enrico montesano

FRANCESCO MERLO DEMOLISCE MONTESANO IN 6 RIGHE: "MAI RIUSCÌ A SPARGERE POLVERE DI STELLE COME SORDI E MANFREDI, FU BATTUTO DA PROIETTI CHE ERA CON LUI IN "FEBBRE DA CAVALLO", E QUANDO AL CINEMA SEMBRAVA CHE DAVVERO POTESSE FARCELA FU LASCIATO INDIETRO DA VERDONE. ECCO, PROVATE A IMMAGINARE SORDI, MANFREDI, PROIETTI O VERDONE CHE FINISCONO NELL'ACETO DELLA DECIMA MAS..."

Francesco Merlo per “la Repubblica”

 

MONTESANO SQUALIFICATO

Finalmente c'è riuscito, Er Pomata, a farsi prendere sul serio dall'Anpi e da Fiorella Mannoia: "Madonna! si ce penzo, e che paura!" recitava Totò nella poesia sui morti. Più che di Enrico Montesano, che già da No Vax faceva il rigattiere di simboli guasti, questa maglia nera della Decima Mas ci parla infatti della tristezza italiana, dove il fascismo è diventato cool, nel senso del "feticcio cariato" di cui scriveva Gillo Dorfles, il grande studioso dell'estetica nazionale: che gusto quel disgusto.

 

Il vecchio, disperato, Enrico Montesano ha infatti esibito la divisa nera non a Predappio e neppure a Salò, ma a Ballando con le stelle che è Sanremo tutto l'anno, è il nostro definitivo genius loci. "La vita è ballo", come variante del capolavoro di Benigni La vita è bella, era già il titolo del profetico e geniale cammeo del 2003 di Ciprì e Maresco dove il nano gobbo ballava vestito con il frac ed era il campione del grottesco che cercava gli sputi del pubblico.

 

"Minchia, che schifo che fai: puh!" gridavano in sala. E più sputavano - "puh!, ridammi i soldi del biglietto" - e più il nano si scatenava nella danza, proprio come si è scatenato Montesano. Il suo frac "tirasputi" è la divisa nera di quelli che "vi giuriamo che combatteremo là dove Dio volle il tricolore" in rima alternata con "ritorneremo" e con "onore".

Enrico Montesano meme

 

Con voluttà Er Pomata di Febbre da cavallo si era già mostrificato in comico engagé contro i vaccini e contro le cospirazioni della finanza, e senza mascherina litigava con i vigli urbani e rifiutava il Green Pass: «Disobbedienza civile», «sono incazzato nero». E coinvolgeva i figli, la famiglia, un piccolo mondo romano esausto e confuso: «Sono romano e a tempo perso pure italiano».

 

Roma, da Belli ad Aldo Fabrizi, da Trilussa a Sordi, da Petrolini a Proietti è la trippa dell'umorismo italiano, la bonarietà dei difetti nazionali, l'Italia che non si piace ma si compiace. E però qualcosa andò storto nella promettente crescita di maschera romana di Enrico Montesano: «Si devono sciacquare la bocca quando parlano di me, io sono un attore, non un comico.

 

Imparino prima a ballare, cantare, recitare, fare le imitazioni, inventarsi personaggi e farsi 52 anni di carriera come me: più di 60 film e 10 commedie musicali». Tutto vero. Però Montesano, nonostante la grande popolarità in tv, rimase sempre "la maschera senza qualità", la risata senza dramma, il talento generico.

MONTESANO

 

Mai riuscì a spargere polvere di stelle come Sordi e Manfredi, fu battuto da Proietti che era con lui in Febbre da cavallo, e quando al cinema sembrava che davvero potesse farcela fu lasciato indietro da Verdone. Ecco, provate a immaginare Sordi, Manfredi, Proietti o Verdone che finiscono nell'aceto della Decima Mas. Abbiamo un rapporto speciale con i comici, noi italiani.

 

Molti di loro ci hanno insegnato trucchi e scorciatoie di grande intelligenza. Abbiamo imparato molte più cose da Totò e da Benigni che non da Gramsci. Totò con il suo "vota Antonio, vota Antonio", ci diceva per esempio che la campagna elettorale dei suoi tempi somigliava già a un canovaccio da commedia dell'arte. Ma nient' altro Totò sapeva, voleva e poteva fare. A guastare (anche) i comici ci ha pensato il vaffa di Beppe Grillo, una scienza politica che l'Italia ha preso sul serio, un pessimo esempio di malumore per tutti gli altri comici in crisi artistica.

 

FRANCESCO MERLO

Quando Montesano capì che non sarebbe mai diventato il nuovo idealtipo dell'ordinario italiano, il Romano che appunto piace all'italiano che non si piace, non riuscì più a far ridere e cominciò a esibire la trasgressione più trash, rendendo kitsch anche i testi del filosofo liberale Giorgio Agamben, il quale durante la pandemia giudicava l'obbligo della mascherina «un'inaudita manipolazione delle libertà di ciascuno». Nell'Italia impazzita dell'era Meloni gli rimane la risorsa disperata della gagliofferia d'antiquariato. Nella sua bancarella raccoglierebbe di tutto, e ora che il fascismo è diventato cool si espone agli sputi: più ne prende, più gongola. Montesano "arcifascista" è l'epica maschera senza qualità che la Rai di pessima qualità ha chiamato per espellerlo, pensate, come fosse Dario Fo.

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