catherine spaak

IL NECROLOGIO DEI GIUSTI - QUANDO, PERSONALMENTE, PENSO A CATHERINE SPAAK LA RICORDO QUASI SEMPRE NEL SUO PRIMO ESPLOSIVO PERIODO, QUANDO ERA DAVVERO UNA GIOVANE STAR IN GRADO DI DOMINARE I GRANDI MATTATORI DEL CINEMA ITALIANO. NE ERAVAMO TUTTI INCANTATI - COLTA, ELEGANTE, INTELLIGENTE. FIGLIA DI UN GRANDE SCENEGGIATORE COME CHARLES SPAAK, NIPOTE DI UN MINISTRO, NONCHÉ PRIMO SEGRETARIO GENERALE DELLA NATO, NON È MAI STATA UNA ATTRICE QUALUNQUE. ANCHE DA GIOVANISSIMA, SULLO SCHERMO HA SEMPRE AVUTO UN PESO, UN CARATTERE CHE POCHE ATTRICI AL TEMPO POSSEDEVANO...

Marco Giusti per Dagospia

 

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“Mio padre è belga, io sono nata in Francia e ora vivo in Italia. La gente non sa bene chi io sia”. Credo che la carriera di Catherine Spaak, con Sofia Loren, Stefania Sandrelli e Claudia Cardinale l’attrice più importante della commedia all’italiana, per come l’abbiamo vissuta da spettatori poco più giovani di lei, sia tutta racchiusa nei primi anni ’60.

 

Nel primo periodo, ancora giovanissima, scoperta o ri-scoperta da Alberto Lattuada per “I dolci inganni”, poi clamorosamente Lolita dominatrice del quarantenne Ugo Tognazzi in “La voglia matta” di Luciano Salce, poi addirittura figlia di Vittorio Gassman nel fondamentale “Il sorpasso” di Dino Risi, i film che forse la definiscono di più come icona del tempo, forse anche più delle altre colleghe.

 

 

Quando ci sembrava un misto di sfrontatezza, determinazione e indifferenza giovanile, l’ideale per fare impazzire il borghese medio italiano alla ricerca del suo demonio.

 

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Poi in un periodo intermedio, quando già da star italiana interpreta film innovativi come “Madamigelle De Maupin” di Mauro Bolognini da protagonista femmina vestita da uomo, o “Adulterio all’italiana” di Pasquale Festa Campanile, prima commedia sofisticata all’italiana, che le aprirà le porti di un tipo di cinema più garbato e protofemminista, grazie a registi attenti come Campanile e Giorgio Capitani.

 

 

 

Fino alla sua fase americana, un contratto con la Warner Bros di cinque anni per cinque film, uno all’anno, a cominciare dal 1966. Ma ne girerà solo uno. Per poi ritornare in Italia. Eppure, da spettatori da sempre innamorati di lei, chi non lo era in quegli anni?, eravamo convinti che Catherine Spaak sfondasse come star di Hollywood proprio con quel film, “Hotel” o “Intrighi al Grand Hotel” diretto da Richard Quine, scritto e prodotto da Wendell Mayes, girato a New Orleans con un cast di gran classe, Rod Taylor, Melvyn Douglas, Karl Malden, Merle Oberon, Richard Conte, Kevin McCarthy.

 

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Lì Catherine Spaak indossa gli abiti di Edith Head, la costumista più celebre d’America, quella che aveva più Oscar di Walt Disney. L’idea è di farne non una nuova Loren o Gina, ma una nuova Audrey Hepburn.

 

Colta, elegante, intelligente. Figlia di un grande sceneggiatore come Charles Spaak, nipote di un ministro, nonché primo segretario generale della Nato, Catherine Spaak non è mai stata una attrice qualunque. Anche da giovanissima, sullo schermo ha sempre avuto un peso, un carattere che poche attrici al tempo possedevano.

 

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A Hollywood le scrivono che “il suo inglese è disastroso”. Lei risponde: “Io sono un genio e i Beatles mi aiuteranno”. Quel poco inglese che sa lo ha imparato ascoltando e riascoltando, come molti di noi, i dischi dei Beatles. Joseph E, Levine, il produttore che da anni lavora sul cinema italiano imponendolo in tutto il mondo, da “Le fatiche di Ercole” ai film di Vittorio de Sica, ha distribuito “La voglia matta” e “Le monachine” di Salce.

 

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Ma in America l’hanno vista in ruoli più sexy, ad esempio ne “La noia” diretta da Damiano Damiani tratto dal romanzo di Alberto Moravia. “Guardate la scena delle banconote di Catherine Spaak”, si legge sui giornali americani, “E’ tutto quello che indossa”. E si continua con frasi come “I maschi più combustibili tra il pubblico possono prendere fuoco vedendola” (“The New York Post”). Accidenti… o “Ha molte cose in comune con Brigitte Bardot, i capelli sparsi e un modo ingenuo di indossare un piccolo asciugamano da bagno” (The Saturday Evening Post”).

 

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Il suo regista, Richard Quine, ottimo autore di commedie, la descrive come una nuova Audrey Hepburn. “Ha quella qualità enigmatica… Tu non sai mai cosa abbia in testa. E’ estremamente intelligente e ha il 90% di quello che hanno le grandi star, una carica sia da bambina sia da donna…”.

 

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Ma la descrivono anche come molto sicura di sé e decisa. “Decide lei che film fare e con quale uomo stare. E’ stata a Hollywood anni fa e ha rifiutato molte offerte”. Lei stessa parlando del suo primo film, “L’hiver”, interpretato a 14 anni in Francia dice che “Lì ho capito di poter contare solo me stessa”.

 

A 21 anni, con un contratto con la Warner Bros ha girato già 26 film in Italia e molti di grande successo, ha alle spalle un matrimonio finito male con Fabrizio Capucci e una bambina di 3 anni, Sabrina, che ha lo stesso nome del personaggio più celebre del suo modello di attrice, Audrey Hepburn. Una bambina che non può vedere.

 

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E vanta una storia segreta con un miliardario italiano. Da quel set a New Orleans, da quella esperienza americana, Catherine Spaak non tornerà più con la carica erotica e sovversiva che aveva prima, in grado di far perdere la testa a tutti i nostri attori maschi più celebri, da Tognazzi a Gassman a Mastroianni, e di imporre un modello di donna che sa quello che vuole. Qualcosa si è rotto per sempre.

 

Forse non è più la ragazzina francese che ha il potere di rivoluzionare la famiglia borghese italiana e strappare i padri di famiglia dal loro ruolo. Forse non sarà mai la star americana che pensavano alla Warner. Ricordo che l’avevamo lasciata con tutta la sua carica erotica in “L’armata Brancaleone”, dove tradisce tutti con il più depravato ma anche l’attore più eversivo del momento, Gian Maria Volonté, l’avevamo rivista nel 1967 in “Hotel”, notando quanto fosse poco a suo agio in quel tipo di cinema, e l’avevamo poi recuperata con un’immagine del tutto diversa nelle tre commedie garbate, “Fate l’amore non la guerra” di Franco Rossi con Philippe Leroy, “La notte è fatta per rubare” di Giorgio Capitani con Philippe Leroy e Gastone Moschin e “Il marito è mio e l’ammazzo quando mi pare” di Pasquale Festa Campanile con Hywel Bennett e Hugh Griffith, che ne fanno proprio un altro tipo di attrice.

 

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Pasquale Festa Campaniel cerca, con “La matriarca”, di farne un’eroina proto-femminista, una donna che scopre i tradimenti del defunto marito e pensa di comportarsi come lui, mentre con Marcello Fondato in “Certo, certissimo, anzi probabile”, dove divide la scena con Claudia Cardinale, interpreta un tipo di donna che si scontra con la realtà di un mondo diverso dove i ruoli non sono più così definiti.

 

Ma in generale, pur girando molti film, tra cinema e tv, passando da Dario Argento (“Il gatto a nove code”) a Enrico Maria Salerno (“Cari genitori”), toccando il cinema di Albert Sordi (“Io e Caterina”) come un cult come “Febbre da cavallo” di Steno, non riuscirà più a trovare il grande successo popolare che aveva avuto nella prima fase della sua carriera.

 

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Troppo libera e intelligente, forse, per poter funzionare nel cinema italiano di allora così stereotipato, tra commedia, commedia sexy e cinema d’autore, che non toccherà proprio. Allora, forse, meglio rifugiarsi nella tv, come presentatrice, ricordo “Harem” della Rai Tre di Angelo Guglielmi, primo talk tutto al femminile, con la sua presenza elegante e internazionale.

 

Ma quando, personalmente, penso a Catherine Spaak la ricordo quasi sempre nel suo primo esplosivo periodo, quando era davvero una giovane star in grado di dominare i grandi mattatori del cinema italiano. Ne eravamo tutti incantati.

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