ALICE NELL’ORTO DELLE MERAVIGLIE – SBARCA IN ITALIA ALICE WATERS, INFLUENTE PALADINA DEI PRODOTTI REGIONALI, STAGIONALI E BIO NELL'AMERICA DEL JUNK FOOD - “CAPIRE LA NOSTRA RELAZIONE CON LA NATURA È FONDAMENTALE. IN AMERICA MANCA LA TRADIZIONE DELL'ORTO CHE VOI AVETE NEL SANGUE” – “L’ALTRO GIORNO A ROMA HO ASSAGGIATO UN’ALBICOCCA E HO CAPITO CHE…”

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Roberto Fiori per "la Stampa"

 

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Era il 1971 quando Alice Waters apriva il ristorante Chez Panisse a Berkeley, in California. Con quel nome voleva rendere omaggio al personaggio che più ama la vita nella trilogia cinematografica marsigliese di Marcel Pagnol, ma mai avrebbe immaginato che invece stava innescando un movimento nazionale a favore dei prodotti regionali, stagionali e biologici nell' America del junk food, dell' obesità e degli allevamenti intensivi.

 

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Invece è andata proprio così: dopo 47 anni, Chez Panisse è ancora considerato uno dei migliori ristoranti degli Stati Uniti, ma soprattutto con la sua «delicious revolution», Waters è diventata una delle più influenti figure mondiali della gastronomia e ha fornito un contributo fondamentale nella definizione del valore culturale, etico e sociale del cibo e della cucina, in particolare per due aspetti: la diffusione della cultura dell' alimentazione locale e sostenibile e la promozione dell' educazione al cibo nelle scuole, promuovendo migliaia di orti didattici tramite l' Edible Schoolyard.

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Un progetto che durante l' amministrazione Obama ha varcato anche la soglia della Casa Bianca, con la creazione di un orto biologico insieme con la first lady Michelle.

 

Vicepresidente di Slow Food Internazionale dal 2002, Waters domani sarà a Pollenzo per ricevere la laurea honoris dall' Università di Scienze Gastronomiche e per dare il via al premio «Coltivare e Custodire» dedicato alla «Rivoluzione dell' orto». «Ho avuto molti riconoscimenti in vari atenei, ma questa è la prima laurea honoris causa che ricevo da un' università che condivide fino in fondo i miei valori. Per questo lo considero un evento speciale».

 

Come ha conosciuto Carlo Petrini?

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«Carlo venne per la prima volta a San Francisco una trentina di anni fa, per parlare a un pubblico che allora era molto ristretto. Io ero tra quel pubblico e, dopo averlo ascoltato, dissi a un amico: "È esattamente ciò che penso io!". Non sapevo ancora nulla di Slow Food, vivevo nel mio piccolo mondo a Berkeley e non immaginavo affatto che avrei potuto essere connessa con un movimento dal respiro planetario».

 

Qual è la situazione oggi?

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«Abbiamo una grande opportunità. L' industria del cibo è più forte che mai, i problemi dell' agricoltura sono enormi, ma c' è la possibilità concreta di insegnare alle nuove generazioni a cambiare il modo in cui si mangia nelle scuole pubbliche. Capire la nostra relazione con la natura è la lezione più importante da imparare. Gli americani non hanno una vera cultura del cibo, da noi manca la tradizione che voi italiani o francesi avete nel sangue. È necessario educare».

 

Come è nata l' idea di far coltivare l' orto nelle scuole?

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«Tutto è nato dalla paura che i bambini perdessero l' abitudine di sedersi a tavola e mangiare con i genitori. Nella condivisione è racchiusa tutta una serie di valori, perché nel cibo c' è molto di più del cibo.

 

Quand' ero ragazza, ho studiato in una scuola montessoriana e da quel metodo ho ricavato il principio dell' imparare facendo. Sono convinta che lavorare in un orto o sedersi a tavola non siano solo operazioni materiali, ma culturali. Un orto rende migliore la scuola e incide nel sistema educativo: non insegniamo giardinaggio, ma matematica, scienza, arte. È una lezione che ti trasforma».

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Dopo Michelle Obama, ha provato a parlarne anche con Melania Trump?

«A dire il vero no, e francamente non credo neppure che i Trump sappiano che esiste un orto alla Casa Bianca. Preferisco concentrare i mie sforzi dove la porta è aperta e oggi per me c' è spazio in California, dove abbiamo progetti con il governatore Brown».

 

L' amore dichiarato di Donald Trump per il Big Mac è un problema?

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«Lo è ed è anche molto serio: non solo per la salute, ma per i valori trasmessi. Io non ho mai capito fino in fondo il detto "siamo ciò che mangiamo", ma credo che siamo realmente diventati ciò che mangiamo.

 

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Quando ti sazi con il fast food, assimili i valori che sono legati a quel tipo di cibo. E se per te è normale abbuffarti in macchina, non credo ti importi molto da dove viene il panino che ingurgiti: per te cucinare è una scocciatura, il tempo è denaro e l' abbondanza diventa l' unico criterio. Purtroppo, sono questi i valori che stanno dominando il mondo».

 

Chi è Alice Waters oggi? Una cuoca o un' attivista?

«Mi sento più un' attivista, anche se non ho mai smesso di cucinare per e con gli amici. E Chez Panisse continua a essere una sfida».

 

Cosa viene prima in cucina, la materia prima o la mano del cuoco?

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«Capire gli ingredienti è fondamentale: la stagionalità, la diversità, sapere cosa mangiano e respirano gli animali è la cosa più importante per chi è in cucina. Io non potrei neppure immaginare di avere un ristorante, senza il nostro orto».

 

Cosa pensa della cucina italiana?

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«Vengo in Italia da 30 anni e ogni volta è una sorpresa. L' altro giorno a Roma ho assaggiato una semplice albicocca e per l' ennesima volta ho capito che negli Usa siamo solo agli inizi. A Berkeley credo di avere buoni pomodori, ma poi vengo qui e basta un' albicocca rossa a ricordarmi quanto la vostra biodiversità sia ricca e saporita».

 

Però questo cibo se lo può permettere solo un' élite benestante.

«Non è vero: è un falso mito diffuso dall' industria del fast food. Perché se sai scegliere le materie prime, puoi farlo senza spendere granché. È questo ciò che vogliamo insegnare: a nutrirsi in modo conveniente, gustoso e salutare, lasciando che sia la natura a dirci cosa possiamo mangiare».

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