Stefano Agnoli per il "Corriere della Sera"
L’Eni ricuce le relazioni con il Kazakhstan, rese più difficili da quando, lo scorso settembre, il maxi-giacimento marino di Kashagan si è fermato pochi giorni dopo l’avvio della produzione. Uno stop causato da tubi e saldature difettose, l’ennesimo rallentamento dall’avvio dei lavori nell’ormai lontano 2005.
Ufficialmente dal Cane a sei zampe poco si dice, se non confermare l’incontro a quattr’occhi che Descalzi ha avuto due giorni fa con il padre-padrone kazako, il presidente Nursultan Nazarbayev, a margine del vertice sugli investimenti nella repubblica centroasiatica che si è tenuto a Borovoe, 250 chilometri a nord della capitale Astana.
Un colloquio riservato che sarebbe durato quasi un’ora. Presumibile che tra i temi affrontati ci sia stato anche quello, assai sensibile per la controparte kazaka, della ripartenza e dell’entrata a regime della prima fase di sviluppo del giacimento di Kashagan.
Su di esso (il maggiore al mondo al di fuori dell’area del Medio Oriente) la dirigenza di Astana contava e conta tuttora per dare corpo all’obiettivo di diventare a pieno titolo una potenza petrolifera mondiale e di rinvigorire abbondantemente il proprio bilancio pubblico. Secondo le ultime stime il Kazakhstan produce circa 1,6 milioni di barili al giorno e occupa la diciottesima posizione nel ranking mondiale dei petro-stati.
Anche se ufficialmente è la società comune delle compagnie petrolifere lì impegnate a parlare (i soci sono la locale Kazmunaigaz, Eni, Exxon, Shell e Total con il 16,8% a testa, la giapponese Inpex con il 7,5% e la cinese Cnpc con l’8,4%), pare che la ripresa del la produzione di Kashagan possa avvenire entro fine 2015, e probabilmente anche prima se si opterà per una soluzione tecnica con tubi di minor diametro.
La diplomazia dell’Eni ha avuto comunque il suo effetto, visto che ieri il gruppo di Metanopoli ha anche firmato con la società statale Kazmunaigaz (alla presenza del premier Matteo Renzi, di ritorno dal suo viaggio in Vietnam e Cina) un accordo in base al quale ognuna delle due compagnie avrà il 50% dei diritti di esplorazione e produzione per Isatay, un’area di esplorazione offshore nella zona settentrionale del Mar Caspio.
Non lontana dalla zona Kashagan ma senza le stesse difficoltà tecniche e ambientali. In base alla stessa intesa verrà costruito un cantiere navale a Kuryk, sulla costa del Caspio, che sarà gestito da una società mista Eni e Kmg. «Il blocco si stima abbia un notevole potenziale di risorse petrolifere e verrà gestito da una joint operating company», spiega un comunicato.
Per l’Eni, insomma, che è presente in Kazakhstan anche come co-operator dell’altro maxigiacimento di Karachaganak, si tratta della dimostrazione pratica dello «sdoganamento» dopo le incomprensioni degli ultimi mesi.
A cambiare sarà infine anche la relazione con le altre compagnie petrolifere in vista della «fase due» di Kashagan. Si tornerà al modello più tradizionale dell’operatore unico con personale composto da tecnici e ingegneri delle società socie del travagliato giacimento.