VENDITTI E SEGRETI: “ROMA CAPOCCIA? L’HO SCRITTA GUARDANDO IL PALAZZO DI FRONTE MA ME NE VERGOGNAVO, COSÌ LA NASCOSI - CON DE GREGORI AVREI COLLABORATO PER SEMPRE MA LA CRITICA INIZIÒ A PRESENTARLO COME IL MIO CHITARRISTA”

“Battisti di destra? A Lucio della politica fregava meno di zero” - Rino Gaetano fu sottovalutato dal suo ambiente e si circondò di falsi amici” - Lilly? Non era dedicata a Simona Izzo - I romani? Non ci sono più. In questa città restano solo turisti o morti viventi”…

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Malcom Pagani per “Il Fatto Quotidiano

  

Antonello Venditti Antonello Venditti

Il barista filantropo che offre caffè ai vecchi malfermi della casa di riposo e soccorre i turisti pencolanti: “Antonè, stavo giusto a raccontà che come al solito sò venuti a chiamà me, ho trovato ’sto tedesco frantumato per terra, ferito, forse ubriaco perché ciaveva una boccia di rosso nella tasca”.

 

La casa in cui visse Lucio Dalla: “E neanche una targa che lo ricordi”. La sede del Puff di Lando Fiorini: “Mi presentai qui il primo maggio del ’70, Trastevere era una zona popolare, io cantavo Sora Rosa, scritta a 14 anni”.

 

Ai tempi Antonello Venditti non si improvvisava Cicerone itinerante per le strade del borgo che lo ospita da un trentennio a contatto con le contraddizioni della storia: “Abito nel vecchio casino della Banda della Magliana e davanti alla mia porta hanno girato un’intera sequenza di Ladri di biciclette” ma viveva altrove.

 

Non fumava: “Ora fatico a scendere sotto le 60 sigarette al giorno”, divideva il tetto con i suoi genitori: “Ero grasso e infelice” e per accendere la fantasia guardava oltre le nuvole di Via Zara 13, quartiere Trieste, immaginando cupole e fontanoni da lasciare in un cassetto: “Roma Capoccia, scritta affacciandomi alla finestra e osservando il palazzo di fronte rischiò di fare quella fine. Non la riconoscevo, me ne vergognavo, la nascosi”.

 

MARCO ALEMANNO E LUCIO DALLA MARCO ALEMANNO E LUCIO DALLA

A 65 anni: “Non mi pesano, non mi impressionano, credo di non averli” Venditti si sente felicemente provvisorio: “Posso sempre cambiare da un momento all’altro, partire in un secondo, reinventarmi in 5 minuti, entusiasmarmi. Se inizi a stare in difesa, a conservare o peggio a ricordare, sei fregato Il passato è passato”.

 

In un sabato di sole settembrino senza venti di pioggia né frastuoni, Venditti aspetta i soliti amici per vedere la Roma in tv.

 

Sul divano, nel silenzio, ha una spiegazione anche l’assenza di rumore: “Roma sembra Gerusalemme perché ha questa bellezza infinita, struggente. La meraviglia del ritorno. Rimetti piede qui come se seguissi una stella polare, ma in realtà sei in un posto che non esiste e in fondo non esistono più neanche i romani. Se esistono, si sono ritirati sul Raccordo. Nei centri commerciali. Nei silos. All’Ikea. Oggi l’anima di Roma è a Ostia, dove morì Pasolini. Qui rimangono solo turisti o morti viventi”.

Francesco De Gregori Francesco De Gregori

 

Dice davvero?

La romanità è diventata impalpabile e ormai non è più romano chi a Roma nasce, ma chi a Roma agisce anche se americano. Questa città ha visto imperi, cadute, resurrezioni, catacombe e continui travestimenti. Ce li abbiamo tutti sotto di noi quelli che sono venuti prima e anche se l’eredità è imbastardita e l’estetica definitivamente traviata, con quella storia devi fare i conti.

 

Chi parla di Roma deve necessariamente farli anche con lei.È vero. Con me e con quel che rappresento per Roma, soprattutto se mi vuoi abbattere, ti devi confrontare.

  

Chi la vuole abbattere?

Un sacco di gente. C’è chi mi ama e c’è anche chi mi odia, ma io qui non sto per caso e per radermi al suolo e farmi star zitto, devi essere proprio in gamba. Avere argomenti validi. Convincermi. Perché io non ho doppie facce, se devo dire qualcosa la dico, ma non mi astraggo mai. Non giudico dal monte. Vivo nella comunità. Partecipo. E di Roma non sono stanco di parlare.

  

Parlerà di Roma anche nel prossimo disco?

Forse. Uscirà a marzo, ma se le musiche sono quasi definite, i testi che di un disco sono l’anima non sono ancora pronti. Non c’è una parola, ma io so che i versi arriveranno alla fine e arriveranno da qui (Si tocca il ventre nda). È sempre stato così.

  

RINO GAETANO RINO GAETANO

Cosa ricorda degli inizi?

   I Bonghi suonati a Campo dè Fiori, l’approdo al Folkstudio, l’incontro con Lilli Greco della Rca. A diverse ondate e con differente intensità a seconda dell’interprete, con Lilli ci mandammo tutti ciclicamente a fare in culo. Ma Greco sapeva riconoscere un talento come nessuno e non aveva paura di rischiare. Arrangiatore, produttore, musicista. Fu una figura unica.

  

In Marianna al bivio De Gregori gli dedica un verso criptico e apparentemente non benevolo.

   “Lilli Greco non capisce, ma che Dio lo benedica”. In realtà non era vero e De Gregori lo sa. Lilli aveva capito benissimo e non a caso a Francesco, invece di un prevedibile esclusione, concesse un’occasione. Non era facile. De Gregori era straordinario, ma sperimentava e non c’era una sua sola canzone scritta per compiacere il pubblico.

  

Con De Gregori suonaste in Ungheria all’alba dei 70 e poi componeste un disco in coppia.

   Si intitolava Theorius Campus. Dal mio punto di vista la collaborazione sarebbe potuta proseguire per sempre, ma a indirizzare la separazione fu il giudizio critico. Io ero prorompente, Francesco quasi crepuscolare, iniziarono a considerare e a presentare De Gregori come il mio chitarrista. Era un non senso, non era possibile. Così ognuno, dopo averne discusso in maniera maschia, prese la sua strada.

lucio battisti1 lucio battisti1

  

Per qualche anno i rapporti furono difficili. Era lei il pianista di Piano bar che “vende a tutti tutto quel che ha?”.

   Certo che no e con Francesco, che è un fratello, i rapporti sono ottimi.

  

Una cronista di “Libero” la ascoltò dire cose non gentili.

   Aprì proditoriamente il telefonino e registrò una conversazione. Cose che accadono. A volte per le cazzate che dico, anche se in Italia in fondo non accade a nessuno, dovrebbero mettermi in galera.

  

Si discuteva della riedizione di Banana Republic trent’anni dopo la turnée originaria e lei sostenne che De Gregori, per aver dato retta a Dalla, fosse un caso patologico.

   Era una forma di protezione nei suoi confronti. Mi sembrava che nel rapportarsi a Lucio, Francesco pendesse dalle sue labbra. Come cercasse una strada. Mi pareva eccessivo. De Gregori è un genio, ma non può essere soltanto un compagno di viaggio. Non segue la linea, ma eventualmente la dà. Deve e può prendersi la responsabilità della sua rotta.

Simona Izzo Simona Izzo

  

Non lo fa?

   A volte atterra nel contemporaneo, ultimamente con Ligabue, come se avesse bisogno di un traghettatore del 2000 per legare la sponda dell’oggi a quella del domani. La realtà alla sua realtà. È un peccato, perché il lavoro di Francesco è straordinario. Ha saputo creare mondi autonomi. È senza tempo.

  

Di Dalla era amico?

   A Dalla volevo un bene pazzesco. Lucio era Lucio, un artista generoso che aveva saputo coniugare e mettere in comunicazione – come forse il solo Pavarotti – mondi artistici e culturali tra loro lontanissimi. Quando volevo smettere e ritirarmi, in un momento di sconfinata depressione alla fine degli Anni 70, mi tese una mano.

  

Voleva ritirarsi? E perché?

   Mi ero separato da mia moglie e avevo affrontato due cause emotivamente ed economicamente dispendiose con la Polygram e con la Rca. Ero in un passaggio difficile e confuso, cercavo libertà e respiro e visto il loro disinteresse per le mie rivendicazioni e le mie lamentele sui contratti capestro delle multinazionali, smisi di discutere anche con i miei colleghi. Non mi ascoltavano, era chiaro. Lucio si comportò diversamente e mi venne a cercare. Aveva un’abitudine che personalmente detesto, ma che ci consentì di collaborare.

  

Quale?

Lando Fiorini Lando Fiorini

   Spezzava lo show in due parti, prendeva 20 minuti di pausa, rifiatava. In quelle pause, tra Buona Domenica e Sotto la Pioggia, cantai nei suoi concerti per un’intera estate. Con Lucio ci conoscevamo da anni. Un anno, da maggio a settembre, i maggiori cantautori italiani divisero giorni e notti all’Hotel Bellevue di Rimini. C’erano Dalla, Renato Zero, De Andrè, Cocciante.

  

Come mai?

   L’Emilia Romagna riconvertì le centinaia di balere presenti sul territorio all’autorialità e in quell’albergo, scambiandoci le piazze provinciali come se giocassimo a Monòpoli ogni sera, finimmo per ritrovarci dopo i nostri concerti quotidiani. Chi era sessualmente attivo si dilettava senza difficoltà, i più sobri leggevano, giocavano a carte o bevevano. Con Dalla abbiamo sempre riso molto perché entrambi custodivamo ironia e autoironia. Quando si mise in testa di suonare Modena durante le mie esibizioni lo dissuasi: “A Lù, me rovini la canzone, non sei Gato Barbieri, lascia perde”.

  

Lei ha conosciuto bene anche Lucio Battisti.

   Scrissi Ullala perché registravo a Erba, negli studi in cui Lucio lavorava abitualmente, proprio nei giorni di Seveso e della Diossina che uscì nel ’76 dall’Icmesa. Della Brianza velenosa fummo testimoni. Lucio mi somigliava o se preferisce, io somiglio a lui. Stesso carattere, stessa semplicità. Poi Battisti era sbrigativo. Non andavi da lui per tenere un corso di comunicazione analitica – Lucio era quasi muto – ma per ascoltare una sopraffina mente musicale.

  

Venne molto attaccato per le sue presunte simpatie politiche.

Matteo Renzi Matteo Renzi

   Lo si voleva di destra, mi vien da ridere. A Battisti della politica, della destra come della sinistra, fregava meno di zero. Attaccavano lui, ma in realtà contestavano i testi di

 Mogol. Testi sublimi. Spirituali. Di sicuro Battisti non c’entrava con un certo mondo, e in Italia siamo ancora siamo fermi a ieri.

 

Al Fascismo, all’Antifascismo, all’eterna guerra civile di cui come raccontava Bertolucci in Novecento non ci siamo ancora liberati. Marx e Nietzsche si davano la mano già negli Anni 60, ma il sogno di un’armonia generale, mentre siamo di nuovo in guerra e non ce ne rendiamo neanche conto, da noi è utopia. Se non vuoi schierarti, ti fanno indossare a forza la maglietta di una delle due squadre. Negli Anni 70 poi pulsava il riflesso moralistico più sfrenato.

  

 

Ci dica?

   Sul tema scrissi un pezzo. Le tue mani su di me. Se fuori c’è la rivoluzione fuori – facevo grosso modo dire a uno dei miei personaggi – ed è difficile chiamarti amore. Continui a trombare indifferente alle piazze piene o dimentichi il sentimento e ti unisci alla lotta? In quella canzone c’è tutta la mia diversità. Parlare di certe cose, al tempo, era rivoluzionario.

costa smeralda beppe grillo 10 costa smeralda beppe grillo 10

  

Lei milita ancora in una delle due squadre?

   Non posso più prendere parte, i lati della questione mi sfuggono e riconosco meglio di ieri le ragioni degli altri. Ho sempre giocato di critica e autocritica, di mediazione tra le mie due anime in lotta e di ambivalenza, ma non sono manicheo. È l’Italia che a volte ti costringe a esserlo, la situazione contingente. L’antiberlusconismo per l’antiberlusconismo ad esempio, non mi ha mai convinto, ma non si può negare che anche il berlusconismo al Paese abbia fatto malissimo.

  

Oggi Pd e destra governano insieme.

   Viene il sospetto che si siano persi vent’anni. Sono stato renziano all’inizio, non si poteva fare altrimenti, ora non so più. Da noi, in un minuto, tutto diventa tv, annuncio, promessa di domani. Non parlo più di politica neanche con Beppe Grillo. È un amico e ha avuto un’idea, ma non so se la trovata migliore sia stata fondare un movimento.

 

Un altro partito. A volte si è più utili e si riesce a incidere davvero solo stando fuori. Parli con un parlamentare, le dirà che si sente inutile. Un tassello di un ingranaggio immobile. Nuota in un Blob indistinto in cui si può stare sia al governo che all’opposizione, sia con se stessi e contro se stessi. Seguo il dibattito statale con qualche difficoltà.

  

Suo padre Vincenzino dello Stato, da un uomo d’ordine, era un funzionario. Vice Prefetto a Roma. Decorato con Medaglia d’argento e come da sua canzone, con un buco all’altezza della gola.

silvio berlusconi silvio berlusconi

   Papà era un anarchico che si trovò 6 anni sul fronte di guerra suo malgrado, sparò per non morire e diventò un eroe. Mi aspetti un attimo. (Venditti si assenta, lascia il giardino, sale le scale e torna con una piccola scatola: “Mio padre è tutto qui”).

  

Cosa c’è dentro la scatola?

   Le sue ceneri, un santino e la pallottola che colpì la cintura e si conficcò in gola. Guardi, la tocchi, è la prima volta che la mostro a qualcuno.

  

Dove la tiene?

   Sul comodino. Sotto il suo ritratto. Papà morì alla fine degli anni 90, era bellissimo, amava la musica, riusciva a capire le mie canzoni meglio di quanto non facessi io.

  

Sua madre Wanda, invece, era professoressa. Lei mise in versi severità e paradosso: “Mi ha dato sempre 4 anche se mi voleva bene”.

RENATO ZERO FOTO ANDREA ARRIGA RENATO ZERO FOTO ANDREA ARRIGA

   Mi ricordo come se fosse oggi la porta della cucina. Io dietro a origliare, lei che seria dice a mio padre: “Vincenzo, ma questo è stupido”. Con mia madre mi accadde anche di vedere un Ufo a forma di Cactus nei pressi di Villa Paganini alla fine degli Anni 50 e siccome per costituzione mia madre non poteva mentire, ogni tanto la stimolavo: “Mamma l’abbiamo vista davvero quella roba verde che ondeggiava?” E lei, paziente: “Sì, sì Antonello, l’abbiamo vista”.

  

Le capitò di avvertire presenze inquietanti anche in compagnia di Rino Gaetano.

   Ci accadde costeggiando in macchina un bosco nei pressi di Fiuggi. Vedemmo una vecchietta sul ciglio della strada e pochi chilometri dopo rivedemmo la stessa vecchietta. E premetto, eravamo molto sobri. Mi dispiace che Rino, uno che oggi avrebbe trovato pienamente il suo tempo, non venne capito all’epoca per quanto avrebbe meritato.

 

FABRIZIO DE ANDRE FABRIZIO DE ANDRE

 A Rino volevamo tutti bene, il figlio della portiera cantato da De Gregori era lui. Però, nonostante la simpatia, Gaetano venne colpevolmente sottovalutato dal suo stesso ambiente. Cantautori tristi, solitari e maledetti che su di lui non scommisero. Lo portai al Folkstudio, ma lui cercava un’altra realtà, incontrò le persone sbagliate.

  

 

Lei parlò di Cocaina, la sorella di Gaetano si arrabbiò.

   Parlai di quello che sapevo e avevo visto. Dei finti amici, degli approfittatori e dei proci che lo circondarono. Rino era ingenuo, delizioso, commovente. Comprava automobili orrende e ci scherzavamo su: “Dai, ma questo è un ferrovecchio”. Lui aveva guadagnato, voleva mostrare ai genitori la sua agiatezza, ma veniva da lontano e non sapeva bene come fare.

  

Gaetano ha sofferto per amore, a lei è accaduto?

   Non lo so più, ma ho smesso di pensarci e la cosa mi sembra già consolante. Ti rendi conto di essere innamorato quando l’amore finisce, ma non definire è importante, prolunga la beatitudine. Ho scritto “non c’è sesso senza amore”, non “non c’è amore senza sesso”. Si parte sempre dal sesso, quando scrivo e quando vivo, non penso a un amore platonico. Non ci ho mai pensato.

  

LINO BANFI E RICCARDO COCCIANTE LINO BANFI E RICCARDO COCCIANTE

La sua ex moglie, Simona Izzo, ha detto che lei le ha dedicato molte canzoni a iniziare da Lilly.

   Simona è forte, è una donna che piace molto alle donne, ma a volte esagera. Come avrei potuto dedicarle Lilly con quel destino? Lilly esisteva, si chiamava Patrizia, spero solo che sia ancora viva.

  

Trenta milioni di dischi, 40 anni di carriera, Venditti si sente cambiato?

   Non considero il cammino musicale una carriera e non mi puoi chiamare maestro. O mi chiami Antonello o testa di cazzo, mezze misure non ci sono. Mi piace guardare al futuro e l’unica vera differenza tra il me di oggi e il me di ieri è che ora so che per cambiare le cose ci vuole tempo.

  

Si va maledettamente assottigliando.

LIGABUE AL CONCERTO PER L EMILIA LIGABUE AL CONCERTO PER L EMILIA

   Pensare di non averlo è osceno, ma è una questione di prospettiva. Se pensi alla morte come a una porta nera che chiude ogni cammino non potrai che angosciarti. Preferisco immaginare che dopo la festa continui. A volte per egoismo ci chiediamo: ma avrò coscienza di me dopo la morte? E io mi dico ma perché lo vuoi sapere per forza? Che ti frega? Soluzione e risposta non ci sono, l’unica palusibile è provare a star bene.

 

Mi sento una persona molto allegra e son felice anche in mezzo a un milione di persone, ma il mio pregio è che posso stare da solo senza nessuno intorno anche per mesi. Non mi lamenterei mai. Non esiste niente di più frustrante e inutile del lamento.

 

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