era sempre a chiedere soldi. Non agli editori ma alla madre perché, prima di essere riconosciuto nel “Parnaso” di tempo ne passò molto e le sue lettere affrontano gli argomenti più svariati ma, dopo averla presa alla larga,  finiscono sempre con “scusa mamma se mi puoi 500 franchi.

charles baudelaire charles baudelaire

 

Un Beckett è spesso preso da quello che lui chiama “stanchezza” ma che gli psichiatri che lo curano definiscono depressione: è spesso ironico su questo, come quando scrive “stasera dopo “il depressivo di non ricordo quale psichiatra scozzese, avendo bevuto solo tre doppi whiskey, sarò di una dignità appena barcollante”. In un’altra scrive: “Ho una gran voglia di andare avanti con il mio lavoro, ma per il momento non mi ci posso accostare perché continuo a non ricevere soldi. Però vedo con più chiarezza qual è il senso del mio scrivere e sento di avere una decina di anni di coraggio e energia per darmi da fare. La sensazione di aver trovato una prospettiva è strana, dopo tutti questi anni di espressione alla cieca”.

 

Beckett e Giacometti 22 Beckett e Giacometti 22

Non manca il Beckett lettore, anche se confessa di essere sempre stato “un lettore penoso, incurabilmente distratto, sempre alla ricerca di un altrove”: ama il Camus de “Lo straniero” e l’Emil Cioran de “La tentazione di esistere”, ha simpatia per il Salinger de “Il giovane Holden”, ma quando non ama qualcosa non le manda a dire: “Ho scorso l’articolo di Gracq. Non mi piace questa roba. Mi ricorda l’imbianchino che vuole un pennello che lisci sottile”.

 

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Per la madre in punto di morte mostra dolore che non riesce a sfogare: “Dove ho ficcato le lacrime?”. Non mancano gli incontri, nella Parigi d’artista dove vive: “Ho visto Giacometti, graniticamente sottile tutto percezioni sbalorditive, che forse non è poi così tanto saggio, quando si vede come vede lui”. A un critico letterario scrive: “Sono davvero colpito dal tuo articolo e commosso. Ho imparato tante cose su me stesso che non sapevo o di cui non avevo idea”.

 

Al filosofo George Bataille confessa: “Viaggiare è perdonabile, a patto però, che una volta tornati, si risparmino a sé stessi, e agli altri, le proprie impressioni”. Moltissime le lettere dove scrive del pittore Bram van Velde: “Lui le cose le vede come sono”, mentre due lettere di fuoco sono indirizzate allo scrittore e editore Alexander Trocchi (sarebbe diventato con Guy Debord inventore del “Situazionismo”, che ha anticipato il Maggio francese  e il ’68) colpevole di aver pubblicato un suo intervento senza rispettare l’originale, mentre a chi gli chiede un’intervista insistentemente risponde: “Tutto come prima, non ne rilascio mai”.

ernest hemingway francis scott fitzgerald ernest hemingway francis scott fitzgerald

 

Al suo editore americano: “Sono davvero addolorato che lei sia così infelice, anche se lo sa Dio quanto è difficile essere altro per più di pochi minuti alla volta, con l’aiuto di droghe, oppure del lavoro, oppure della musica, oppure di altro”. A un altro editore che vuole pubblicare i suoi libri risponde: “Quanto alle mie opere in generale, mi spero che lei si renda conto in cosa sta andando a cacciarsi”.     

 

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A un giovane scrittore che gli chiede consigli: “Non disperi, si appollai sulla disperazione e ce la canti”. Ad una lettrice che gli scrive per un autografo risponde: “Le darò tutte le copie che vuole, ma non mi parli di dediche, ci sto male. Quando mi sento dire che sono un bastardo se non firmo un mio libro è un’occasione troppo ghiotta per lasciarmela scappare, essere un bastardo a così poco prezzo”. Per poi ritrivarsi solo e ricordare che “scrivere è impossibile, ma non ancora impossibile a  sufficienza”. E in questa frase c’è tutto il suo destino.

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