murales napoli camorra

A NAPOLI SCOPPIA LA GUERRA DEI MURALES: IL COMUNE RIMUOVE RITRATTI E ALTARINI DEDICATI AI BABY BOSS. E MENTRE LE STRADE DI CITTÀ E PROVINCIA SI RIEMPIONO DELLE FACCE DI QUESTI ANTIEROI DI GOMORRA, CONTEMPORANEAMENTE VENGONO CANCELLATI O IMBRATTATI I VOLTI DEGLI EROI, COME QUELLO DEL GIORNALISTA ANTI-CAMORRA GIANCARLO SIANI - NON BASTA UNA MANO DI VERNICE PER ESTIRPARE LA MITOLOGIA DEL CRIMINE…

Viola Ardone per "la Stampa"

 

MURALES NAPOLI CAMORRA

È scoppiata a Napoli la guerra dei murales. Tra le tante emergenze della città, ci mancava anche questa: la criminalità si è data alle arti figurative. Non si tratta in realtà di un fatto inedito: quello di celebrare i cari estinti con ritratti ed edicole votive nei vicoli della città è usanza antica, legata a una religiosità arcaica e affine a forme di paganesimo ancestrali.

 

La novità è che, con sempre maggiore frequenza, i volti dei morti di criminalità diventano protagonisti di dipinti che dalla sera al mattino spuntano sui muri della città, per le strade, in mezzo ai vicoli. Si tratta immagini grandi, coloratissime, improntati a un'estetica kitsch, dedicate alla memoria di giovani e giovanissimi deceduti in seguito ad azioni criminose.

 

E mentre le strade di città e provincia si riempiono delle facce di questi antieroi, contemporaneamente vengono cancellati o imbrattati i volti degli eroi, come quello di

Giancarlo Siani, giornalista ucciso nel 1985, a soli 26 anni per aver denunciato attraverso i suoi articoli manovre e affari della Camorra.

 

MURALES NAPOLI CAMORRA

Napoli ha ormai una tradizione in fatto di street art: ospita opere dell'artista britannico Banksy e dell'italo-olandese Jorit, gli ormai innumerevoli omaggi a Maradona e tanti altri lavori che sono diventati parte integrante del tessuto urbano e ne hanno rinnovato l'immagine per i cittadini e per i visitatori.

 

La guerra dei murales però non ha a che vedere con queste manifestazioni artistiche, bensì con il territorio, e con le modalità con cui la criminalità ne amministra il controllo, anche visivamente. Perché marcare il territorio non significa dominarlo solo dal punto di vista economico ma anche simbolicamente, per segni e significati. Raccontare a chi vive in quel quartiere la storia, le imprese, la retorica dello stile di vita malavitoso.

 

Creare una mitologia del crimine, una iconografia profana dei martiri della delinquenza, evocare simbolicamente le gesta d'eroi che si sono immortalati nonostante siano stati uccisi. Questi i motivi che hanno spinto il Comune a decidere di far rimuovere dipinti, scritte e altarini legati a eventi criminosi, una scelta che ha fatto discutere.

MURALES NAPOLI CAMORRA

 

Da un lato è insindacabile il desiderio di oscurare simboli di uno stile di vita improntato al disprezzo delle regole e della legalità. Dall'altro però c'è la considerazione che non basta una mano di vernice per cancellare automaticamente anche il problema. Perché quelle edicole votive, quei lumini, quei volti non scompaiono, ma restano a deturpare la città, anche se vanno via dalle strade, per quello che rappresentano e cioè la sconfitta della legalità e della cultura delle regole. Ci vorrebbe una vernice molto più potente per far sparire quello che si trova nello strato sottostante ai murales di malavita, e cioè, la marginalità, l'ignoranza, la povertà, il disagio.

 

È questo l'aggrappante a cui i pigmenti di quelle vernici attecchiscono. Perché i murales di camorra sono espressione di modelli e stili di vita molto radicati in alcuni strati della popolazione, in particolare dei ragazzi che vivono in zone degradate del centro e della periferia. Le figure sui muri ne sono solo il riflesso, la conseguenza e non la causa. Rimuoverle significa tentare di risolvere il problema senza raggiungerne l'origine. Un gioco a rimpiattino tra guardie e ladri fatto a colpi di pennelli e ramazze, fino a quando una delle due squadre, quella degli imbrattatori e quella dei pulitori, non si stancherà.

 

MURALES NAPOLI CAMORRA

Ma i muri della città sono tanti, così come i ragazzi che quotidianamente vivono o muoiono di criminalità. E non basterebbe un esercito di imbianchini per estirpare le loro facce dai muri e dalle coscienze.

 

Se è vero che nella società delle immagini, dei profili social, delle "storie" pubblicate sul web le apparenze contano più della realtà e i messaggi, positivi e negativi, ci arrivano soprattutto da quello che viene mostrato, sarebbe allora necessaria una battaglia diversa: portare bellezza e armonia laddove c'è bruttezza e degrado, garantire più scuola, più sport, più servizi, più alternative, più lavoro, più opportunità laddove ci sono vite segnate da un destino già scritto, che iniziano e finiscono allo stesso modo, nell'indifferenza di molti e nell'amore dei familiari che continuano a venerare i loro morti attraverso il rito devozionale dell'iconografia murale.

 

giancarlo siani e la sua mehari 1

Forse allora sarebbe più utile tenerseli quei volti, non come ritratti di eroi negativi, ma come testimoni di un morbo che lavora nelle viscere della città, un monito a distruggere non le immagini ma la mentalità che quelle immagini produce, che di per sé restano solamente stimmate sanguinanti di ferite mai curate.

LA MORTE DI GIANCARLO SIANI

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