the grand tour

IL TOUR È FINITO – VENERDÌ SCORSO SU AMAZON PRIME VIDEO È FINITA LA SERIE “THE GRAND TOUR”, IL MITICO PROGRAMMA DI MOTORI CON I MITICI JEREMY CLARKSON, RICHARD HAMMOND E JAMES MAY – TRE ANNI FA L’AVVENTURA ERA INZIATA NEL MIGLIORE DEI MODI, LÈ DOVE SI ERA INTERROTTA QUELLA DI "TOP GEAR". MA LE ULTIME DUE PUNTATE SONO STATE LE PIÙ BELLE DI SEMPRE: LO SPECIALE IN MONGOLIA E POI IL FINALE COMMOSSO CON IL FUNERALE ALLA FORD MONDEO – VIDEO

 

Gianmaria Tammaro per www.esquire.com/it

 

the grand tour 5

Più o meno tre anni fa, un venerdì di fine novembre, iniziava l’avventura di The Grand Tour, e iniziava nel migliore dei modi: da dove s’era interrotta quella di Top Gear, con la cacciata di Jeremy Clarkson, con lui che lascia l’edificio della BBC, che riconsegna il badge, e che va via, parte, e che si rincontra con gli amici di sempre, Richard Hammond e James May, pronto per un nuovo viaggio.

 

the grand tour 11

Venerdì scorso, su Amazon Prime Video, The Grand Tour è finito. Ultima puntata. Jeremy Clarkson, mentre lo diceva, non riusciva a trattenere le lacrime: si prendeva la faccia, e se la pizzicava, tirava su col naso e si disperava, la voce rotta, farfugliante, un dolore sottile, ma palpabile. In trentotto episodi, The Grand Tour è riuscito a trovare un suo pubblico e una sua voce, a cambiare e ad adattarsi, a diventare sempre qualcosa di nuovo, e mai, mai, solo un programma dedicato alle auto.

 

grand tour di amazon prime video 5

La sua fortuna sono stati i suoi tre conduttori, Jeremy Clarkson, James May e Richard Hammond; è stato avere un produttore come Amazon, ed è stato anche nascere – e morire, nel giro di relativamente poco – in un mondo come il nostro, dove l’intrattenimento si sta appiattendo sempre di più, dove di show veramente spettacolari se ne fanno sempre di meno, e dove c’è una tentazione costante di mettere a tacere, di non dire.

 

grand tour il programma di clarkson may hammond 9

Clarkson, May e Hammond non si sono mai tirati indietro. Hanno sfottuto, scherzato e raccontato. Hanno unito il puro documentarismo alla finzione di uno script. Hanno viaggiato in giro per il mondo, e ci hanno mostrato cose che non c’avevano mai mostrato, nemmeno quando erano al timone di un colosso come Top Gear. Le auto sono sempre state una scusa, un pretesto, un corpo bello e scintillante da mostrare e da provare, e nel caso – che non mancava mai – da demolire.

 

the grand tour ultima puntata funerale ford mondeo 4

Parlando con Jeremy Clarkson qualche mese fa, è stato subito chiaro che lavorare su The Grand Tour, per lui e per i suoi colleghi, era un piacere. Perché erano liberi, e perché alle loro idee, alla loro immaginazione, non venivano posti limiti – non veramente, almeno. Il programma, nel corso delle sue tre stagioni, si è rassettato e rimodellato, ha perso segmenti e ne ha guadagnati di altri; gli ci è voluto un po’ per trovare il suo volto automobilistico, la pilota Abbie Eaton. Ma tutto, specie in quest’ultima stagione, ha trovato il suo spazio e il suo equilibrio.

 

the grand tour ultima puntata funerale ford mondeo 5

Le ultime due puntate, forse, sono state le più belle di sempre. Lo speciale in Mongolia, lontani da qualunque cosa e da chiunque, è stato il migliore. E poi il finale, commosso, con il funerale alla Ford Mondeo: non ci poteva essere conclusione diversa. Clarkson ha promesso che ritorneranno, con speciali e altre cose, con puntate costruite ad hoc, prodotte a posta, senza una vera e propria continuità. Non ci sarà più lo studio e non ci sarà più il pubblico. Amazon però non lascia i suoi tre campioni, e ha già annunciato un programma con James May in Giappone.

the grand tour 8

 

Ora bisogna capire chi racconterà la passione per le auto e il suo popolo. Clarkson, May e Hammond sono sempre stato questo, dopotutto: i primi tra pari, tra uguali. I primi a venire avanti e a dire tutto, qualunque cosa, su un’auto. Sono stati gli occhi privilegiati di tre uomini bianchi di mezz’età sul mondo, che hanno sfrecciato ovunque, in lungo e in largo, divertendosi, rischiando il collo (Hammond più di tutti), e avendo la forza di essere sinceri.

 

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In The Grand Tour si miscelavano l’attenzione per l’immagine e per la sua composizione, la ricercatezza del girato e un approccio quasi improvvisato, viscerale, il più vero possibile; c’erano dei momenti, certo, che erano puro giornalismo, e che si facevano didascalici, ma ce n’erano anche altri, i migliori e i più comuni, dove un’auto era solo un’auto e quello che contava, e contava veramente, era chi si sedeva dietro al volante, pronto per mettere in moto, per partire, per riprendere l’ennesimo, scompigliato “grand tour”. Mancherà come programma. Mancherà soprattutto per il suo essere politicamente scorretto, per l’ironia dei suoi tre presentatori, per il fatto che si poteva parlare di tutto, qualunque argomento, senza risultare morbosi o pedanti. Faceva incazzare, The Grand Tour. E che cosa straordinaria è, oggi, un programma che non ha paura di fare incazzare il suo pubblico.

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