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ARMA LETALE - “MI PUNTAVA LA PISTOLA, HO SPARATO 3 VOLTE”, IL RACCONTO DEL CARABINIERE CHE HA UCCISO IL RAPINATORE 16ENNE CHE LO MINACCIAVA CON UN’ARMA (RIVELATASI POI FINTA) – IL MILITARE ERA IN AUTO CON LA FIDANZATA: “PRIMA MI SONO QUALIFICATO” – QUELLO DI DIETRO SUL MOTORINO ERA ARMATO E GLI HA PUNTATO LA PISTOLA ALLA TEMPIA, DANDO L’IDEA DI AVER MESSO IL COLPO IN CANNA -  IL MEDICO RICOSTRUISCE LA DEVASTAZIONE DEL PRONTO SOCCORSO AD OPERA DI PARENTI E AMICI DELLA VITTIMA: “UNO SCENARIO DI GUERRA”

Fulvio Bufi per il “Corriere della Sera”

 

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È un ragazzo pure lui, ed era tornato per passare qualche giorno con i parenti e la fidanzata, non certo per ammazzare qualcuno.

 

Ha ventitré anni e lavora in una caserma in provincia di Bologna il carabiniere che l' altra notte ha ucciso con due colpi di pistola il sedicenne Ugo Russo, che lo stava minacciando con un' arma, rivelatasi poi finta, e voleva farsi consegnare l' orologio. Probabilmente quando il carabiniere ha sparato contro il giovanissimo rapinatore è stata la prima volta che lo ha fatto al di fuori delle esercitazioni di tiro, perché la divisa la indossa da pochissimo. Ha concluso il corso di addestramento nemmeno tre mesi fa e quella emiliana è la sua prima destinazione, così come, con il grado di carabiniere semplice, è al primo gradino della scala gerarchica militare.

 

È stato lui stesso a chiamare i colleghi e a chiedere di fare arrivare subito una ambulanza. Poi li ha seguiti alla caserma Pastrengo, sede del comando provinciale di Napoli, dove durante la notte qualcuno avrebbe poi sparato quattro colpi di pistola contro uno degli ingressi in segno di sfida all' Arma, e dove, prima del raid, un gruppo di donne provenienti dai Quartieri spagnoli ha improvvisato un rumorosissimo picchetto, urlando insulti contro i carabinieri in generale e lui in particolare.

 

Prima dell' arrivo del pubblico ministero, il giovane militare ha dovuto chiedere a un legale di fiducia di raggiungerlo alla Pastrengo, infatti sin dalla prima deposizione è stato ascoltato in qualità di indagato, anche se il reato per cui la Procura intende procedere verrà stabilito soltanto oggi, sulla base delle testimonianze raccolte e dei rilievi sul luogo della sparatoria e degli altri accertamenti fatti ieri dai carabinieri.

 

Visibilmente scosso, il ventitreenne ha ricostruito davanti al magistrato le fasi della tragedia. Ha riferito di essere stato aggredito mentre era in auto con la fidanzata e stava cercando un parcheggio in via Generale Orsini, una strada a ridosso del lungomare. All' improvviso si è ritrovato accanto lo scooter con i due rapinatori, e quello che stava seduto dietro, appunto Ugo Russo, gli avrebbe puntato la pistola alla tempia ordinandogli di consegnare il Rolex che aveva al polso.

 

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In un primo momento il giovane carabiniere avrebbe provato ad accelerare sperando di riuscire ad allontanarsi e sottrarsi così alla rapina, ma la sua auto si trovava già in una posizione dalla quale non avrebbe potuto immettersi nuovamente sulla strada.

Inoltre, ha riferito il militare, ha avuto la chiara percezione che l' aggressore avesse inserito il colpo in canna, facendo scorrere il carrello posto sulla parte superiore della pistola.

 

Soltanto a questo punto avrebbe deciso di reagire, non prima, però, di essersi qualificato, sperando in questo modo che i rapinatori desistessero. Poi ha estratto la pistola d' ordinanza e ha fatto fuoco.

 

Tre i proiettili esplosi, di cui due hanno colpito Ugo Russo.

Il primo al petto, il secondo al capo, con il foro di entrata rilevato alla base del collo.

Al carabiniere ha espresso solidarietà Salvini («Nessuno può attaccare un carabiniere»), mentre il viceministro dell' Interno Crimi parla di «tragedia immane da qualsiasi punto di vista».

 

«QUELLE URLA, SEMBRAVA UNA GUERRA TIRAVANO I MACCHINARI PER ARIA»

Melina Chiapparino per “il Messaggero”

 

napoli, pronto soccorso devastato dai parenti del 15enne 9

«Sembrava uno scenario di guerra». Questo è stato il primo pensiero di Antonio Marano, medico dell'ospedale Vecchio Pellegrini, quando, sabato notte, i suoi occhi si sono riempiti di immagini mai viste prima. «Il pronto soccorso è stato completamente devastato racconta il 51enne napoletano - una folla di persone inferocite ha sfasciato tutte le attrezzature mediche e i computer, divelto il mobilio ospedaliero e persino tentato di sfondare i vetri blindati lanciandogli contro gli estintori».

 

Durante l'esplosione del raid vandalico che non ha risparmiato spintoni e minacce ai sanitari, il dottore ha cercato riparo nel reparto di Osservazione Breve, una stanza in fondo al pronto soccorso dove si era radunata la maggior parte del personale ospedaliero. «Siamo rimasti uniti tra noi e ci siamo concentrati nell'area dove erano ricoverati alcuni pazienti che non volevamo lasciare soli- racconta Lucia Sica, operatrice socio sanitaria sentivamo un gran trambusto, urla e pianti così forte che sembrava di stare in guerra».

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L'ARRIVO

Il racconto dei sanitari descrive una vicenda che, inizialmente, non faceva presagire una tale esplosione di violenza ma, fin dai primi istanti, ha «fatto saltare tutti i protocolli e le regole che disciplinano un pronto soccorso» commenta Marano. «L'ospedale è stato allertato verso l'una dell'arrivo di un codice rosso - racconta il camice bianco - quando il 118 ci ha consegnato il minore, le sue condizioni cliniche erano critiche e lo abbiamo immediatamente intubato per assisterlo in Rianimazione».

 

«L'ambulanza è arrivata insieme a decine di scooter e ad altre auto che hanno riversato nell'ospedale un centinaio di persone - ricorda Lucia - c'erano molti agenti di Polizia ma almeno metà di quella folla oceanica è entrata nel pronto soccorso, accerchiando medici e operatori». «Il ragazzo è stato sottoposto a una Tac per valutare i danni cerebrali provocati dai colpi d'arma da fuoco - continua Marano - la speranza era di stabilizzarne le condizioni per trasferirlo in un reparto di Neurochirurgia come avevamo comunicato ai familiari che avevano occupato il pronto soccorso ma sembravano semplicemente agitati».

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«Quando il rianimatore ha comunicato che il ragazzo non ce l'aveva fatta, si è scatenato l'inferno», continua Marano che descrive solo gli attimi iniziali del raid «durato oltre mezz'ora».

 

IL RAID

«Appena abbiamo visto esplodere quella folla di persone in una rabbia cieca, noi sanitari siamo andati a rifugiarci nella stanza dell'Osservazione Breve, dove c'erano alcuni pazienti ricoverati - spiega il medico - il pronto soccorso è stato invaso da uomini e donne di tutte le età, persino anziani e minori che tentavano di distruggere qualsiasi cosa gli capitasse sottomano».

 

«Gli oggetti venivano lanciati in aria, i computer sradicati, tutte le attrezzature mediche sfasciate racconta Lucia - molti urlavano frasi contro la polizia e alcuni gridavano che saremmo dovuti stare noi al posto del 15enne morto». «Sono stato strattonato da una donna che mi aveva sentito suggerire di far uscire i poliziotti dal pronto soccorso e credeva stessi cacciando i familiari - prosegue il 51enne in realtà, ero convinto che facendo allontanare gli agenti, anche quella folla, inferocita con la polizia, sarebbe uscita e forse avremmo potuto evitare la devastazione del pronto soccorso».

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L'EPILOGO

«Non ci siamo resi conto del grado di distruzione e violenza avvenuto tra le mura ospedaliere, fino a quando siamo usciti dalla stanza dove ci eravamo messi al riparo», spiega Marano che insieme a Lucia e agli altri sanitari si era rifugiato nell'Osservazione Breve.

 

«Improvvisamente le grida, i pianti e tutto il trambusto, causato dalla distruzione del mobilio e dei macchinari è finito - racconta Lucia - ci siamo affacciati sulla porta che comunica con il pronto soccorso e abbiamo visto una scena da guerriglia civile, quasi un campo di battaglia di fronte al quale siamo rimasti immobili per qualche secondo». La folla di persone inferocite si era spostata verso l'obitorio, una volta saputo del trasferimento della salma del minore.

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«Mi è venuto da dire che siamo un popolo senza speranza - confessa il medico - ma è durato pochi secondi come la paura, che è svanita subito, ripensando a quel giuramento di Ippocrate che ci ha consacrato ad una missione a cui non rinuncerei mai».

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