gaia servadio

UNA VITA GAIA – ‘’L’ITALIA A CAUSA DEL SUO CATTOLICESIMO NON HA MAI PAGATO PER I SUOI PECCATI. E QUESTO LA RENDE DECISAMENTE DIVERSA DAL RESTO DELL'EUROPA” – DA ARBASINO A MARY MCCARTHY, DA ISAIAH BERLIN A PIERO SRAFFA, LA SCRITTRICE GAIA SERVADIO SI RACCONTA: “CONOBBI PHILIP ROTH A UN PRANZO A LONDRA. C'ERANO ANCHE MARTIN AMIS E MICK JAGGER. PHILIP DETESTAVA BORIS JOHNSON, MARITO DI MIA FIGLIA. LO DEFINIVA "UN RIDICOLO INSETTONE ALBINO" PER GIUNTA ANTISEMITA”

Antonio Gnoli per Robinson – la Repubblica

 

GAIA SERVADIO

Davanti a un' insalata di riso, nella penombra di una allegra cucina in una casa della campagna umbra, Gaia Servadio sembra improvvisamente spogliarsi dei suoi ricordi, che sono ricchi di persone talentose e di esperienze talvolta uniche. Dopo un paio d' ore di conversazione, in cui il tintinnio delle parole risuonava armonioso, eccola alle prese con una terra arsa dal sole, l' acqua che scarseggia, e la solitudine che accarezza il vasto paesaggio e lascia lievemente attoniti.

 

Londra è ormai diventata la sua patria e l' Italia una gradevole dependance dove alleggerire i pesi che l' inverno inglese, fatalmente, carica sulle spalle. Gaia ha tre figli, un secondo matrimonio con un uomo deliziosamente discreto e un congruo numero di libri alle spalle. Il primo, il romanzo ‘Tanto gentile e tanto onesta pare’, decretò quasi per caso il successo letterario.

gaia servadio lawrence olivier x

 

L' ultimo è la storia di Giovanni Battista Belzoni: egittologo, avventuriero, esploratore e uomo di invidiabili risorse mentali e fisiche. Diventò famoso in Inghilterra anche grazie alle ammirate descrizioni di Charles Dickens e Walter Scott. Mi chiedo se nel ripercorrerne la vita Gaia non abbia trovato in lui argomenti e gesti consimili al suo carattere.

A leggere ciò che scrive, dà la sensazione di trovarsi a suo agio solo con gli argomenti nei quali rivede una parte della sua vita.

 

Gaia Servadio

«Mi piace pensare che la scrittura catturi qualcosa del mondo che amo e nel quale mi riconosco. Ho scritto di Rossini perché mi identificavo nella sua musica, nel suo inimitabile umorismo; ho scritto di Visconti perché è stato l' italiano più sui generis che abbia conosciuto; ho scritto di Belzoni perché fu incapace di adattarsi alle convenzioni. In ognuna di queste storie, come in altre, c' è una parte di me».

 

Lei giunse in Inghilterra negli anni Cinquanta.

gaia servadio

«Arrivai in un paese che faceva fatica a riprendersi. Londra era una città cupa e povera. Dai vestiti al mangiare, non si trovava nulla. Ricordo che mia sorella mi spedì una cassetta di arance. Fu un evento che scalfì la durezza del momento che attraversavo. Venivo da Parma, una città a misura della gente. Frequentavo, malgrado la giovane età, Attilio Bertolucci, Enrico Medioli, Luigi Magnani. Una provincia colta ma asfittica. E a volte maldicente. Londra era l' esatto opposto e all' inizio ne ebbi paura».

 

Cosa faceva a Londra?

«A 18 anni studiavo arte figurativa alla St Martin' s School of Art, nel cuore di Charing Cross. Mi piacevano la grafica e il giornalismo. Cominciai con delle piccole corrispondenze per la Gazzetta di Parma e poi ebbi l' occasione di scrivere per il Mondo di Pannunzio».

 

Lo ha conosciuto?

alberto arbasino

«Nel timore di dire le cose sbagliate restai intimidita l' unica volta che lo vidi. Mio padre conosceva Ernesto Rossi, il suo più stretto collaboratore. Per me era solo un nome».

 

Suo padre di cosa si occupava?

«Era un chimico. Ma si era laureato in fisica. Veniva dal gruppo di Enrico Fermi. Ma poi scelse di specializzarsi in chimica. Divenne amico di Primo Levi, anche lui chimico, oltre che scrittore. La nostra famiglia, di origine ebraica, durante la guerra fu perseguitata. Dal campo di concentramento ci salvò un carabiniere, fidanzato di una nostra tata. Riuscimmo a scappare in tempo prima che i tedeschi ci arrestassero. Dopo la guerra si parlò pochissimo di quello che era accaduto agli ebrei. Per lungo tempo ci fu una specie di rimosso».

 

Alberto Arbasino

Perché?

«Quelli che si erano salvati volevano dimenticare. E poi chi li avrebbe creduti? Per anni non riuscii a pronunciare il mio nome. Ne avevo vergogna. Come quando a scuola durante l' appello scandivano "Servadio" e io mi nascondevo, convinta che quel nome fosse infamante. Quando finalmente riuscii a scrivere della nostra vicenda familiare incontrai l' ostilità di mia madre e di mia sorella. Solo mio padre, ormai moribondo, mi disse che era giusto che raccontassi quella storia. Ora sto lavorando a un nuovo romanzo sulla storia di tre generazioni di ebrei».

Roth e gaia servadio

 

Come ha imparato a raccontare storie?

 

«Per me è stato un misto di ambizione, di volontà e di occasioni che hanno favorito questa piccola vocazione. Il primo incontro significativo che feci a Londra fu con un editore importante, George Weidenfeld. Fu lui a introdurmi negli ambienti letterari. Una svolta in tal senso fu conoscere il direttore letterario dell' Observer , Terry Kilmartin. E poi Alberto Arbasino che fu per me il grande e involontario educatore. La prima immagine che ho di lui sono gli occhi un po' mongoli, le mani piccolissime e le sgargianti camicie attillate che indossava. Mi colpiva l' assoluta disinvoltura con cui si era calato nel mondo che avevo cominciato a frequentare».

 

Gli stava a pennello.

ARBASINO AL PIPER

«Alberto era uno dei pochi italiani che poteva vantare un' autentica mise internazionale. Una volta ero a Nizza e lui arrivò al volante di una fiammeggiante MG decappottabile. Ero con Mary McCarthy, ci fece segno di salire. Andammo in direzione di Saint- Tropez, scappavamo felici da un noiosissimo convegno di editori».

 

Come aveva conosciuto la McCarthy?

«Fu il mio primo marito, Willy Mostyn-Owen, a presentarmela. Sospetto fosse stata la sua amante.

GAIA SERVADIO

Willy parlava un buonissimo italiano, era stato assistente di Bernard Berenson e conosceva bene Mary che adorava il mondo dell' arte. Con Willy ci sposammo dopo un breve corteggiamento. Era un vero aristocratico, afflitto però da un senso di frustrazione dovuto a un padre che lo considerava una mezza calza. In comune avemmo la passione per i viaggi e per la musica. Non molto altro».

 

philip roth e claire bloom 4

Certamente anche i figli e una serie di conoscenze.

«I figli sì, le conoscenze col tempo divennero mondi separati. Finimmo nell' infedeltà reciproca, nel disprezzo reciproco, nella noia reciproca. L' unica soluzione fu il divorzio. Fece bene a entrambi.

Sicuramente a me, che consolidai alcune amicizie interessanti».

 

Una di queste fu con Philip Roth.

«Conobbi Roth a un pranzo a Chester Square. L' invito era arrivato da una dama americana. C' erano anche Martin Amis e Mick Jagger. A un certo punto la conversazione si indirizzò su Woody Allen e Philip, che era seduto accanto a me, mi chiese che cosa ne pensavo. Risposi che non mi veniva in mente niente e che forse l' argomento non era poi così interessante.

La mia risposta innescò la sua curiosità».

 

philip roth claire bloom

Gli piacevano le belle donne.

«Non ne ha mai fatto mistero, ma aveva sposato Claire Bloom».

 

Com' era Roth in privato?

«Affettuoso e premuroso. Ma ricordo anche l' irritazione per Londra, che lo aveva stregato e col tempo deluso. Credo detestasse quel fair play sotto il quale si nasconde la peggiore spazzatura. Ricordo anche il disappunto con cui accolse la notizia che mia figlia Allegra avrebbe sposato Boris Johnson».

 

boris johnson con allegra

L' attuale premier inglese?

«Proprio lui. Philip detestava Boris, lo definiva "un ridicolo insettone albino" per giunta antisemita».

 

Condivideva quel giudizio?

«Boris, fin dagli anni di Oxford, dove aveva conosciuto mia figlia, sviluppò un atteggiamento di plateale arroganza. Verso tutti e tutto».

gaia servadio

 

Un esibizionista?

«Ma capace di prendersi la scena. Philip voleva spezzare quel legame tra Boris e Allegra. E mi disse che, se glielo permettevo, avrebbe parlato con un suo amico, un senatore democratico che cercava un assistente per l' imminente campagna elettorale. Fui d' accordo. E quando tutto sembrava fatto, mia figlia mi chiamò e mi disse: sai mamma, ho deciso di rifiutare l' offerta americana. Perché? le chiesi. Dovrei stare troppo tempo lontano da Boris e questo significherebbe la fine del nostro rapporto. Una settimana dopo mi annunciò che si sarebbero sposati!».

 

Lo sono ancora?

«No, hanno divorziato».

BORIS JOHNSON

 

Prima accennava all' amicizia con Mary McCarthy.

«Adoravo il fatto che fosse una donna severissima e insieme una grande cuoca. Come le due cose potessero andare assieme è un mistero. Aveva avuto un' infanzia difficile: orfana e accolta da odiosi parenti, crebbe con la determinazione che solo la letteratura avrebbe cancellato l' angoscia delle sue origini. E ce la fece. Siamo state molto amiche. Mi dispiacque che alla fine della sua vita si lasciasse coinvolgere in un litigio feroce con Lillian Hellman».

boris johnson giovane

 

Provocato da cosa?

«Durante un programma televisivo, Mary disse che non le era piaciuto l' ultimo romanzo della Hellman, che si era inventata tutto. Le diede della bugiarda. La vicenda finì in tribunale e perse la causa. Oltretutto, Mary era anche malata di cancro e credo che la vicenda giudiziaria abbia influito sul suo stato di salute. Mi parlava spesso della sua grande amica Hannah Arendt che io vidi una sola volta».

nicola chiaromonte, mary mccarthy, robert lowell.in piedi da sinistra heinrich blucher, hannah arendt, dwight mcdonald, gloria macdonald

 

So che lei ha frequentato Isaiah Berlin e Piero Sraffa.

«Due personalità molto diverse. Con Berlin condividevo la passione per la musica. Eravamo entrambi amici di Claudio Abbado. Isaiah desiderava che Claudio diventasse il direttore artistico del Covent Garden. Aveva una parlata velocissima e capivo metà delle cose che diceva. Più rapido di lui era solo Brodskij. Berlin mi portò a una sua conferenza e non compresi quasi nulla.

Non era simpatico Brodskij. Non amava l' Inghilterra. Per lui c' era l' Italia, soprattutto Venezia, le donne e la poesia».

 

E Sraffa?

«Fu Nicholas Kaldor a presentarci. Confesso che non sapevo minimamente chi fosse Sraffa, né dei suoi rapporti con Wittgenstein e del credito di cui godeva tra tutti i grandi economisti di Cambridge. Quando entrammo in confidenza provai a leggere il libro per cui era diventato famoso».

 

Ossia "Produzione di merci a mezzo di merci"?

Pietro Sraffa

«Proprio quello. Non ci capii nulla e glielo dissi. "Non si preoccupi, Gaia, non c' è niente da capire", mi rispose serafico. Ogni tanto andavo a trovarlo nella sua stanza all' università di Cambridge dove viveva. Qualche volta veniva a Londra da me. Incredibile le persone che aveva conosciuto: da Turati e Gramsci a Togliatti. Mi disse che a Cambridge era arrivato grazie all' aiuto di Keynes. Alla fine degli anni Settanta si ammalò di Alzheimer. Le mie visite si diradarono. Il college dove viveva gli aveva creato intorno una discreta protezione. Quando morì, nel 1983,la cerimonia funebre fu tenuta alla periferia di Cambridge».

 

Lei ci andò?

Gaia Servadio

«Mi pareva il minimo che potessi fare. Fu cremato in un posto squallido e anonimo, senza musica e alla presenza di pochissimi amici. Avrebbe meritato di meglio».

 

Pensa mai alla morte?

«Cerco di non farlo. Ma poi mi tornano sotto gli occhi la fine di mio padre e quella di mia sorella, atroce, perché imprigionata nel proprio corpo. Non è bello immaginare come diventeremo. E poi gli esami di coscienza, i bilanci... uffa».

 

Non ne fa?

EDOARDO SANGUINETI GAIA SERVADIO

«Servono? Boh. So di essere stata molto antipatica e penso che oggi non sono la stessa persona di trenta o quarant' anni fa. Forse sono stata molto intollerante, esprimevo giudizi senza pensarci troppo. Libri, persone, eventi non risparmiavo nulla. Oggi sono più cauta, come se il tempo avesse smussato certi aspetti del carattere. A volte mi dico: Gaia, parli come una vecchia. E l' altra parte di me risponde: sei vecchia. Ecco, oscillo tra queste due sensazioni. La tecnologia ci sta rendendo presuntuosamente ubiqui. Pensiamo di essere ovunque, in realtà siamo soltanto soli, confitti in un punto trascurabile dell' universo».

 

Tornerebbe a vivere in Italia?

GAIA SERVADIO

«No, anche se l' Inghilterra mi pare abbia preso una china imprevedibile e pericolosa. Sull' Italia potrei dire le solite banalità: la bellezza, il sole, una certa originalità. Ma la verità è che a causa del suo cattolicesimo non ha mai pagato per i suoi peccati. E questo la rende decisamente diversa dal resto dell' Europa».

gaia servadiogaia servadiogaia servadio

 

gaia servadiogaia servadiogaia servadiogaia servadio

Ultimi Dagoreport

sergio mattarella quirinale

DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È IMBUFALITO PER I ‘’COLPI DI FEZ’’ DEL GOVERNO MELONI. A FAR SOBBALZARE LA PRESSIONE ARTERIOSA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SONO STATI I SUOI CONSIGLIERI QUIRINALIZI - QUANDO HA LETTO SUI GIORNALI IL SUO INTERVENTO A LATINA IN OCCASIONE DEL PRIMO MAGGIO, CON LA SEGUENTE FRASE: “TANTE FAMIGLIE NON REGGONO L'AUMENTO DEL COSTO DELLA VITA. SALARI INSUFFICIENTI SONO UNA GRANDE QUESTIONE PER L'ITALIA”, A SERGIONE È PARTITO L’EMBOLO, NON AVENDOLE MAI PRONUNCIATE – PER EVITARE L’ENNESIMO SCONTRO CON IL GOVERNO DUCIONI, MATTARELLA AVEVA SOSTITUITO AL VOLO ALCUNI PASSI. PECCATO CHE IL TESTO DELL’INTERVENTO DIFFUSO ALLA STAMPA NON FOSSE STATO CORRETTO DALLO STAFF DEL COLLE, COMPOSTO DA CONSIGLIERI TUTTI DI AREA DEM CHE NON RICORDANO PIU’ L’IRA DI MATTARELLA PER LA LINEA POLITICA DI ELLY SCHLEIN… - VIDEO

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

giorgia meloni intervista corriere della sera

DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE DELL’IMMAGINIFICO GIGI MARZULLO: “SI FACCIA UNA DOMANDA E SI DIA UNA RISPOSTA” -L’INTERVISTA SUL “CORRIERE DELLA SERA” DI OGGI A GIORGIA MELONI, FIRMATA DA PAOLA DI CARO, ENTRA IMPERIOSAMENTE NELLA TOP PARADE DELLE PIU' IMMAGINIFICHE MARZULLATE - PICCATISSIMA DI ESSERE STATA IGNORATA DAI MEDIA ALL’INDOMANI DELLE ESEQUIE PAPALINE, L’EGO ESPANSO DELL’UNDERDOG DELLA GARBATELLA, DIPLOMATA ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE AMERIGO VESPUCCI, È ESPLOSO E HA RICHIESTO AL PRIMO QUOTIDIANO ITALIANO DUE PAGINE DI ‘’RIPARAZIONE’’ DOVE SE LA SUONA E SE LA CANTA - IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L'EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE...” (CIAO CORE!)

alessandro giuli bruno vespa andrea carandini

DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL GIORNALISMO, UNA ARCHEOLOGIA LORO STESSI, POTEVANO PRESENTARE UN LIBRO SULL’ANTICO SCRITTO DAL MINISTRO GIULI? – “BRU-NEO” PORTA CON SÉ L’IDEA DI AMOVIBILITÀ DELL’ANTICO MENTRE CARANDINI L’ANTICO L’HA DAVVERO STUDIATO E CERCA ANCORA DI METTERLO A FRUTTO – CON LA SUA PROSTRAZIONE “BACIAPANTOFOLA”, VESPA NELLA PUNTATA DI IERI DI “5 MINUTI” HA INANELLATO DOMANDE FICCANTI COME: “E’ DIFFICILE PER UN UOMO DI DESTRA FARE IL MINISTRO DELLA CULTURA? GIOCA FUORI CASA?”. SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – VIDEO

banca generali lovaglio francesco gaetano caltagirone philippe donnet alberto nagel milleri

DAGOREPORT - DA QUESTA MATTINA CALTAGIRONE HA I SUDORI FREDDI: SE L’OPERAZIONE DI ALBERTO NAGEL ANDRÀ IN PORTO (SBARAZZARSI DEL CONCUPITO “TESORETTO” DI MEDIOBANCA ACQUISENDO BANCA GENERALI DAL LEONE DI TRIESTE), L’82ENNE IMPRENDITORE ROMANO AVRÀ BUTTATO UN PACCO DI MILIARDI PER RESTARE SEMPRE FUORI DAL “FORZIERE D’ITALIA’’ - UN FALLIMENTO CHE SAREBBE PIÙ CLAMOROSO DEI PRECEDENTI PERCHÉ ESPLICITAMENTE SOSTENUTO DAL GOVERNO MELONI – A DONNET NON RESTAVA ALTRA VIA DI SALVEZZA: DARE UNA MANO A NAGEL (IL CEO DI GENERALI SBARRÒ I TENTATIVI DI MEDIOBANCA DI ACQUISIRE LA BANCA CONTROLLATA DALLA COMPAGNIA ASSICURATIVA) - PER SVUOTARE MEDIOBANCA SOTTO OPS DI MPS DEL "TESORETTO" DI GENERALI, VA BYPASSATA LA ‘’PASSIVITY RULE’’ CONVOCANDO  UN’ASSEMBLEA STRAORDINARIA CHE RICHIEDE UNA MAGGIORANZA DEL 51% DEI PRESENTI....