IL BAVAGLIO CINESE - MAXI-RETATA NELLA REDAZIONE DEL QUOTIDIANO “APPLE DAILY” DI HONG KONG: ARRESTATE 5 PERSONE CON L'ACCUSA DI ESSERE “COLLUSI CON POTENZE STRANIERE E DI AVER PUBBLICATO ARTICOLI CHE TRASGREDISCONO LA LEGGE SULLA SICUREZZA NAZIONALE” E CONFISCATI QUASI DUE MILIONI DI EURO – MA IL GIORNALE NON SI FERMA: MANDERÀ IN STAMPA 500MILA COPIE INVECE CHE LE SOLITE 90MILA! – MICHELE SERRA: “MA SE UNO SI SENTE, PER FORMAZIONE, CULTURA, VALORI, DECISAMENTE OCCIDENTALE, DEVE DICHIARARE GUERRA ALLA CINA?”

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Cecilia Attanasio Ghezzi per "la Stampa"

 

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Lo scontro frontale con Pechino non paga mai. All' alba ad Hong Kong, 500 poliziotti hanno fatto irruzione nella redazione dell' Apple Daily e nelle case di alcuni dei suoi più rinomati giornalisti e dirigenti. In cinque, tra cui il direttore Ryan Law, sono stati arrestati con l' accusa di essere collusi con potenze straniere e di aver pubblicato più di trenta articoli che trasgrediscono la legge sulla sicurezza nazionale. Inoltre sono stati confiscati quasi due milioni di euro di alcune aziende affiliate al giornale. Il titolo della holding Next Digital, quotato in borsa, è stato sospeso. E oggi sono in molti a chiedersi se l' Apple Daily sia destinato a chiudere definitivamente.

 

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Il raid non era inatteso. C' è stato addirittura un precedente, ad agosto scorso. Poi il suo fondatore Jimmy Lai è stato condannato a 14 mesi di prigione e i suoi beni, incluso il 71 per cento della sua azienda editoriale Next Media, confiscati. Allora lettori e attivisti hanno trasformato l' acquisto e la lettura di un giornale in gesto di ribellione. Per le strade venivano lasciate mazzette di Apple Daily in lettura, con tanto di scontrino che ne certificava il regolare acquisto. La foto di un ragazzo che legge quel quotidiano seduto su una panchina di una stazione che viene accerchiato dalla polizia è diventata un' icona.

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Ma è purtroppo evidente che i lettori, per quanto fantasiosi, non hanno le forze per confrontarsi con la potenza dalla Repubblica popolare cinese. Lo sanno loro, e lo sanno i giornalisti. E infatti, da quando il fondatore è finito in prigione, la redazione non ha mai smesso di chiedere al direttore come si sarebbe dovuta comportare nel caso in cui anche lui venisse arrestato. «Fate giornalismo», ha sempre risposto Law. «Sarà una storiona!». Ed è questo il punto in cui siamo.

 

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Quando ieri mattina gli agenti hanno fatto irruzione e hanno dichiarato la sede del giornale «scena del crimine», la redazione non si è fatta intimidire: documentare cosa stava accadendo e diffonderlo in diretta sui canali social è stato un gioco da ragazzi. Persino quando la polizia li ha costretti a uscire dall' edificio, hanno continuato a filmare la scena con una telecamera istallata sul tetto del palazzo. Chi ha avuto confiscato il computer ha scritto articoli dal proprio cellulare. E nonostante la giornata, il quotidiano è stato chiuso, anzi.

 

Manderà in stampa 500mila copie invece che le solite 90mila. Ma certo, come sottolinea il braccio destro di Jimmy Lai, Mark Simon, sarà difficile mantenere uno staff di circa 700 persone con buona parte dei conti aziendali bloccati.

 

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Dalla sua fondazione nel 1995, l' Apple Daily è sempre stato un giornale scandalistico dove, oltre al gossip e alla cronaca sensazionalistica, si potevano trovare importanti inchieste su malaffare e corruzione governativa. Solo negli ultimi anni ha appoggiato il movimento pro-democrazia tanto da diventarne un simbolo. La polizia, spesso condannata sulle sue pagine, lo accusa di seminare odio, i media continentali ne chiedono la chiusura, ma il suo patron, che per tutta la vita ha combattuto la leadership comunista ed è un convinto trumpiano, crede di essere dalla parte giusta della storia e insiste nella sua linea.

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Ma di essere dalla parte giusta della storia lo crede anche Pechino che festeggia i suoi primi astronauti sulla nuova stazione spaziale e si prepara a celebrare con gran fanfara il centenario del

 

Partito comunista. E nell' orchestra della propaganda cinese qualsiasi media che stona deve essere armonizzato. Così finisce la libertà di stampa.

Anche ad Hong Kong.

 

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Michele Serra per “Repubblica”

 

Ma se uno si sente, per formazione, cultura, valori, decisamente occidentale, deve dichiarare guerra alla Cina? E se uno invece è affascinato dall'Oriente, e preferisce il cinema cinese ai film con Bruce Willis, deve uscire dalla Nato? Lo chiedo perché si leggono e si sentono cose, in questi ultimi giorni, che paiono sortire dai bauli della Guerra Fredda quella vera, quella della crisi di Cuba, di Gladio e del Kgb, dei golpe orchestrati qui e là dalla Cia e del libretto di Mao ostentato in corteo come la reliquia del santo nelle processioni. Ma come, non eravamo entrati nel glorioso Evo postideologico?

 

Ci sono dichiarazioni politiche, articoli di giornale e tweet (i modernissimi social!) che hanno la freschezza - anche lessicale - di una mummia. Come se il mondo fosse ancora diviso in due blocchi, che prima si chiamavano capitalismo e comunismo, oggi si chiamano Occidente e non Occidente. Nel secondo insieme, un po' per praticità, un po' per fare in fretta, ci si ficca dentro un poco di tutto, dall'Ottomano con la scimitarra a Putin con il polonio, dal comunismo cinese con le tasche piene a quello cubano con le tasche vuote.

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Poi basta un'occhiata appena meno distratta per scoprire, per esempio, che la scimitarra di Erdogan è un'arma della Nato, e quel fulgido esempio di democrazia che sono i governi ungherese e polacco fanno parte dell'Unione Europea. Che i sauditi sono solidi alleati economici e politici del famoso Occidente, così sensibile ai diritti. Per dire che, se davvero sono diritti civili e democrazia a fare la differenza, non è così semplice dividere il mappamondo in due tirando una riga con il pennarello.

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